Così parlò Saramago: “per quanto i miei rapporti con la religione siano, come dire, di osservatore non credente, non posso negare di avere una mentalità cristiana, non certo animista, né islamista, né buddista, né quella di nessun’altra religione“. Parole che ho raccolto da un’intervista rilasciata dallo scrittore portoghese ad Enrico Morteo, Fahrenheit, Radio 3. Una riflessione molto onesta perché, a mio modesto avviso, anche chi non crede è necessariamente costretto a fare i conti con la “materia” nella quale non crede, non fosse altro per dichiararla, per l’appunto, non credibile. La mentalità che ha circondato da sempre Saramago è chiaramente quella cristiana. Una religione che pone al suo centro la figura di Cristo. Un personaggio comunque affascinante e complesso, di cui ci hanno raccontato tutto e il suo contrario.
Gesù è un uomo. Ed è questa umanità che Saramago esalta ed onora nel suo vangelo. Anche Maria e Giuseppe sono esseri umani. A loro è capitato di venire a contatto con fenomeni poco spiegabili, se non attraverso l’intercessione degli anziani. Maria è solo una donna e, come tutte le donne, in un tempo in cui le donne non contavano nulla, ha poca voce in capitolo. Ma viene scelta, grazie ad un capriccio divino, per dare un corpo al figlio che Dio ha deciso di far nascere.
I vangeli canonici ci trasmettono un’altra storia, quella a cui Saramago comunque, per tanti versi, si conforma, una storia che lo scrittore portoghese sa stravolgere e dissacrare in più punti restituendoci una interpretazione di Cristo molto più imperfetta, carnale, fallibile ed intima.
Non è semplice accettare un destino tanto perverso, così come non è facile accettare l’idea di essere figlio di Dio. Quel Dio che compare prima sotto forma di nuvola di fumo sottoscrivendo strani patti di sangue e poi, tanti anni più tardi, materializzandosi su una barca in mezzo al lago con le sembianze di un vecchio e ricco ebreo, lunatico ed eccentrico, pronto a snocciolare una marea di martiri e ad annunciare a suo figlio sequele di violenze e nefandezze che, chi verrà dopo di lui, porterà avanti in suo nome.
Gesù è un ragazzo come tanti, primo di nove figli. A tredici anni, dopo la morte per crocifissione di suo padre, giustiziato pur essendo innocente, scopre di essere vivo solo perché, appena nato, è scampato ad un massacro di innocenti. Un sopravvissuto che deve la sua vita ad un atto di paura o di codardia di Giuseppe il quale nulla ha fatto per impedire la strage annunciata e a lui nota. Una colpa che dal padre ricade immancabilmente sul figlio e con la quale il figlio dovrà fare i conti. Gesù lascia la sua casa e lascia una madre che, in contrasto con quanto sappiamo, non sembra avere con lui un gran rapporto. Per quattro anni segue il diavolo Pastore e il suo gregge. Conosce poi Maria di Magdala e ne diviene amante e compagno.
Una vita quasi comune, in sostanza, se non fosse per quei prodigi che l’uomo venuto da Nazaret continua a compiere e per i quali non c’è spiegazione né interpretazione. I discepoli verranno da sé e quasi per caso. E solo alla fine, quando il destino sta per compiersi, scopriremo di Gesù un lato più mistico e trascendente.
La voce di Saramago, come sempre, accompagna il lettore e, di tanto in tanto, lo richiama a riflessioni e ad osservazioni che potrei definire esterne alla storia che racconta. Sporadici spazi in cui tra chi scrive e chi legge si viene a creare un colloquio privato dal quale i protagonisti della vicenda sono del tutto esclusi, una onniscenza che riguarda solo lo scrittore e il lettore.
Riconoscere nel Dio raccontato da Saramago lo stesso Dio che i vangeli ci hanno trasmesso è praticamente impossibile. Così come è difficile riconoscere nel suo Gesù il giovane uomo consenziente e pacato che la tradizione impone. Il figlio dell’Uomo è costretto ad accettare la volontà di Dio solo perché non ha altra scelta e, comunque, pone delle condizioni: “Sai bene che non puoi porre condizioni, rispose Dio con espressione contrariata, Non chiamiamola condizione, chiamiamola richiesta, la semplice richiesta di un condannato a morte, Parla, Tu sei Dio, e Dio non può che rispondere con la verità a qualunque domanda gli venga rivolta, e quindi, essendo Dio, conosci tutto il tempo passato, la vita attuale, che si trova nel mezzo, e tutto il tempo futuro, Infatti, io sono il tempo, la verità e la vita, Allora, in nome di tutto ciò che affermi di essere, dimmi come sarà il futuro dopo la mia morte, che cosa ci sarà che non sarebbe esistito se io non avessi accettato di sacrificarmi alla tua insoddisfazione, a quel tuo desiderio di regnare su altre genti e altri paesi. Dio ebbe un moto di fastidio […] e tentò, senza grande convinzione, una risposta evasiva…“.
Quello di Saramago è un Dio quasi negligente, avido, volubile, desideroso di ampliare il suo regno ai danni di tutte le altre divinità fasulle. Egli vuole che il mondo lo glorifichi anche se questo genererà spargimenti di sangue senza fine, compreso quello del figlio che ha voluto mettere al mondo. Un figlio che, quindi, diviene solo uno strumento per accrescere e rafforzare il suo potere, una delle tante pedine da sacrificare per ottenere la grandezza desiderata.
La verità storica si mescola alla letteratura rendendo la vita di Gesù a tratti più plausibile e concreta di quella proclamata dai pulpiti. Anche la sua morte è molto più umana soprattutto perché somiglia in tutto e per tutto a quella di Giuseppe: “e quando il primo chiodo, sotto il brutale colpo del martello, gli perderò il polso nello spazio fra le due ossa, il tempo retrocesse in una vertigine istantanea, e Gesù provò il dolore che aveva sentito suo padre, si vide come aveva veduto lui, crocifisso a Sefforis, poi l’altro polso e, immediatamente, la prima lacerazione delle carni quando il patibolo cominciò a essere issato a strattoni verso la cima della croce, l’intero peso sostenuto dalle fragili ossa, e fu quasi un sollievo quando gli spinsero le gambe verso l’alto e un terzo chiodo gli attraversò i calcagni, adesso non c’è più niente da fare, c’è solo da attendere la morte“.
Ed è esattamente nel momento del trapasso che Gesù comprende pienamente di essere stato ingannato del padre divino il quale lo ha generato solo per condurlo alla croce. E mentre Dio, dal cielo, gli sorride non può che dire: “Uomini, perdonatelo, perché non sa quello che ha fatto“.
Edizione esaminata e brevi note
José Saramago nacque ad Azinhaga, in Portogallo, nel 1922. Non riuscì a completare i suoi studi tecnici e, dopo alcune occupazioni saltuarie, riuscì a lavorare come direttore di produzione nel campo dell’editoria. Il suo primo romanzo è “Terra del peccato” risalente al 1947. Fu avversato dal regime dittatoriale del suo Paese per questo si iscrisse al partito comunista, dal quale uscì nel 1969. Negli anni ’60 fu apprezzato per il suo lavoro di critico letterario. Negli anni ’70 pubblicò varie raccolte di poesie oltre a racconti e romanzi. Il vero, grande successo arrivò solo nel 1982 grazie a “Memoriale del convento” a cui fanno seguito, negli anni a seguire, “L’anno della morte di Ricardo Reis”, “La zattera di pietra”, “Storia dell’assedio di Lisbona”, “Il vangelo secondo Gesù Cristo”, “Cecità”. Nel 1998 a Saramago venne assegnato il Premio Nobel per la Letteratura. Lo scrittore, poeta e critico si è spento a Tias, nelle Isole Canarie, il 18 giugno del 2010, dopo una lunga malattia. Il suo ultimo libro è “Caino”, uscito nel 2009.
José Saramago, “Il vangelo secondo Gesù Cristo”, Feltrinelli, Milano, 2010. Traduzione di Rita Desti.
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