Storia di un’amicizia
L’illustre e ormai nonagenario sociologo Franco Ferrarotti ha avuto in gioventù la fortuna di conoscere personalmente Cesare Pavese, che ormai era uno scrittore affermato, e di ricevere da lui anche brevi lettere, oltre che consigli su libri da tradurre per Einaudi.
Questo gli dà l’occasione non solo di rispolverare i suoi ricordi, ma di fare precise osservazioni critiche “correggendo” alcune interpretazioni che sono state fatte su Pavese come scrittore e come uomo.
Il titolo del libro è molto accattivante e può suonare insolito: che ci fa Pavese al santuario? Uno scrittore oltre tutto iscritto al PCI. In realtà chiunque abbia frequentato un po’ l’autore langarolo sa che, proprio durante il periodo della Resistenza, Pavese, che non andò mai a combattere con le armi in pugno, rifugiato sulle colline natie, spesso si recò al santuario di Serralunga di Crea, ponendosi molte domande sul sacro e sentendone il fascino,appassionato di miti com’era. Ebbe alcuni colloqui anche con un sacerdote, che in seguito qualcosa raccontò, si disse che ricevette l’Eucarestia, ma forse è bene che il contenuto di certi dialoghi rimanga per sempre celato e racchiuso nell’animo di Pavese e con lui sepolto.
Nel Diario vi sono tracce di quest’esperienza. Detto questo, Ferrarotti condivise con Pavese alcune di queste “passeggiate”, ma non solo: lui, giovane studioso pieno di talento, spavaldo e talvolta arrogante (lo afferma lui stesso), ricevette da Pavese l’incarico di tradurre per Einaudi un testo molto difficile: Veblen, The Theory of the Leisure Class, pubblicato nel 1899, ma sconosciuto in Europa. I due discussero e lavorarono molto su quel libro e nacque un’amicizia, un rapporto fraterno, dove Ferrarotti era il giovane bohemienne, che abitava in mansarde tra Parigi e e Londra o dove capitava e Pavese lo scrittore affermato, che di lì a poco avrebbe ricevuto il premio Strega.
Nel raccontare Ferrarotti non manca di una certa auto-referenzialità, però ci mostra l’effervescenza culturale dell’immediato dopoguerra, quando la riconquistata libertà permetteva la diffusione di nuovi libri, di film (si parla di Riso Amaro, i cui dialoghi vennero scritti da Pavese e della proposta di assegnare a Ferrarotti e non a Gassman la parte del “cattivo”) e la nascita di riviste.
Ferrarotti, uomo di grande cultura, non racconta semplici aneddoti, ma compie osservazioni critiche su Pavese, nelle quali non mi addentro. Complice il suo carattere estremamente introverso e riservatissimo, Pavese spesso non fu capito neppure all’interno del PCI, nel quale un uomo come lui non poteva venire inquadrato.
Ferrarotti ci parla di un “realismo onirico” di Pavese, che gli consentiva di afferrare ed esprimere l’aura del mondo rurale al tramonto. Come nota Aldo Grasso “la collina diventa allora il tentativo, tutto pavesiano, di una conciliazione profonda e sofferta tra il mito e la storia”.
Da sociologo inoltre Ferrarotti non può lasciarsi sfuggire qualche osservazione sull’attualità, sulle differenze tra la vita di allora e l’oggi, su quanto Pavese sarebbe inorridito di fronte alla spettacolarizzazione dei sentimenti più privati, che oggi domina. Non mancano citazioni e riferimenti a studiosi.
Ferrarotti segue le vicende pavesiane fino alla fine. Tra l’altro Pavese cercò anche lui per telefono nella sua ultima, tragica giornata all’hotel Roma, Ferrarotti sospetta addirittura di esser stato l’ultimo cui Pavese telefonò, ma era un’estate caldissima e tutti se n’erano andati fuori città. Ferrarotti nel frattempo aveva iniziato a collaborate con Adriano Olivetti. Pavese decise di partire a suo modo.
Il libro è un ricordo affettuoso e un colto omaggio, volto ad affermare una giusta memoria del pensiero dell’amico e anche di farlo “rivivere” umanamente tra le pagine. Pavese appare: alto, magro, gli occhiali sul lungo naso e la sigaretta (o la pipa?) pendula dal lato sinistro della bocca.
Edizione esaminata e brevi note
Franco Ferrarotti (Palazzolo Vercellese 1926), sociologo italiano, professore emerito di Sociologia all’Università La Sapienza di Roma, direttore della rivista “La Critica Sociologica”. Deputato indipendente al Parlamento italiano dal 1958 al 1963. Autore di moltissime pubblicazioni tradotte in varie lingue.
Ferrarotti si è interessato dei problemi del mondo del lavoro e della società industriale e postindustriale, dei temi del potere e della sua gestione, della tematica dei giovani, della marginalità urbana e sociale, delle credenze religiose, delle migrazioni. Una particolare attenzione è stata dedicata nelle sue ricerche alla città di Roma. Ha sempre privilegiato un approccio interdisciplinare e insistito sull’importanza di uno stretto nesso tra impostazione teorica e ricerca sul campo.
Ferrarotti è stato consigliere di Adriano Olivetti .
Franco Ferrarotti, Al santuario con Pavese. Storia di un’amicizia, Bologna, Edizioni Dehoniane 2016
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