Leggere libri sull’Olocausto, in fondo, vuol dire imbattersi nella stessa tragedia. Vuol dire ritrovare un dolore senza fine, violenze inaudite, ferocia, morte, annientamento. Leggere libri come quello di Marta Ascoli è un po’ come incontrare una faccia già vista, una voce già sentita, un odore già noto. Sappiamo tutti cosa sia accaduto ad Auschwitz. Lo sappiamo da tanti anni, conosciamo dettagli aberranti e conosciamo i nomi di chi li ha perpetrati. Eppure leggere la storia di una deportata è e rimane un compito fondamentale, una lezione di vita e di storia essenziale.
Marta Ascoli nasce a Trieste nel 1927. Ha solo 17 anni quando due SS entrano nella sua casa e la portarono via, assieme a sua madre e a suo padre. Lui è ebreo. Tanto basta ai nazisti per ritenere che anche Marta lo sia. I tre vengono condotti presso la Risiera di San Sabba. E’ esattamente il 19 marzo del 1944. “La Risiera, per gli ebrei, fu anche campo di transito, da dove venivano mandati ad Auschwitz…“. Infatti, alla fine del mese, Marta e suo padre sono rinchiusi in un vagone per bestiame ed inviati verso la Slesia, Polonia, ad Auschwitz. La madre, invece, viene liberata ma non saprà nulla di suo marito e di sua figlia per molto tempo e quando, dopo alcune richieste scritte, riceverà delle informazioni, risulteranno, a posteriori, del tutto inventate: i gerarchi tedeschi comunicano alla donna (nel libro sono riprodotte le lettere ricevute dal comando SS) che i due prigionieri sono deceduti durante un incidente ferroviario e sono bruciati nel rogo susseguente.
Ovviamente non è andata così. Non per Marta. Giunti ad il padre viene separato da lei ed ucciso poco dopo. La ragazza, invece, è rinchiusa insieme a tantissime altre donne in uno dei sette campi del lager. Nelle pagine del suo libro la Ascoli spiega con semplicità e linearità ogni dettaglio dell’organizzazione del luogo. Le sue parole sono istantanee aberranti di un inferno ricostruito e reinterpretato sulla Terra: il fango, il freddo, i maltrattamenti, la fame, le difficoltà con la lingua, la fatica, le malattie, i furti, la paura. Le condizioni di vita sono a dir poco atroci. Ogni collaudatissima e puntuale prassi messa a punto dai nazisti all’interno del campo comporta un costante, inarrestabile, raccapricciante processo di svuotamento di ogni traccia di umanità. Un meccanismo perverso e privo di qualsiasi segno di indulgenza che non lascia spazio né alla speranza né alla volontà.
E’ per questo che Marta, dopo essere stata trasferita a Bergen-Belsen nel tragico tentativo dei Tedeschi di ritirarsi verso ovest a seguito dell’avvicinarsi dei Russi, pensa che l’unico modo per tornare ad essere libera è quello di uccidersi.
“Un pensiero mi assillava: morire prima possibile per evitare il prolungarsi di atroci sofferenze. Io, che avevo cercato di resistere fino all’ultimo, ero ormai distrutta. Invocavo la morte che si attardava su di me, invidiavo chi al mio fianco aveva finito di soffrire. Cercavo soltanto il modo per chiudere al più presto questa indicibile agonia“. Marta cerca di farsi sparare da un militare posto di guardia lungo il filo spinato che circondava il campo. Il ragazzo, che non era un SS, non le spara. Anzi, si volta e si allontana. “Il mio tentativo fallì, ma il gesto sta a dimostrare a che punto fosse giunta la mia disperazione, sapendo che mi attendeva una fine atroce assieme agli altri“.
Il 15 aprile del 1945 Marta e i prigionieri come lei vengono liberati dagli inglesi.
La testimonianza di Marta Ascoli è di una semplicità sconcertante e, proprio per questo, proprio perché nel suo racconto, così limpido e fermo, non si rileva alcuna velleità letteraria, risulta ancora più dolorosa e vera. Una verità che la Ascoli ha voluto trasmettere a distanza di tantissimi anni, solo quando quegli eventi sono divenuti affrontabili. Scrivere “Auschwitz è di tutti” è stato per lei un dovere umano, personale e sociale per non permettere che quanto accaduto sia dimenticato e perduto. Perché Auschwitz diventi e resti di tutti, un emblema incancellabile di una delle pagine più odiose della storia del ‘900: “Auschwitz è patrimonio di tutti. Nessuno lo dimentichi, nessuno lo contesti. Auschwitz rimanga luogo di raccoglimento e di monito per le future generazioni”.
Edizione esaminata e brevi note
Marta Ascoli è nata a Trieste nel 1927. E’ stata deportata ad nel 1944, dopo una breve detenzione presso la Risiera di San Sabba. E’ sopravvissuta all’Olocausto ed è tornata nella sua città natale il 9 luglio 1945. “Auschwitz è di tutti” è stato pubblicato per la prima volta nel 1998 dalla Lint Editoriale (Trieste) e successivamente, nel 2011, dalla Rizzoli.
Marta Ascoli, “Auschwitz è di tutti”, Rizzoli, Milano, 2011.
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