Cronaca di una formazione. Potrebbe essere questo il sottotitolo di “Shahid”, secondo romanzo del giornalista e scrittore Maurizio Piccirilli. La penna è senza dubbio quella di un uomo abituato a scrivere notizie e a fare informazione. Infatti non c’è molta letteratura in “Shahid”, un libro che vuole essere, ed è, un resoconto lineare, nitido e fin troppo elementare di come un giovanissimo immigrato tunisino possa tramutarsi in un martire della “jihad”, la cosiddetta guerra santa islamica.
Ahmed vive a Tunisi. Come tutti i suoi coetanei è affascinato dall’Occidente e dalle sue lusinghe: “Il passatempo di Ahmed, quando iniziava la stagione turistica, era di andare sulla spiaggia a vedere le straniere in bikini che si godevano il sole e il mare di questa terra antica. Mai però aveva avuto il coraggio di attaccar discorso. Né lui né i suoi compagni. Troppo presi dalla loro noia e da quei sogni troppo lontani”.
Noia. Una parola e una sensazione che ricorre spesso in questa storia. Una condanna, un incubo da cui fuggire. Per questo Ahmed, un giorno, prende le sue cose ed abbandona casa e famiglia. Si imbarca su un peschereccio. Come tantissimi connazionali tenta l’approdo sul Vecchio Continente. Arriva in Italia e si mescola ai tanti che vivono clandestinamente. Ahmed vive quello che la cronaca ci racconta ogni giorno: lavori precari e mal pagati, piccoli furti e qualche stecca di hashish da spacciare in giro. Milano è enorme e diffidente, Ahmed e quelli come lui sono ai margini o ancora più distanti. E ci vuole poco a precipitare ancora nell’odiata sensazione di noia. “La vita scorreva lenta, era tornata la solita noia di sempre e l’amarezza di tanti fallimenti”.
Prima qualche mese di carcere e poi la vicinanza a Mohammed Nasri, un tunisino che ha fatto fortuna. E’ lui che offre un lavoro ad Ahmed e lo invita a casa sua. Ed è proprio in quella casa che Ahmed si accosta, per la prima volta, alla jihad. E’ lì che segue i video degli attentati contro gli infedeli e ascolta discorsi per lui complicati ma affascinanti. Si aprono per il ragazzo prospettive inaspettate. L’amico Fezzani lo riavvicina all’Islam. Per Ahmed la sua religione era sempre stata il Ramadan, la festa della pubertà e poco altro. Ora, accanto a Fezzani, il giovane tunisino frequenta la moschea di viale Jenner e inizia a condividere certe idee: “Una sera Ahmed si sentì pronto. Ci aveva pensato a lungo. La notte mentre insonne fissava il soffitto, all’alba durante il tragitto verso il lavoro, mentre Milano ancora sonnacchiosa scorreva dal finestrino dell’autobus. Si disse che era pronto. Era convinto. Stava sconfiggendo la noia. La cura era quell’impeto che i suoi fratelli gli infondevano. L’impeto, lo sforzo per migliorarsi. La jihad, insomma”.
Da qui all’Afghanistan il passo, per Ahmed, è breve. L’addestramento, la fatica, le istruzioni dei mujaheddin, mesi e mesi di studio e di preparazione, di armi, esplosivi e Corano. La mente e il corpo di Ahmed si trasformano in un’arma. In una mina pronta ad esplodere appena qualcuno, dall’alto, avesse deciso che per lui fosse giunto il momento.
Ahmed, rientrato in Italia, resta una delle tante cellule dormienti pronte ad attivarsi a comando. L’amore e la passione per Amina, una giovane marocchina conosciuta nell’Internet point, sono solo una breve distrazione “narrativa”. Ahmed è uno Shahid e il suo destino è segnato.
Tra le maglie del suo romanzo, Piccirilli insinua, come uno spietato corollario, brani e tracce di documenti giudiziari realmente esistenti: trascrizioni di telefonate intercettate, testi di documenti originali rinvenuti nei campi di addestramento di Al-Quaeda, confessioni di terroristi arrestati. Il tocco dello scrittore-giornalista è fin troppo evidente e probabilmente toglie alla vicenda di Ahmed un’aura immaginifica che non avrebbe stonato. Lo stile è asciutto, a tratti asettico, mentre l’approccio dell’autore ad una tematica tanto complessa, sia dal punto di vista umano che sociale e psicologico, appare vagamente sbrigativo, quasi sommario. Al lettore, alla fine, la possibilità di compiere una riflessione su quanta responsabilità abbiano le società occidentali nel processo che porta un giovane, islamico e non, a tramutarsi in uno Shahid.
Edizione esaminata e brevi note
Maurizio Piccirilli è nato a Roma. Lavora come giornalista ed inviato: è capo del servizio Esteri de gIl Tempoh, famoso quotidiano romano. E’ autore dei libri ”Le quaglie di Osama e le altre passioni dello sceicco del terrore” (Memori, 2006) e di ”Shahid” (Mursia, 2010). A Piccirilli è stato assegnato per due volte il Premio Chia, il solo riconoscimento europeo destinato a fotoreporter ed operatori TV.
Maurizio Piccirilli, “Shahid”, Mursia, Milano, 2010.
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