Vienna, fine ‘800. Felix e Maria. Giovani e innamorati. Lui è malato di tisi e viene a conoscenza del destino che lo aspetta: morirà entro un anno. Dopo aver inizialmente taciuto, decide di confidarsi con Maria. La ragazza è stravolta dalla notizia e, in preda alla disperazione, afferma di non voler lasciare il giovane: E comunque senza di te io non vorrò vivere.
I due amanti sono allacciati da una sentenza di morte annunciata. Maria spera che il suo compagno riesca miracolosamente a guarire, Felix, invece, non si dà alcuna speranza. Lasciano la città e fuggono in montagna, vicino ad un lago, dove cercano ristoro e qualche periodo di serenità. La salute di Felix sembra trovare piccoli giovamenti ma il comportamento del ragazzo subisce alterazioni forse imprevedibili.
Passa da momenti di quiete positiva a stati di agitazione patetica. Vive una tragedia, Felix e non fa nulla per attenuare o camuffare i suoi slanci umorali. Maria subisce le sue ire e le sue esaltazioni e gli resta fedelmente vicino aiutandolo in ogni momento. Non riesce ad accettare l’idea della sua morte cercando rifugio in qualche illusione, mentre lui le ricorda costantemente, con toni anche acri e maligni, che tra non molto morirà: Oh! Mia cara signorina, io devo morire e tu vorresti evitarti persino il piccolo fastidio di sentirmene parlare?
I pensieri di Felix sono spesso in contrasto, l’ambivalenza dei sentimenti lo cinge e lo tormenta. Sente di non voler abbandonare la vita, sente di non riuscire a staccarsi dal mondo che lo circonda ma sa di dover accettare con rassegnazione l’epilogo già noto. La presenza di Maria è essenziale, Felix diviene sempre più morboso e si aggrappa ferocemente all’idea che la sua ragazza morirà con lui. Maria glielo ha detto fin dall’inizio e l’idea di non dover morire da solo diviene per lui un pensiero tenace ed irrinunciabile. Una speranza che sembra dargli la parvenza di consolazione.
La fuga prosegue: partono per Salisburgo. Come succubi di una specie di ricerca estenuante, di un circuito vano per sfuggire alla morte, come se spostarsi da un luogo all’altro potesse confondere e sviare il fato. E’ a Salisburgo, dopo essersi allontanati da una folla e da una festa insopportabili per Felix, che il ragazzo medita il suicidio. E a un tratto, in modo del tutto inatteso, ebbe una sensazione sconosciuta, che fu per lui come una liberazione meravigliosa; il togliersi la vita in quell’istante non gli sarebbe costato fatica. Sì, adesso, subito. Ma in fondo poteva attendere; avrebbe potuto ritrovare un simile stato d’animo.
Il possesso di Felix nei confronti di Maria aumenta, l’idea che lei sia la sua schiava addormentata gli riempie spesso i pensieri più intimi. Maria, col tempo, invece, cambia. Il suo amore sembra assumere sempre di più la forma della compassione. E’ vicina al malato con pazienza ed abnegazione e lo vede mutare fino quasi a non riconoscerlo. Sempre più spesso la serenità di Maria, le sue parole, il suo vivere la quotidianità con estrema “normalità” irrita Felix che la tratta quasi con cattiveria, chiaramente invidioso del fatto che lei non è destinata alla morte.
Tornano di nuovo a Vienna dove Felix è costretto a restare a letto per parecchio tempo. I conflitti proseguono, la storia d’amore appare sempre più avvilita e sterile. Maria ha chiaramente bisogno di aria, vita, sole, gente, affetto, elementi che sta sacrificando per Felix e che lui le rimprovera addirittura di desiderare. E quando Maria si allontana per pochissimo tempo, Felix è colto dal panico, si sente tradito, abbandonato, ingannato. Al suo ritorno, nell’animo della ragazza si agitano altri motivi: Era così addolorata, così immensamente addolorata! Aveva voglia di piangere, ma nella sua commozione c’era qualcosa di arido, di avvizzito. Non riceveva conforto da nulla, neppure dal suo dolore. E lo invidiò poiché vide le sue guance rigarsi di lacrime.
Maria, quindi, avverte il peso e l’amarezza della responsabilità che si è assunta, Felix è sempre più fermo nel suo convincimento: se dovrà morire, porterà con sé anche Maria. Una persuasione che si farà violenta, assoluta, folle fino a sfiorare, infine, il dramma.
“Morire”, titolo originale “Sterben”, è un libro del 1894. Il primo vero successo di Schnitzler scrittore. All’epoca egli svolgeva ancora la professione medica, che abbandonerà per dedicarsi all’arte letteraria solo nel 1893, dopo la morte del padre. Siamo quindi agli albori della sua carriera di scrittore ed è evidente che la tematica scelta è piuttosto vicina alla sua attività.
L’introspezione psicologica dei due protagonisti di “Morire” è attenta seppur, forse, ancora un po’ primordiale. La passione di Schnitzler per la psicoanalisi sta maturando ed è, ovviamente, sulla buona strada. Felix e Maria, dopo aver appreso la notizia della prossima morte di Felix, iniziano un processo di mutazione interiore molto profonda e la bravura di Schnitzler sta nell’essere riuscito a seguire entrambi i percorsi intimi con lucidità e spessore. La storia di amore si mescola con la storia di morte. E i due motivi si mescolano e si propagano: la morte risucchia l’amore fino a svuotarlo.
Conoscere con certezza scientifica il momento della propria fine deve essere, anche agli occhi di Schnitzler-medico, la causa scatenante di una rivoluzione esistenziale senza paragoni. Lo è per Felix, il diretto interessato, terrorizzato dalla sua morte, e quindi estraniato, intollerante, incattivito dalla mancanza di alternative e dalla impossibilità di contrastare l’assolutezza della morte. E lo è per Maria, la ragazza che ama e che lo ama, che non sa accettare l’idea della sua morte ma che, col tempo, riesce a distogliersi dal quel vortice per recuperare la sua vitalità e la sua identità.
Edizione esaminata e brevi note
Arthur Schnitzler nasce a Vienna nel 1862 da una famiglia ebraica. Diventa medico e pratica la professione senza però mettere da parte la sua inclinazione letteraria alla quale si dedicherà con sempre più attenzione dopo la morte del padre. I primi successi giungono con opere teatrali che, all’epoca, provocarono enorme scalpore soprattutto perché incentrate su temi erotici. Nella prosa Arthur Schnitzler innova almeno quanto nel teatro. In entrambi i casi lo scrittore risente dell’opera del suo contemporaneo Freud. Nel 1928 Schnitzler viene sconvolto dal suicidio di sua figlia Lili, un evento inspiegabile che segna l’ultima parte della vita dello scrittore. Arthur Schnitzler muore a Vienna, a causa di un’emorragia cerebrale, nel 1931.
Arthur Schnitzler, “Morire”, SE, Milano, 2007. Traduzione di Giuseppe Farese.
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