Proprio oggi 14 gennaio 2018 possiamo leggere, sul Corriere della Sera, Aldo Grasso che, dal suo pulpito, fa le pulci al candidato leghista Fontana e alla sua rasatura: “È così importante la barba? Una barba non fa il politico? […] Da sempre la barba (dal latino barba, per esteso significa anche zio) è un segno di virilità e di autorevolezza, ma è pur sempre una maschera. Forse Fontana non vuole che i suoi avversari gli facciano barba e capelli, forse ha tenuto conto che l’ultima frontiera del marketing politico si chiama fisiognomica, una disciplina che risale ai temi di Aristotele”. Grasso si fa spesso riconoscere per il suo sarcasmo e per una certa dose di spocchia, ma bisogna dire che questa volta il riferimento ad Aristotele non è del tutto campato in aria. Ce ne possiamo rendere conto leggendo “Barbalogia. Ragionamento intorno alla barba”, un trattatello del preilluminista Giuseppe Valeriano Vannetti, che la casa editrice Armillaria ha ristampato con ampio supporto di prefazione, postfazione e note esplicative.
Non che Vannetti abbia approfondito questioni di fisiognomica ma è indubbio – lo leggiamo in quarta di copertina – quale sia stata la sua motivazione di studioso, quasi una sorta di anticipatore, forse inconsapevole, degli studi culturali e “di genere”: il tentativo “erudito e stravagante, di un intellettuale roveretano che sceglie un’esplorazione accurata per disseminare relativismi culturali in un’attenta collazione di fonti”. Ovvero le consuetudini di ebrei, greci, macedoni, romani e uomini medievali, condizionati dal loro credo, dal potere, dal contesto sociale, e quindi intenti a sbarbarsi oppure a fare sfoggio di abbondante peluria. Pagine, a rigore, di non facile lettura visto l’intento di sfoggiare una grande erudizione e l’uso di una prosa settecentesca in gran parte assimilabile ad un desueto manierismo. In compenso, come anticipato, le colte prefazioni e postfazioni presenti in questa edizione di “Barbalogia”, comprese le “dimensioni estetiche” di Manlio della Serra (“Un atto di fiducia”), appaiono efficaci parafrasi di un testo altrimenti poco digeribile, ne evidenziano le peculiarità – in primis l’approccio sistematico – rispetto altri trattatelli simili (il primo a scriverne pare sia stato il bellunese Pierio Valeriano), introducono molto bene la storia “sociale” della barba e, specularmente, della rasatura. Lo storico Christopher Oldstone-Moore scrive infatti che “Vannetti e i suoi successori illuministi furono i primi ad adottare una prospettiva relativista, rifiutandosi di considerare barba e baffi una questione morale o teologica, come faceva Van Helmont, ma, al contrario, guardandoli come un’istanza di cambiamento e sviluppo sociale” (pp.6). E difatti, considerando che dal IV secolo a. C. in poi “il viso rasato fu lo stile principale per i gentiluomini delle società europee” possiamo ritenere che “la rasatura prevalse perché solitamente associata alla superiorità, alla virtù e alla disciplina sociale” (pp.6). Ancora l’autore della prefazione rende del tutto intelligibile quanto si può cogliere, non senza impegno, tra le pagine del Vannetti: da un lato “la logica della rasatura sacerdotale – tagliare via il peccato e la corruzione della nostra natura fisica per avvicinarci ad un piano dell’essere più alto – era manifesta nelle prime tradizioni della civiltà occidentale e fu riscoperta dalla chiesa medievale” (pp.14); e in un senso più generale “lo schema che si evince dalla storia della barba rivela che, a parte qualche eccezione degna di nota, la rasatura si è dimostrata un’utile pratica culturale nel definire una identità maschile socialmente disciplinata” (pp.15).
Tutt’altro che superfluo poi l’intervento di Alex Pietrogiacomi col suo “Barbologi non barbosi”. Vannetti e gli storici infatti hanno sempre scritto di barbe e di volti glabri, ma sulle modalità della rasatura sono spesso rimasti sul vago. Aspetto non secondario visto che, attualmente, molti di noi possono pensare sia già molto complicato e traumatico radersi senza le morbide cinque lame Gilette usa e getta. Di sicuro, come ci ricorda Pietrogiacomi, c’è da immaginare che, fin dalla notte dei tempi, l’arte della rasatura non lasciasse la pelle liscia come il culetto di un bimbo: “abbiamo testimonianze di lame atte alla rasatura risalenti al paleolitico. Queste pietre affilate […] procedevamo per estirpazione del pelo” (pp.157). Soltanto secoli e secoli dopo le cose sembrano essere diventate meno cruente: “il pennello nasce nel 1750, accoppiandosi indissolubilmente, fino al Rinascimento della barba, al rasoio e ai saponi così come il barbiere” (pp.158). Al termine del volume il “Dispetto”, ormai una consuetudine tipica delle edizioni Armillaria: il racconto in tema, “Una barba lunga un mese” di Claudio Marinaccio, con la sua atmosfera orrorifica tipo “28 Days Later”, avrebbe poco a che fare con la barba in quanto tale – semmai col passare del tempo e con la progressiva decomposizione del vivere civile – ma in compenso è un testo che, preceduto dalle pagine ironiche di Pietrogiacomi, mostra che “Barbalogia”, al netto dell’erudito Vannetti, è davvero barba a 360°.
Edizione esaminata e brevi note
Giuseppe Valeriano Vannetti, (1719-1764) fondò l’Accademia degli Agiati a Rovereto nel dicembre del 1750. Intellettuale poliedrico, si dedicò agli studi umanistici raccogliendo le fatiche letterarie di molti studiosi italiani e promuovendo una raffinata interazione sul versante delle scienze letterarie. Tra i suoi meriti l’aver favorito, privilegiando un grande interesse per le lingue e la traduzione, un costante scambio culturale con le provenienze culturali di area germanica.
Giuseppe Valeriano Vannetti, “Barbalogia. Ragionamento intorno alla barba”, Armillaria, 2017, pag. 200. A cura di Manlio Della Serra. Prefazione di Christopher Oldstone-Moore. Postfazione di Alex Pietrogiacomi. “Dispetto” di Claudio Marinaccio.
Luca Menichetti. Lankenauta, gennaio 2018
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