Ho conosciuto la strage di Babij Jar qualche tempo fa leggendo “La pianista bambina” di Greg Dawson. Poco tempo dopo, vagando tra gli scaffali di una libreria di Roma, sono incappata in questo libro il cui titolo non lascia spazio ad alcun dubbio. Kuznetsov c’era. Aveva solo 12 anni quando l’esercito tedesco invase Kiev, la sua città: il 19 settembre 1941 i nazisti entrarono nella capitale dell’Ucraina. L’occupazione si protrasse per due anni e due mesi prima che l’esercito di Hitler decidesse di ritirarsi. Lo stesso Fürher intraprese questa guerra sapendo che avrebbe rappresentato una “lotta fra ideologie e razze diverse“. L’autore racconta numerosi episodi, quelli conservati nella sua memoria e nei suoi occhi di dodicenne, e ci spiega che da una parte ci furono molti suoi concittadini spinti a collaborare con i nazisti, dall’altra ci furono tanti altri che si opposero con ogni mezzo.
Dell’orrore di Babij Jar, in questo libro, si parla molto meno di quanto pensassi. Solo poche pagine, infatti, sono dedicate a uno degli eccidi più efferati compiuti dai nazisti i quali, approfittando della presenza di un burrone scavato naturalmente nei pressi di Kiev, il Babij Jar per l’appunto, decisero di utilizzarlo come una sorta di tomba comune. In due soli giorni (29 e 30 settembre 1941), i soldati tedeschi massacrarono più di 33.000 ebrei e nascosero nel Babij Jar i loro cadaveri. Ma la tragedia proseguì per i due anni successivi visto che, durante la loro permanenza in Ucraina, nel Babij Jar i soldati di Hitler continuarono a giustiziare e gettare i resti di zingari, comunisti, russi, ucraini e chiunque ritenessero degno di essere così orrendamente trucidato.
Attraverso il capitolo “Spiegazioni”, che Anatolij Kuznetsov fa precedere al suo racconto, lo scrittore ricorda la prima volta che scese nel fossato. La zona era rimasta inavvicinabile per i due anni di occupazione nazista, periodo durante il quale tutti a Kiev sentivano rimbombare le scariche delle mitragliatrici. Quando i tedeschi lasciarono l’Ucraina “dal Babij Jar su levò un fumo grasso e pesante. Durò due o tre settimane“. Gli invasori tentarono di distruggere le prove dei loro crimini ma non fu possibile cancellare tanto abominio.
Il giovanissimo Kuznetsov decise quindi di scendere nel Babij Jar. “Il suo fondo era, prima, ricoperto da una bella ghiaia, ma ora appariva stranamente disseminato di pietruzze bianche. Mi chinai a raccoglierne una per esaminarla. Era un pezzettino di osso bruciato, piccolo come un’unghia, da un lato bianco e dall’altro nero. Il ruscello, nel trascinare queste ossa, le aveva levigare. Da ciò concludemmo che gli ebrei, i russi, gli ucraini e la gente di altre nazionalità eran stati fucilati più in alto, a monte“.
I riferimenti alla tragedia compiuta nel Babij Jar non sono molti altri visto che Anatolij, testimone di uno dei momenti storici più drammatici del suo Paese, descrive prevalentemente ciò che vide, ascoltò e visse durante l’occupazione cittadina. Racconta le difficoltà vissute dalla sua famiglia, l’assenza di un padre, l’ottusità di un nonno avido e senza molti scrupoli, la profonda religiosità di sua nonna e tutti gli stenti patiti nei due anni di presenza tedesca. Nel libro vengono anche riportati e messi in evidenza i numerosi comunicati, bollettini e titoli di giornali che i tedeschi diffondevano tra la popolazione. Parole che dovevano funzionare come minaccia ed intimidazione ma anche come spunto autocelebrativo oltre che come deterrente per chiunque osasse pensare di poter insidiare la forza tedesca.
Speravo di incontrare in questa lettura qualche dettaglio in più in merito a Babij Jar ma, in tutta sincerità, non è stato così. L’autore definisce questo libro un romanzo documentario nel quale egli ha scelto di raccontare solo la verità: “la parola documentario posta nel sottotitolo di questo romanzo, significa che qui espongo solo fatti veri e documenti e che non vi appare la minima aggiunta letteraria, né sul come poteva o sul come doveva essere, niente“.
Edizione esaminata e brevi note
Anatolij Kuznetsov nacque a Kiev nel 1923. Dopo aver lavorato diversi anni come artigiano, decise di iscriversi all’Istituto Superiore di Letteratura di Mosca presso il quale si diplomò nel 1960. I suoi scritti più famosi sono “La leggenda continua” del 1957, “A casa propria” del 1964 e “Babij Jar” pubblicato in forma ridotta su due riviste nel 1966 e 1967. Dopo che alcuni suoi scritti vennero pubblicati con tagli non autorizzati, Anatolij Kuznetsov nel 1969 scelse di allontanarsi dall’Ucraina e di espatriare a Londra dove morì dieci anni più tardi.
Anatolij Kuznetsov, “Babij Jar”, Zambon Editore, Francoforte, 2010. Traduzione di Andrea Poggi e Tamara Bajkova.
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