Un libro breve ma prezioso, “La strage dimenticata”. Camilleri, un po’ come spesso ha fatto Sciascia, va a scavare in quei pezzetti di storia che la Storia ha dimenticato o, più banalmente, deciso di trascurare. Si tratta di episodi minimi seppur impregnati di una tragicità che non dovrebbe permettere sconti di memoria.
La scrittura di Camilleri è, come sempre, brillante e sferzante, dispensa ironia e sagacia ma non nasconde né accuse né amarezza. D’altro canto si parla di due stragi. La prima ha condotto alla morte 114 uomini, la seconda altri 15 ma nelle cronache nazionali del 1848 dei due eventi siciliani non si fa menzione. Eppure quell’anno, tanto eclatante per via delle numerose rivoluzioni che infiammarono il Vecchio Continente, ha avuto un peso notevole anche nella storia della Sicilia ed italiana. Basti rammentare che il 12 gennaio del 1848 a Palermo scoppiò quella grande rivolta che arrivò, non molto tempo dopo, fino a Napoli costringendo re Ferdinando II a concedere la prima Costituzione mai emanata in uno Stato italiano.
Le due micro-cronache di cui parla Camilleri, come detto, non si trovano sui libri. Egli stesso ricostruisce i fatti grazie ai ricordi di sua nonna Carolina e a qualche sparuto documento ufficiale saggiamente recuperato.
Le 114 vittime della prima vicenda, i cui nomi sono ordinatamente scritti al termine del libro, erano “servi di pena”, una definizione con la quale si usava indicare al tempo i detenuti. Uomini ospitati presso la Torre penitenziaria di Agrigento, costruita nel ‘500 in Borgata Molo: “la Torre è in realtà un piccolo, tozzo castello rozzamente finalizzato agli scopi per cui venne pensato: a nessuno cioè […] il torrione, in origine, sorgeva in mezzo alle acque ed era collegato alla pilaja solo da un ponte levatoio (poi in muratura). Divenuta, coi Borboni, bagno penale e, dopo l’Unità, carcere, la Torre, pur nel variare delle situazioni politiche, coerentemente dunque non cangiò la sua destinazione…“.
Nella Torre, al tempo dei fatti, erano accolti intorno ai duecento ergastolani che, durante il giorno, venivano condotti a lavoro suddivisi in squadre ed obbligati al silenzio assoluto. “Tutti i lavori dei forzati erano (lo si è detto) dati in appalto, e l’appaltatore poteva permettersi il lusso di tenere i prezzi bassi, pur arricchendosi, perché dava ai suoi lavoranti un salario letteralmente da schiavi“. La maggior parte dei condannati, una volta ricondotti alla Torre, la sera, venivano per lo più sistemati dentro la grande fossa centrale e bassa che trasudava acqua di mare.
La rivolta del ’48 riuscì a toccare anche la Borgata Molo tanto che un gruppetto di ergastolani, quelli addetti ai lavori agricoli, si diede alla fuga dopo essere riuscito a sbaragliare le guardie. Il presidio della Torre era nelle mani del maggiore Emanuele Sarzana il quale assisteva impotente, durante le prime settimane del 1848, al graduale sbaraccamento dei borbonici dal luogo. Nell’arco di poche ore una folla di persone, per lo più formata dai parenti dei carcerati che volevano ottenerne, anche con la forza, la liberazione, si presentarono sotto la Torre. Sarzana, rendendosi conto del pericolo, scelse di difendersi in maniera piuttosto decisa: si rinserrò nella Torre con gli ergastolani. Obbligò i carcerati a spostarsi tutti nella fossa, spostò tutti i soldati sulla terrazza posta in cima alla Torre e fece isolare la scala affinché i detenuti non potessero attaccarli alle spalle. Il problema però è un altro: isolando la scala con le chiusure previste, Sarzana chiuse anche l’unica presa d’aria della fossa. La sparatoria tra i soldati della terrazza e i rivoltosi attorno alla Torre durò parecchio e senza risultati degni di nota. I forzati, intanto, soffocavano e continuavano ad urlare. Sarzana, avvisato dai suoi soldati, pensò che fosse il caso di allentare la pressione lanciando alcuni petardi tra gli ergastolani e di isolarli subito dopo. Anche da fuori, la folla, capì che qualcosa di tragico era avvenuto all’interno della Torre. I 114 detenuti morirono tutti. Soffocati o arsi vivi.
La colpa? Ovviamente di quei rivoltosi che si erano assiepati, più o meno armati, sotto la Torre. “Questa chiamata in correo sono certo che avrà trovato in quelle ore molti sostenitori in paese: è comunque uno dei pilastri sui quali poggia la congiura del silenzio intorno alla strage“.
Anche a Pantelleria giunse “il botto della rivoluzione del ’48“, anche se un paio di mesi più tardi rispetto a Palermo, ed anche a Pantelleria si arrivò ad una strage. Più piccola di quella della Torre, ma pur sempre una strage e comunque dimenticata dalla Storia. “Era infatti successo che c’era, nell’isola, un uomo che aveva aperto troppi conti con la gente del luogo: si trattava di don Federico Nedele, ricevitore di dogana e capo della polizia, scapolo e con fama di inflessibilità. Il galantuomo, difatti, amava sottoporre i colpevoli, prima di spedirli in galera, a pubblico supplizio“. Appena la rivoluzione fece, seppur blandamente, la sua comparsa in questa terra, don Federico assieme a suo fratello uterino Giuseppe Pineda e all’anziana madre si rinchiusero nella loro vecchia villa. Una delegazione, quindi, con un tranello cercò di entrare nell’abitazione e vi riuscì sfruttando un “pezzo da novanta”, un mafioso locale. Don Federico si fidò ma cadde in trappola e venne ucciso insieme ai suoi familiari. Ovviamente il “pezzo da novanta” finse di essere stato ingannato a sua volta e solo ventiquattro ore dopo “l’ammazzatina” vennero catturate quindici persone che “per voce popolare” avevano partecipato all’aggressione e all’assassinio. I notabili del luogo, riunitisi per una fasulla battuta di caccia, si recarono nella cella del Castello dove erano rinchiusi i quindici malcapitati e li massacrarono. Il prete di Pantelleria non ne registrò mai il decesso.
Edizione esaminata e brevi note
Andrea Camilleri nasce a Porto Empedocle (Agrigento) il 6 settembre 1925. E’ regista, sceneggiatore, scrittore, saggista, poeta, autore di teatro e di televisione. Al suo nome sono legati, tra gli altri, i primi telefilm polizieschi italiani: il Tenente Sheridan e il Commissario Maigret. L’esordio di Camilleri nel mondo della narrativa avviene nel 1978 con “Il corso delle cose”. La grande notorietà dello scrittore è legata al personaggio del Commissario Montalbano, protagonista di numerosi romanzi ed apparso per la prima volta ne “La forma dell’acqua” del 1994. Montalbano è stato trasposto in una serie TV: il protagonista è interpretato da Luca Zingaretti.
Andrea Camilleri, “La strage dimenticata”, Sellerio, Palermo, 1997.
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