Il racconto lungo “Lo sconosciuto” è in realtà un estratto da “Suite Francese”, l’ultimo romanzo della Némirovsky, rimasto incompiuto e avente come tema principale l’invasione e occupazione tedesca della Francia nel maggio 1940 con il conseguente esodo della popolazione. Sono fatti che la scrittrice ha vissuto in prima persona, in modo tragico e con un epilogo ancora peggiore, dal momento che è stata deportata ad Auschwitz e lì uccisa.
Questo breve e intenso testo non fa che confermare la bravura della Némirovsky come scrittrice, la sua grande capacità di ricreare atmosfere con intense descrizioni che, come schizzi a carboncino, riescono in pochi tratti a trasportarci nei luoghi del racconto e a farci sentire gli stati d’animo dei personaggi.
In questo caso si tratta di due fratelli, entrambi soldati che, in una non precisata stazione del Belgio ormai occupato dai tedeschi – siamo nel 1940 – stanno aspettando il treno che li riporterà al fronte, dopo la licenza ottenuta per il matrimonio della sorella. Claude e François hanno una differenza d’età di dieci anni, l’uno ha visto e aiutato l’altro a crescere, soprattutto dopo che il padre è stato dato per disperso durante la prima guerra mondiale.
La narrazione pare svolgersi su due piani. Da un lato vi sono le riflessioni e le confidenze tra i due fratelli e la condivisione di un fatto tragico, che ancora popola i sogni del maggiore. Quattro mesi prima infatti, durante una perlustrazione in un desolato villaggio ha ucciso un tedesco e ha scoperto che il ragazzo aveva una fotografia inquietante….e somigliava molto al loro padre.
Dall’altro lato c’é l’animazione della stazione, il suo popolarsi di gente diversa, in fuga, che intanto finisce per sostare in quello che dovrebbe essere un luogo di transito. La sirena della città suona continuamente, pressoché a vuoto:
“Non essendo finora caduta nessuna bomba sulla regione, non ebbe altro effetto se non quello di far aprire gli occhi a qualche bambino addormentato fra le braccia della propria madre: si svegliava e guardava allora sorpreso tutta quella gente che correva e parlava intorno a lui; poi nascondeva il volto fra il collo e la dolce spalla familiare, e ritrovava il sonno”.
Il bambino appare come l’innocente travolto in eventi più grandi di lui, creatura dall’incerto destino.
Verso la fine del racconto, il movimento di gente aumenta, i rifugiati errano angosciati come anime in pena, si cercano e portano con sé quel poco che hanno potuto, biancheria, abiti, qualcuno la gabbia con gli uccellini o la cesta col gatto di casa, bestiole che la pena e l’affetto hanno impedito di abbandonare e anche ultimi residui di una normalità casalinga ormai perduta.
Non mancano emergenze per due donne incinte, l’una è in travaglio, l’altra è in pericolo per un’emorragia.
La Némirovsky descrive tutto il disagio e l’assurdità di queste vicende di guerra, che sconvolgono vite, paesi, confini. “Che spaventosa mescolanza di popoli” osserva François. C’é tutta un’umanità stravolta e destinata spesso a una tragica fine.
In questo rimescolamento di tutto, s’inserisce la vicenda dei due fratelli, il segreto che condivideranno di comune accordo. C’é, in poche pagine, tutta la bestialità della guerra, quel mettere l’uomo contro l’uomo, il fratello contro il fratello tanto che si crea il caos, il disordine più assoluto. La Némirovsky è lucida, mai patetica, ha uno stile pulito, curato, incisivo. Queste poche pagine costituiscono una vera chicca, arricchita dalla bellissima nota di lettura di Jean-Louis Ska.
Edizione esaminata e brevi note
Irene Némirovsky, (Kiev 1903-Auschwitz 1942) scrittrice ucraina in lingua francese. Figlia di un ricco ebreo russo di origini francesi, ex commerciante di granaglie e divenuto uno dei più potenti banchieri di tutte le Russie, si appassiona alla letteratura – soprattutto francese – in giovanissima età. Impara il francese dalla sua governante, ma parla anche il polacco, il russo, l’inglese, il basco, il finlandese e capisce lo yiddish.
Nel 1917 a causa della rivoluzione la Némirovsky lascia in fretta San Pietroburgo con la famiglia per rifugiarsi in Francia, dove si sistema definitivamente. Il suo primo romanzo “David Golder” (1929), pubblicato da Grasset, riscuote grande successo. Nel 1926 sposa Michel Epstein, giovane ingegnere, dal quale avrà due figlie. Negli anni successivi a causa dell’antisemitismo si converte al cristianesimo e fa battezzare le figlie, nella speranza di salvarsi dalla furia nazista. Arrestata, morirà ad Auschwitz, il marito avrà la stessa sorte poco tempo dopo.
Opere: “Il ballo” (1930); “Come le mosche d’autunno”(1931); “L’Affaire Courilof” (1933); “Le vin de solitude” (1935); “Suite francese “ (postumo nel 2004, pubblicato dopo il ritrovamento del manoscritto).
Jean-Louis Ska, gesuita belga, professore al Pontificio Istituto Biblico di Roma. Considerato tra i maggiori esegeti contemporanei, è autore di opere tradotte in inglese, francese, spagnolo, portoghese, cinese e giapponese.
Irene Nemirovsky, Lo sconosciuto, Nota di lettura di Jean-Louis Ska. Traduzione di Giovanni Ibba. Bologna, Edizioni Dehoniane 2018.
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