Félix de Belloy è un avvocato. Ma è anche il fondatore di “Proxité”, un’associazione che si occupa di giovani in difficoltà e delle loro famiglie. Un po’ per via del suo lavoro, un po’ per via di “Proxité”, de Belloy viene costantemente in contatto con ragazzi problematici che vivono nelle periferie parigine e che, con grande facilità, si avvicinano al mondo della delinquenza e del crimine.
“Il sole è una donna” arriva esattamente da questo universo. Al centro della vicenda, al contrario di quanto si potrebbe immaginare, non c’è un giovane beur ma sua madre. Assiah è una marocchina fuggita dal Paese natale nel momento in cui ha scoperto di essere incinta: una ragazza madre rinnegata dalla sua famiglia e rifugiatasi nei sobborghi parigini che cerca di far crescere, da sola e come può, suo figlio Mehdi.
L’io narrante è proprio quello di Assiah. La sua voce si muove costantemente su piani temporali diversi che lo scrittore, attraverso un linguaggio fluente e godibile, ha organizzato in una sequenza unica, priva di interruzioni o di salti evidenti. Al lettore il compito, tutto sommato non complicato, di distinguere il presente dal passato e seguire il monologo interiore della donna spaziando nel tempo.
Assiah lavora come donna delle pulizie ed è spesso assente. Torna a casa nel pomeriggio e Mehdi, ancora bambino, è lasciato alla vicina di casa. Fin da subito il figlio di Assiah mostra di essere particolarmente irrequieto ed ingestibile. Dà i primi problemi a scuola ed inizia a frequentare persone che non dovrebbe. La madre rimane fuori dal suo mondo, non è in grado di capire né di scoprire cosa faccia veramente suo figlio quando esce di casa e torna tardi. Lei si limita ad aspettarlo: “Rientrava sempre più tardi. Scendevo, percorrevo il piazzale a passi veloci, nessuno giocava a calcio, guardavo dappertutto attraverso la penombra, temendo di vederlo in mezzo ai gruppi di adolescenti, stringevo il cappotto contro di me, ero uscita troppo in fretta dall’appartamento, senza sciarpa né guanti ed era sempre lui che mi vedeva per primo, appariva d’un tratto sul mio cammino, scontento, parlandomi a bassa voce tra i denti, perché sei scesa, arrivo, va tutto bene, risali, arrivo, non voleva che mi vedessero, gli facevo promettere di rientrare in due minuti, risalivo in casa e lui arrivava cinque minuti dopo di me“.
Non passa molto tempo che Mehdi, seppur ancora adolescente, inizia ad avere guai con la giustizia: qualche bravata, un furto di CD fino ad arrivare alle rapine e allo spaccio. Insomma una trafila “standard” che, in generale, conosciamo alla perfezione ma che de Belloy riesce a rinnovare grazie alla scelta di mettere al centro della scena una madre, i suoi tormenti e le sue angosce.
Assiah vive in una sorta di limbo. Non riesce a controllare Mehdi, non capisce quasi nulla della vita di suo figlio, per lei rimane sostanzialmente il bravo ragazzo che ha cercato di crescere da sola, il bambino dalle ciglia scure e dai denti un po’ sporgenti a cui raccontava fiabe. La donna lo segue incondizionatamente attraverso i percorsi di detenzione e recupero, e cerca di suggerirgli, del tutto inutilmente, cambiamenti di vita. In realtà Assiah non è in grado di parlare a suo figlio, non sa come rimproverarlo, con quali parole. Il tabù di un padre mai conosciuto si scioglie tra le lacrime e i silenzi senza avere mai spazio nei discorsi madre-figlio. Assiah scopre e usa i soldi che Mehdi porta in casa, lo vede guidare un’auto non sua, telefonare da cellulari sempre nuovi e vestire abiti che lei non può comprargli ma non gli fa domande e si accontenta regolarmente delle scuse che il figlio inventa.
La troviamo, fin dalla prima pagina, immobile sulla sedia a rotelle e da sola. Assiah è malata ma Mehdi è andato via lasciandole a disposizione il telecomando ed un telefono: “Non tornerà. Se ha messo il telecomando davanti a me, sul tavolo, è perché non aveva intenzione di tornare. Se ne è andato di nuovo e non tornerà“.
La fragilità di Assiah rappresenta la forza e il nucleo dell’intera storia. Per una volta ci si trova a ribaltare un po’ gli schemi e a trovare al centro del romanzo non il giovane emarginato, difficile ed irrecuperabile, ma sua madre. Lo sguardo di una donna che è riuscita a strappare se stessa dalla vergogna di una gravidanza fuori dalle regole, ma che non sa come gestire un figlio così sfuggente e complicato. Assiah prende atto delle violenze del figlio quando qualcun altro gliene parla ma, nonostante questo, respinge l’idea e si ostina, in un modo tutto suo, a negare l’evidenza. Si sente inadeguata ed incapace e in effetti lo è, eppure il lettore non può non provare un moto di tenerezza e di affetto per questa donna commovente che, nonostante tutto, spera che le cose possano cambiare, che suo figlio torni a casa e che abbia finalmente trovato un posto al mercato per poter vendere i sacchetti di erbe profumate.
Edizione esaminata e brevi note
Félix de Belloy è nato nel 1974 e lavora come avvocato a Parigi, città nella quale vive dal 1993. Nel 2002 ha fondato l’associazione “Proxité” che si occupa di sostegno scolastico per ragazzi in difficoltà dei quartieri della periferia parigina Saint-Denis, Nanterre e Noisy-le-Grand. Nel 2003 ha pubblicato il romanzo “La Gifle au bon Dieu” e nel 2009 “La soleil est une femme”, tradotto e pubblicato in Italia da Del Vecchio Editore nel 2011 col titolo di “Il sole è una donna”.
Félix de Belloy, “Il sole è una donna”, Del Vecchio Editore, Roma, 2011. Traduzione di Cristina Vezzaro.
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