Il 1° ottobre del 1862 nella città di Palermo si verifica “un fatto criminale di orrida novità“. Tredici persone, in tredici punti diversi del capoluogo siciliano, vengono pugnalate quasi in contemporanea.
Solo pochi mesi prima, esattamente nel maggio del 1862, l’avvocato piemontese Guido Giacosa era stato nominato Sostituto Procuratore Generale del Re presso la Corte d’Appello di Palermo. Ed è proprio a Giacosa e al Consigliere Mari che vengono affidate le indagini per scoprire la verità circa questa efferata vicenda. Viene catturato a breve uno dei pugnalatori, Angelo D’Angelo, grazie al quale, gradualmente, si conoscono i nomi degli altri esecutori e l’identità dei mandanti.
Siamo in una Sicilia da poco annessa al giovanissimo Regno d’Italia, proclamato solo un anno prima. Molti nobili del luogo, pur avendo fornito, almeno apparentemente, il loro appoggio e la loro collaborazione al nuovo Stato Italiano, continuano, in maniera piuttosto subdola e disdicevole, ad agire affinché le cose tornino come prima cercando, ovviamente, di trarre i massimi vantaggi dall’una e dall’altra occorrenza.
Il caso de “I pugnalatori” viene risolto con grande arguzia e perizia da Giacosa che riesce a mettere in luce un infido complotto ordito al fine di destabilizzare il delicato equilibrio sociale e politico appena instaurato. Accoltellare tredici persone innocenti, del tutto estranee l’una all’altra e senza nessuna ragione evidente doveva indurre (e infatti indusse) i cittadini a provare paura, a temere per la loro sicurezza, a constatare come durante il precedente “regime” episodi del genere non sarebbero mai accaduti.
Gli esecutori, uno dopo l’altro, vengono identificati ed arrestati. Alcuni di loro sono condannati alla pena capitale per ghigliottina ma, oltre al “braccio”, Giacosa e Mari individuano anche la “mente” dell’operazione terroristica ottocentesca siciliana. Si tratta, nemmeno tanto casualmente, di alcuni potenti ecclesiastici e di un nobile del luogo, il principe di Sant’Elia, nominato senatore del Regno e vicino alle alte cariche statali del tempo.
Le evidenze e le testimonianze non lasciano scampo eppure i mandanti di quella agghiacciante azione criminale, coloro i quali avrebbero dovuto rispondere più degli altri dei loro atti di fronte alla Legge, non vengono nemmeno sfiorati dalle accuse.
Il sistema li protegge fino all’estremo, persino durante l’interpellanza alla Camera dei Deputati, discussa il 17 aprile 1863. In quella circostanza lo stesso ministro Pisanelli difende gli illustri accusati e si prepara, “ché allora il ministro della Giustizia poteva”, a trasferire altrove i rappresentanti dell’ordine e della legge. Giacosa, infatti, lascia Palermo la sera del 29 maggio 1863 per tornare in Piemonte.
Il senso di tutta questa storia si condensa nelle ultime righe del libro di Sciascia: “Ad un certo punto del suo intervento sull’interpellanza La Porta, Francesco Crispi aveva detto: «Penso che il mistero continuerà e che giammai conosceremo le cose come veramente sono avvenute». Si preparava così a governare l’Italia”.
L’idea per la ricostruzione di questo episodio di cronaca venne fornita a Sciascia da un testo di Nina Ruffini intitolato “Un magistrato piemontese in Sicilia: 1862-1863”. E’ da questo breve documento che lo scrittore di Racalmuto ha preso spunto per la redazione de “I pugnalatori”, una tra le sue opere minori, forse tra le meno note, ma di certo non meno acuta e perspicace di altre. L’ennesima ricostruzione storica di una piccola ma tutt’altro che insignificante vicenda siciliana ed italiana che Sciascia ricostruisce attraverso un lavoro di ricerca e di documentazione accuratissimo: vengono presentati i nomi, i tempi e le circostanze legati a fatti troppo a lungo, o troppo frettolosamente, dimenticati.
La riflessione che nasce dalla lettura de “I pugnalatori” non può che riportare ai nostri tempi. Non si può non pervenire all’amara constatazione che, nonostante sia trascorso un secolo e mezzo, alcuni meccanismi, alcuni giochi di potere, alcune insane “abitudini” siano rimaste immutate e continuino a partorire ingiustizia.
Edizione esaminata e brevi note
Leonardo Sciascia nasce a Racalmuto, provincia di Agrigento, nel 1921. La sua prima opera, Favole della dittatura, risale al 1950. L’attività letteraria di Sciascia tocca vari ambiti, dalla narrativa con opere come Le parrocchie di Regalpetra (1956), Gli zii di Sicilia (1958), Il giorno della civetta (1961), Il consiglio d’Egitto (1963), A ciascuno il suo (1966), Il contesto (1971), Todo modo (1974), La scomparsa di Majorana (1975), Candido (1977); alla saggistica: La corda pazza (1970), Nero su nero (1979); alle opere di denuncia sociale ed episodi veri di cronaca nera: Atti relativi alla morte di Raymond Roussel (1971), I pugnalatori (1976) e L’affaire Moro (1978). Sciascia, nel 1979, accetta di candidarsi al Parlamento Europeo e alla Camera dei Deputati per il Partito Radicale. Riesce in entrambi gli ambiti, ma sceglie l’incarico di deputato, attività che porta avanti fino al 1983 occupandosi in maniera costante dei lavori relativi alla Commissione d’Inchiesta sul rapimento Moro. Le ultime opere di Leonardo Sciascia sono A futura memoria (pubblicato postumo) e Fatti diversi di storia letteraria e civile (1989). Lo scrittore muore a Palermo il 20 novembre del 1989. E’ sepolto a Racalmuto.
Leonardo Sciascia, “I pugnalatori”, Adelphi, Milano, 2007.
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