Penso che nessuna recensione su “Modernità o Olocausto” possa essere realmente esaustiva né rendere pienamente il senso intimo di questo saggio. Le tematiche affrontante sono tante e tali che sviscerarle tutte e con la profondità che meriterebbero è opera decisamente complicata, forse nemmeno compatibile con un semplice lavoro critico.
Bauman confessa di aver deciso di fare i conti con l’Olocausto: una presenza storicamente ed umanamente ingombrante che lui, pur essendo un ebreo, non ha vissuto personalmente. Quando i nazisti, nel 1939, invasero la Polonia, la sua famiglia riuscì a fuggire in Russia, evitando gli orrori della prigionia e dello sterminio. La problematicità rappresentata dall’Olocausto si pone non solo come scoglio personale ma anche, e soprattutto, come un mancato oggetto di studio da parte dei sociologi. Bauman, infatti, lamenta una grave mancanza poiché i sociologi si sono spesso accontentati di spiegazioni superficiali ed approssimative: l’Olocausto è stato solitamente considerato come uno dei vari episodi di conflitto e di aggressione verificatisi nell’arco della storia umana. E’ evidente che tale approccio è del tutto marginale e quindi insufficiente poiché non fornisce spiegazioni né permette di acquisire una coscienza reale di cosa sia l’Olocausto e di come e perché esso si sia generato.
L’intento di “Modernità e Olocausto” è proprio quello di colmare questa lacuna o, quanto meno, di affrontare interrogativi rimasti troppo a lungo senza una risposta valida e convincente. “L’Olocausto ha da dire sullo stato della sociologia più di quanto la sociologia, nella sua forma attuale, sia in grado di contribuire alla nostra comprensione dell’Olocausto“.
Bauman passa quindi ad analizzare alcuni degli elementi che hanno reso possibile l’Olocausto. Primo fra tutti l’antisemitismo (termine coniato solo alla fine dell’800). Un fenomeno che non è nato col nazismo, ma che ha caratterizzato la storia umana dai tempi più remoti. Secondo molti storici l’avversione contro gli ebrei si è originata poco dopo la distruzione del Secondo Tempio (70 d.C.) e con la successiva diaspora.
L’antisemitismo individua negli ebrei, e solo in loro, l’elemento estraneo e indesiderabile, sono “gli altri” per eccellenza, persone che, pur essendo assimilate ai “nativi”, mantengono immutata la loro appartenenza ad un gruppo peculiare e distinto. Facilmente individuabili, facilmente perseguibili. L’essere dei “senza patria” è uno degli elementi su cui il Terzo Reich basò la sua politica di distruzione del popolo ebraico. Un nemico senza terra non può essere invaso né conquistato, rimane pur sempre un nemico e va reso impotente con altri sistemi.
“Il primo effetto della modernità sulla situazione degli ebrei europei fu la loro selezione come bersaglio principale della resistenza antimodernista“. I nemici del capitalismo, della tecnologia e dell’industrializzazione furono avversi agli ebrei proprio perché questi ultimi rappresentavano un ordine sociale ai loro occhi inaccettabile. In verità il mondo andava esattamente in quella direzione e non era possibile arrestare il processo in corso. La borghesia ebraica, industriale e finanziaria, divenne presto una minaccia per le élite che basavano la loro ricchezza sulla proprietà terriera. D’altro canto gli ebrei godevano di extra-territorialità (stranieri in patria e diversi dagli altri stranieri) ed erano quindi percepiti al di fuori o al di sopra di certi sistemi politici o statali. La società moderna, formata prevalentemente da giardinieri (definizione cara a Bauman), è basata sul controllo e sulla sicurezza, l’elemento estraneo è visto come pericoloso e molesto. La diversità degli ebrei, fino ad allora semplicemente tollerata, poteva divenire un problema e una minaccia. Da qui la necessità di evidenziare le differenze tra i “nativi” e la “razza” ebraica.
“Il razzismo è impensabile senza lo sviluppo della scienza, della tecnologia e delle forme moderne di potere statale. In quanto tale, il razzismo è un prodotto specificatamente moderno”. Il razzismo esige che gli elementi avvertiti come avulsi vengano necessariamente allontanati o rimossi dal territorio, se ciò non è possibile, si procede allo sterminio. L’intento è quello di garantire la sopravvivenza e l’affermazione di un gruppo considerato migliore e perfetto. Ed è proprio il progetto di una società perfetta che è stato posto alla base dell’Olocausto: “la rivoluzione nazista fu un esercizio di ingegneria sociale su scala gigantesca”. L’obiettivo finale di sanità e perfezione doveva passare attraverso l’eliminazione dell’elemento estraneo e disturbante. Esattamente come veniva spiegato dalle scienze biologiche e mediche che, in epoca moderna, hanno compiuto progressi rapidissimi e rivoluzionari. Il processo è avvenuto attraverso momenti diversi, dalla separazione si è passati all’inevitabile soppressione. Lo sterminio degli ebrei è stato considerato e gestito come una sorta di misura igienica, ed è questo un fenomeno che poteva avvenire solo in età moderna.
Ma perché l’Olocausto attuato dai nazisti è tanto diverso dagli Olocausti che sono avvenuti nel corso della storia? Perché è stata un’operazione organizzata e riuscita in maniera ineccepibile. L’Olocausto moderno è metodico e calcolato, per questo ha fatto più vittime di quante ogni altro genocidio abbia mai generato. E ciò è stato possibile facendo ricorso non alla semplice brutalità o all’odio, ma alla razionalità e all’organizzazione capillare di un sistema burocratico impeccabile. Trasformare l’antisemitismo in politica di governo ha richiesto l’esistenza di un apparato potente e diffuso, oltre alla totale accettazione dei provvedimenti statali da parte della popolazione. Tutto ha seguito una tecnica precisa, anche la violenza. Gli effetti della burocratizzazione hanno portato, in tempi rapidi, alla disumanizzazione degli oggetti dell’attività burocratica stessa: gli esseri umani erano quantità, numeri, cifre. Nulla di più. E per il Nazismo tale meccanismo si è sviluppato in maniera esemplare ed efficace. Nessun burocrate doveva avere la percezione di gestire la deportazione o l’annientamento di un essere umano. E nessun burocrate, in effetti, ha mai avvertito nulla di simile. L’indifferenza etica era indispensabile al regime e profondamente diffusa.
Un’altra caratteristica dell’Olocausto moderno è stata la totale collaborazione da parte delle vittime. Le élite ebraiche vennero trattate da Hitler al pari di tutti gli ebrei. Non vennero decapitate, come sarebbe stato naturale in condizioni simili, ma vennero mantenute in vita perché considerate del tutto irrilevanti. Nei ghetti tutto era gestito dai leader delle comunità ebraiche che, a loro volta, mediavano i rapporti con i nazisti: “gli ebrei fecero il gioco dei loro oppressori, facilitarono il loro compito, avvicinarono la propria fine“. Quando iniziarono le deportazioni, i tedeschi avevano già da tempo rimosso gli ebrei dalla loro quotidianità. Attraverso una serie di leggi, infatti, il Terzo Reich aveva separato la società perfetta da quella dei parassiti e reso accettabile il proprio operato. L’indifferenza sociale era stata raggiunta con un po’ di tempo, trasformando in normalità una serie di eventi e imposizioni nient’affatto normali. La resa era totale e diffusa in ogni ambito. Pochissimi coloro i quali proclamarono il proprio rifiuto.
L’obbedienza ad un certo regime può essere vista, qui ed ora, con infinito disprezzo eppure Bauman, apportando gli esiti degli esperimenti di Milgram, riesce a far intendere come ogni essere umano, in certe condizioni, possa trasformarsi in boia. Il male è intrinseco in ogni società e non è legato ai tratti di un determinato individuo. Le SS non erano soggetti malati o reclutati in maniera particolare, erano, come spiega anche la Arendt, persone normalissime. Non è da escludere che molti fossero inclini alla crudeltà ma, più in generale, agivano all’interno di un sistema che li aveva de-responsabilizzati, che li aveva privati di una morale e che li autorizzava ad agire per un ordine superiore ed indiscutibile. Ovviamente ciò non basta a giustificare nulla, serve semplicemente a comprendere quali meccanismi scattano nella mente di un individuo nel momento in cui certe barriere morali vengono neutralizzate e certi comportamenti, atti a generare sofferenze atroci ad altre persone, vengono posti in atto. Non esistono sensi di colpa, non esistono preoccupazioni morali semplicemente perché le condizioni lo consentono.
“Modernità e Olocausto”, pubblicato per la prima volta nel 1989 riesce, a mio avviso, a raggiungere l’obiettivo prefissato: si pone come un interessante ed approfondito studio sociologico sull’Olocausto. Evidentemente Bauman ha tentato di colmare quella lacuna che ha evidenziato all’inizio del libro. Si tratta di un saggio decisamente interessante che, chiunque voglia avvicinarsi o approfondire la tematica, dovrebbe leggere. Le riflessioni di Bauman però lasciano sconcertati. Lo studioso, infatti, trasmette una inquietante consapevolezza: il fatto che l’Olocausto ci sia già stato, in quella forma e con quei metodi, non esclude che possa ripetersi nuovamente. Continuiamo a vivere secondo standard di vita “moderni”, gli stessi che solo qualche decennio fa portarono all’origine di uno degli stermini più feroci e spietati della storia del genere umano. La combinazione degli elementi sociali, politici, economici e storici che generarono l’Olocausto potrebbe ripresentarsi. Non siamo immuni.
Edizione esaminata e brevi note
Zygmunt Bauman è nato a Poznan, in Polonia, nel 1925. Nel 1939, quando i nazisti invasero il suo Paese, lui essendo ebreo, fu costretto a fuggire in URSS. Si arruolò in un corpo di volontari per combattere l’esercito tedesco. Dopo la Guerra ha studiato sociologia nell’Università di Varsavia. Ha lavorato per diverso tempo con varie riviste specializzate in sociologia ma nel 1968, a seguito di una epurazione antisemita, fu costretto ad abbandonare la Polonia. Emigrò dapprima in Israele e, dal 1971, in Gran Bretagna dove iniziò ad insegnare nell’Ateneo di Leeds. Da questo momento ha scelto di utilizzare la lingua inglese in tutti i suoi numerosissimi testi. Bauman è considerato uno dei più grandi sociologi e pensatori contemporanei, continua ad insegnare a Leeds e a Varsavia. Questi alcuni dei suoi libri pubblicati in Italia: “Il disagio della postmodernità” (Mondadori), “La società individualizzata” (Il Mulino), “Dentro la globalizzazione” (Laterza), “La solitudine del cittadino globale” (Feltrinelli), “Società, etica, politica” (Cortina Editore), “Vite di scarto” (Laterza), “L’Europa è un’avventura” (Laterza), “La società sotto assedio” (Laterza), “Paura liquida” (Laterza), “Amore liquido” (Laterza).
Zygmunt Bauman, “Modernità e Olocausto”, Società Editrice il Mulino, Bologna, 2010. Traduzione di Massimo Baldini.
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