Anche per il suo terzo romanzo Cristiano Cavina resta a Casola Valsenio, il piccolo paese in provincia di Ravenna dove è nato e vive. Credo che la maggior parte degli uomini italiani (e non solo) si ritroverebbero perfettamente in ogni frase, in ogni espressione e in ogni passaggio del romanzo. Perché la maggior parte degli uomini italiani (e non solo), come Cavina, da ragazzini hanno giocato partite di calcio lunghe una giornata, di quegli incontri mitici ed irripetibili tanto simili, ai loro occhi, alle partite più importanti del campionato, coi tiri e i goal proprio uguali a quelli del calciatore del cuore visti in TV la domenica pomeriggio. Partite su campi di terra battuta, tra sassi e polvere, con corse forsennate, falli invisibili e nessun arbitro a parte loro stessi e un po’ di buon senso.
L’ultima stagione di cui parla Cavina è quella di un gruppo di amici, compagni di scuola e di gioco. Stagione 1985/1986, ultimo anno di scuola media. Tredicenni come tanti. Ragazzini dai nomi trasformati regolarmente in soprannomi e cresciuti in un piccolo paese di provincia. Tra loro c’è Donna Nuda, Piter Cammello, il Povero Patrizio, Ragno della Storta, Buitre Berna, Isola, il Grande Poggio e un Cavina a cui basta un solo Oh, te: “in Romagna c’è una tradizione di nomignoli: solo il prete usa il vero nome, il giorno del battesimo”.
Il richiamo del pallone è per loro qualcosa di ancestrale al quale è inutile resistere. Non valgono i rimproveri delle madri né i richiami degli insegnati né quelli di Fratello Lasi. La giovanile A.C. Casola Valsenio si prepara alla sua ultima stagione da esordienti, quella che precede mutazioni di vita inevitabili. L’allenatore, con i suoi modi spartani e un tantino brutali, i tifosi dal linguaggio colorito, gli avversari visti spesso come eserciti nemici o super eroi contro cui organizzare imprese mai viste prima sono descritti con la memoria di un ragazzino che ragazzino non è più. Le frasi di Cavina sono brevi e sferzanti, si susseguono con vivacità ed inevitabile candore. Un campionato vissuto tra trasferte e partite in casa, nell’inespugnabile stadio Enea Nannini di Casola, domenica dopo domenica tra entusiasmi, sconfitte e trovate geniali come la “zona stracciatella” o la testa di cinghiale usata a mo’ di amuleto. La finale col Borgo Ghibellino, succursale dell’Inferno, sarà tra le partite più memorabili della storia.
Una storia di grandi amicizie e, soprattutto, di passione per lo sport. Quello genuino e incontaminato che il “dio del calcio” sembra ancora tenere sott’occhio nei campi di provincia dove sono cresciute miriadi di ragazzini. L’amore di Cavina per i luoghi in cui vive domina ogni pagina. Lo scrittore ci presenta un fantasmagorico microcosmo pieno zeppo di personaggi indimenticabili che solo chi è nato e vissuto in luoghi del genere può capire ed apprezzare fino in fondo. Agli altri, probabilmente, solo la fatica di provare ad afferrare la bellezza di rapporti umani fatti di facce e vite conosciute per filo e per segno, una per una, soprannomi compresi.
Edizione esaminata e brevi note
Cristiano Cavina è nato a Casola Valsenio, provincia di Ravenna, nel 1974. E’ cresciuto insieme a sua madre e ai suoi nonni materni. Non ha mai amato studiare, ma ha sempre avuto una grande passione per la lettura. Il suo primo romanzo è stato pubblicato nel 2003 e si intitola “Alla grande”. Segue, nel 2005, “Nel paese di Tolintesàc” grazie al quale Cavina viene conosciuto in tutta Italia. Nel 2006 pubblica “Un’ultima stagione da esordienti”, nel 2008 “I frutti dimenticati” e nel 2010 “Scavare una buca”. Tutti i libri di Cavina sono editi da Marcos Y Marcos.
Cristiano Cavina, “Un’ultima stagione da esordienti”, Marcos Y Marcos, Milano, 2012.
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