Da originaria di una delle “capitali” dei terremoti che hanno flagellato il Bel Paese nel Novecento, Gemona del Friuli, ho seguito con trepidazione le vicende di Amatrice e del suo circondario, una terra per certi aspetti più simile alla nostra friulana di tante altre zone terremotate magari più importanti nella memoria collettiva (bastino due nomi fra i tanti: Assisi e L’Aquila). Ed è inevitabile, ripercorrendo la storia di questo sisma, raccontata dal primo cittadino del suo “capoluogo”, andare con la mente al Friuli di quarant’anni fa e a qualche analoga vicenda italiana dagli esiti forse meno luminosi.
Amatrice sta in montagna, è un borgo in provincia di Rieti la cui identità e particolarità vengono difese da lungo tempo dal suo sindaco, Sergio Pirozzi, talmente consapevole del valore dei territori di questo tipo da fondare nel 2015 l’Associazione dei Comuni dimenticati, che ha il compito di portare all’attenzione delle istituzioni centrali le problematiche e i diritti di comuni che non sono solo nomi geografici ma comunità di persone, appunto, la cui prima necessità è che la dislocazione territoriale non trasformi i suoi membri in cittadini di serie B.
E il sindaco di Amatrice si intende di bisogni della gente, e anche di serie A e B.
Sergio Pirozzi, classe 1965, una vita trascorsa proprio in queste zone, diventa suo malgrado, nella notte tra il 23 e il 24 agosto 2016, il “sindaco del terremoto”: Amatrice e il suo circondario vengono colpiti da un sisma di magnitudo 6.0 che porta morte, distruzione, sfollati e tutta quella tragica lista di eventi nefasti che ben conosce chi abbia vissuto sulla propria pelle un simile disastro o anche solo gli anni (per quanto da record) della ricostruzione.
Sergio Pirozzi, che a questo luogo appartiene e ne conosce l’aspetto geografico e umano, è stato anche uno sportivo e un valido allenatore di calcio. Il suo lungo resoconto di un anno di lavoro prende spesso a prestito termini del mondo calcistico. Potrebbe sembrare fuori luogo all’indomani di una tragedia come un terremoto, pensare di mettersi in gioco, sfruttando, tra le molte altre, anche le competenze di allenatore per prendere in mano una situazione complessa e complicata da quel fattore geografico di cui si è detto, ma Pirozzi sembra proprio avere tutte le intenzioni di “entrare in campo”, presto e bene, a giocare la sua partita più importante: ricostruire Amatrice, ridare a questo “comune dimenticato” una giusta visibilità anche nel contesto di una regione “Romacentrica” dove sembra impossibile attirare l’attenzione dello Stato.
E così seguiamo il sindaco dai primi momenti sconfortanti e sconfortati della presa di coscienza dell’accaduto, alle lacrime per i morti (anche amici) cui tuttavia non è possibile tributare lunghi momenti, perché urge la cura dei vivi. E questo è uno dei primi parallelismi con il mio Friuli dilaniato e senza lacrime, lo scrivono i cronisti dell’epoca. La gente asciuga gli occhi con una mano e con l’altra e ricomincia a scavare, a pulire, a sistemare alla bell’e meglio la propria vita e quella di chi è rimasto.
Da quel 1976 rimasto indelebile nelle memorie e nelle vite di un’intera regione, nasce forse per la prima volta in Italia la consapevolezza della necessità di un’organizzazione capillare di aiuti. Favorita alle nostre latitudini dalla presenza massiccia dell’esercito (così non era stato, qualche anno prima, in Belice, dove il massimo che lo Stato sembrò aver partorito fu la possibilità di un espatrio immediato, e dove le ferite di una ricostruzione davvero eterna sono rappresentate ancor oggi dalle macerie mai spostate dei centri più colpiti: sembra un’altra era geologica, è di fatto un’altra Italia), via via che i terremoti più e meno disastrosi si susseguono, si organizza la generosità e la sensibilità delle persone che vogliono dare una mano in quella Protezione Civile, oggi elemento imprescindibile di qualsiasi comunità.
Anche Amatrice riceve fin da subito attenzioni e solidarietà, il sindaco Pirozzi ne è cronista attento e riconoscente. Ma ne è anche attento custode: in un mondo odierno ormai globalizzato, se da un lato è facilissimo ritrovarsi nell’abbandono dopo i primi momenti di ribalta mediatica e bombardamento “emotivo”, dall’altro è fin troppo semplice cadere vittima di strumentalizzazioni. La vergognosa ferita tuttora aperta dell’Aquila sta a dire che in assenza di decisioni chiare e immediate le cose si fermano e, dove si dà spazio alla burocrazia lenta e macchinosa, l’erba cresce su macerie e attività umane difficili da far ripartire. Pirozzi conosce bene la storia dell’Aquila, ma si è documentato anche sui terremoti precedenti e sa che bisogna agire in fretta e bene. Occorre “fare squadra” e lui, che di squadre se ne intende, cerca di far lavorare tutte le parti politiche della sua amministrazione (con l’obiettivo di portare su scala regionale e nazionale questo impegno): il resoconto delle attività per la ricostruzione di Amatrice è così appassionato che l’appartenenza politica resta quasi del tutto in secondo piano, come a dire che non importa da che parte si sta, l’importante è lavorare tutti insieme per un bene comune più grande delle divisioni, delle “tifoserie”.
“Chi abita in questi luoghi non sta dentro una cartolina” (p. 69). Il sindaco del terremoto sa cosa serve alla sua gente, lo sa dai giorni dei “comuni dimenticati”, lo sa perché vive in questi territori e ha sempre fatto del suo meglio per difenderne le peculiarità, non solo in vista di un ritorno d’immagine (la cartolina, appunto, con tutte le cose buone che il turismo porta se lo si sa sfruttare), ma soprattutto per permettere alle popolazioni locali di continuare ad abitare questi posti, a rischio di spopolamento anche senza terremoto (ne sa qualcosa la vasta area montana della mia regione, regolarmente sacrificata a interessi di altro genere).
Viabilità, ospedale, scuole, sono come giustamente coglie Pirozzi, servizi fondamentali per permettere una vita alle comunità soprattutto in zone disagiate, non servite da grandi arterie stradali. La logica imposta dalle spending reviews che si susseguono genera tagli, accorpamenti, mostriciattoli amministrativi di varia natura. La diatriba su dove far sorgere il nuovo ospedale sembra tuttora aperta e forse il sindaco di Amatrice si sente un po’ tradito dai colleghi che chiedono a gran voce la sua ricollocazione in una zona diversa, che però snaturerebbe questo servizio fondamentale (nel libro vi si accenna, occorre riferirsi alla cronaca per capire quali saranno gli esiti).
A fianco di battaglie portate avanti con caparbietà e determinazione (caro Friuli, come ti sarebbe andata male, oggi, che per spostare due macerie occorrono leggi apposite, tu che portavi a camionate tutte le tue sulle rive bianche del Taglimento e la gente sapeva che lì, forse, ritrovava le sue cose, consolandosi alla peggio con quelle altrui!), non ultima quella per la defiscalizzazione delle attività produttive, Sergio Pirozzi e i suoi collaboratori studiano e si inventano occasioni, appuntamenti, manifestazioni che continuino a tenere alta l’attenzione su Amatrice, che convoglino aiuti dove servono davvero (la grande intuizione che diede vita al “modello Friuli”: gestire direttamente e localmente ogni finanziamento): Amare Amatrice, per la realizzazione delle mense scolastiche e di punti di ristorazione, l’ottenimento del marchio Denominazione Comunale (De.Co.) per i prodotti tipici, l’Amatriciana del cuore per la rinnovata promozione della famosissima pasta locale, solo per citarne alcune, e davvero tante e tante occasioni in cui la solidarietà si sposa con le peculiarità di questi luoghi.
Leggendo l’appassionato resoconto del sindaco di Amatrice mi sono chiesta più volte che cosa pensi la gente del suo operato. Pirozzi non ha sempre avuto tutti dalla sua parte, lo riconosce con onestà intellettuale, anche se riportando il suo punto di vista gli è agevole giustificare scelte e decisioni. Ma per restare in tema calcistico tanto caro all’autore, sarebbe facile fare gli arbitri di partite così importanti senza conoscere la squadra e il suo allenatore, senza averne considerato comunque il sacrificio, le rivendicazioni, l’impegno veramente continuo portato in tutte le sedi istituzionali anche a costo di passare probabilmente per fastidiosi e inopportuni.
Il sindaco non lesina ringraziamenti a chi è intervenuto a favore della sua comunità, spesso ripete l’importanza degli esempi che il mondo dello sport gli ha fornito per questa sfida, uno sguardo alla montagna (lo scarpone del titolo, metafora di “attrezzature” non solo materiali per affrontare le alte quote della vita) e uno alla gente, al cuore pulsante della sua terra, sguardo fermo e severo, ma anche positivo, nella convinzione di poter fare bene il lavoro che ci si aspetta da lui.
A Sergio Pirozzi che sembra avere a cuore la propria comunità più di qualsiasi tornaconto personale non si può che fare l’augurio di vincere la partita più importante di questi territori: rinascere, ricominciare, ritrovare il proprio posto. Come per noi Friulani, le ferite aperte di Amatrice diventino presto cicatrici, non più visibili sulla terra, ma nascoste nell’anima, da dove sgorghino dignità e orgoglio di appartenere a una comunità che ha saputo risollevarsi, grazie all’aiuto di tanti, ma grazie anche al suo grande cuore. E a un bravo sindaco.
“Fummo di nuovo tutti insieme sotto lo stesso tendone che ci aveva ospitato durante i funerali di Stato, ma quelle primissime lacrime di sangue hanno lasciato il posto a un sacro e dignitoso silenzio. Tante piccole “gocce di vita” – brevissimi racconti degli amici scomparsi – si sono amalgamate l’una con l’altra generando un oceano potente di sofferenza, sì, ma anche di ritrovata fratellanza. Eravamo davvero tutti e un solo cuore che pulsava” (p. 160, “24 agosto 2017: primo anniversario”)
Edizione esaminata e brevi note
Sergio Pirozzi (San Benedetto del Tronto, 26 gennaio 1965-) è sindaco di amatrice dal 2009. Ex calciatore, è stato anche capitano del Rieti. Come allenatore di calcio infatti è stato artefice di numerose piccole imprese. Dopo aver portato la sua Amatrice dalla Seconda Categoria fino alla Promozione, il salto di categoria arriva anche sulla panchina dell’Ostia Mare, della Sorianese e del Rieti, che riesce a riportare nei professionisti dopo 62 anni. Pirozzi passa poi alla Viterbese per poi allenare anche l’Aprilia e il Civitavecchia nei dilettanti. Arrivato al Trastevere, a seguito del terremoto ha lasciato l’incarico per dedicarsi in maniera esclusiva alla guida del suo Comune, dove è stato eletto nel 2009 e confermato nel 2014.Oggi è candidato alle elezioni della Regione Lazio [notizie tratte dalla pagina del sito money.it]
Sergio Pirozzi. La scossa dello scarpone: anatomia di una passione sociale. Armando, Roma, 2017. 159 p.
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