In “Ararat” si denuncia, sopra ogni cosa, la mancanza di memoria. Dello sterminio perpetrato dai Turchi ai danni degli Armeni, purtroppo, se ne è parlato, e se ne parla, sempre poco o per niente. E’ per questo che anche i discendenti dei pochi sopravvissuti devono cercare la verità. Il mondo, infatti, fatica ancora oggi a riconoscere concretamente uno dei genocidi più feroci del XX secolo.
“Quando ero piccolo a me nessuno ha raccontato niente. Soltanto ora ho letto qualcosa, per entrare meglio nella parte. E ho visto che, certo, ci sono state delle deportazioni. Sono morti in parecchi, Armeni e Turchi… del resto era in corso un guerra mondiale…”: ecco le parole di Ali, un canadese d’origini turche, uno dei personaggi del film di Egoyan. Questa la versione, del tutto scorretta, che i Turchi raccontano e si raccontano per spiegare una delle pagine più vergognose della loro storia.
E’ complicatissimo narrare un genocidio. Infatti Egoyan non ci riesce. E forse è proprio questa la bellezza racchiusa in “Ararat”: la sua straordinaria incompiutezza. Si avverte, quasi con sofferenza, l’impossibilità per il regista di origini armene di narrare con perfezione e giusto distacco un evento così tragico e così intimo. “Ararat” porta in sé troppe storie le quali finiscono per soffocare in loro stesse come una costruzione che implode per l’eccessivo peso che le impongono di sopportare.
Il passato, il presente e il racconto fatto nel presente di quel passato si mescolano continuamente attraverso immagini e ricordi. Dentro “Ararat” si gira un film che si intitola “Ararat”, diretto da un canadese d’origini armene che ha il volto di un francese di origini armene ossia Shanhnour Vaghinagh Aznavourian, meglio noto come Charles Aznavour. I nessi tra la realtà e la finzione sono più che evidenti. Nella vicenda del film girato all’interno del film è contenuta, tra altre, quella del pittore Arshile Gorky, anche lui sopravvissuto al genocidio e scampato, da esule, negli Stati Uniti.
Si finisce, spesso, per inciampare in qualche complicanza di troppo e in qualche ingranaggio che scricchiola vistosamente. Il puzzle di vicende e personaggi che Egoyan dispone, seppur in modo squilibrato e caotico, alla fine e con un po’ di fatica, ritrova il suo ordine narrativo. Ho colto grande forza ed intensità in alcuni dialoghi, soprattutto quando prevedono una riflessione sul dolore incessante e sull’odio che, nonostante tutto, gli Armeni continuano ad avvertire intorno a loro. Oltre alla comune difficoltà di trovare un modo per conciliare quel passato terribile con un presente che tace o tende a voler dimenticare cancellando troppo rapidamente responsabilità o colpe.
“Ararat” ha conquistato decine di riconoscimenti nazionali ed internazionali. Forse non perché sia un’opera d’arte (perché non lo è), ma perché è un film coraggioso inteso in senso letterale, ossia realizzato col cuore. E, in questo senso, è un film da vedere.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Atom Egoyan
Titolo originale: Ararat
Soggetto: Egoyan
Sceneggiatura: Egoyan
Fotografia: Paul Sarossy
Montaggio: Susan Shipton
Costumi: Pasternack
Musica: George Fenton
Interpreti principali: Aznavour, Eric Bogosian, Christopher Plummer, Brent Carver, Bruce Greenwood, David Alpay, Marie-Josee Croze, Arsinee Khanjian, Elias Koteas
Scenografia: Phillip Barker
Origine: Canada/Francia(2002)
Durata: 126′
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