Quando esco dal cinema dove siamo stati a vedere Il cigno nero ho tutto il film, dentro, che rimescola le viscere. Per qualche secondo, nell’intervallo, è scesa la pace, il tempo necessario a prepararmi per il secondo tempo. Non lascia scampo, questo film. Si odia, si ama. Eccessivo, forse, ma non più della realtà, se ci si ferma un attimo a pensare. A riflettere su ciò che si è vissuto, si vive. Su quello che si legge, che si vede, che si ascolta. Lo schermo ha mostrato un’ossessione, l’ha resa tangibile, me l’ha incisa nel sangue e la sento scorrere ancora dopo giorni. Il cinema è artefatto, è costruzione, e questo, nonostante tutto, è un film razionale. Ragionato. Umano. Logico. Una logica che aumenta i battiti cardiaci, angosciante. Dopo pochi minuti, sai già come finirà, e sono teso per la fine per cui manca ancora ben più di un’ora. A mente fredda, la successione delle scene appare scontata. Durante la visione le immagini però mi penetravano con violenza, la musica scuoteva i muscoli. Il volto della Portman ti si incastona fra lo sterno e il cranio. Fuori, ho pensato a Lynch, a Inland Empire, che è molto diverso. Ma è sempre Cinema. Mi è venuta in mente la scena di Un cane andaluso in cui l’occhio viene aperto da un rasoio. Un gomitolo (penso sempre al Pasticciaccio, con questa parola) di pensieri e sensazioni pieno di nodi. Durante il film, tu diventi Lei. Sei Lei. Se opponi resistenza, ti travolge. Non comprendi. Nelle scene più crude, le tue sensazioni sono le sue sensazioni. Come si può pensare di stare bene se la protagonista non sta bene? Ma come si può godere di un film se questo non ti fa entrare in empatia con chi agisce nel film? È la storia di un’accettazione, di sé, del mondo, del dolore, dell’amore, e della propria imperfezione, del proprio corpo. Non ho visto le altre attrici in corsa per l’Oscar, ma la Portman in questo film, aiutata da una regia incentrata su di lei e sul suo sguardo, sulle sue movenze in scena, mi ha trasmesso paura, angoscia, liberazione. I suoi occhi sembrano divorare il suo stesso volto, il suo stesso corpo, il mondo che la circonda, fino a che, nel finale, acquistano dimensioni più umane.
Così assetata di vita, affamata, bramosa, e al tempo stesso vi si oppone con tutte le sue forze, nell’ossessione per il controllo di ciò che non può essere controllato. Non c’è momento in cui non attendi la sua caduta, l’arresto, lo schianto, e quando infine accade, quando tutto è perduto, non può che rialzarsi e prendere il volo. I suoi occhi allora accolgono il mondo, e sé stessa. Aronofsky non la perde mai di vista, guida lo spettatore in comunione con il suo sentire, diventi tutt’uno, tocchi la sua angoscia, la sua ansia, il suo terrore, e lo senti dentro. Nell’intimo. È un film che ha il carattere, il corpo, le ossessioni, della sua protagonista. C’è, nell’idea di fondo, qualcosa di malato, nel suo voler rendere assoluta, ed unica e “giusta” via, la ricerca della perfezione attraverso l’autodistruzione, fisica e psicologica. Se è vero che una persona, nell’arte e nella vita, deve essere pronta a rischiare, a mettersi in gioco in tutto e per tutto, per ciò che crede, è anche vero che Il cigno nero ne mostra la visione più tragica, non l’unica possibile. Solo che sembra togliere altre possibilità, altre vie, annegandole, soffocandole, e questa sensazione di essere senza respiro non abbandona una scena. Un conto è mostrare qualcosa come una delle strade che si possono percorrere, altro mostrarla come l’unica e sola strada da imboccare. Ma c’è coerenza, anche in questo. C’è costruzione. È difficile però abbandonare il personaggio che si è vissuto, che ti ha invaso per quasi due ore. Dopo giorni dalla visione ne sento ancora gli strascichi. Una sorta di malattia, di morbo.
Il cigno bianco, il cigno nero. Opposti che devono trovare il modo di convivere, e non lo fanno. Ecco un’altra cosa: il rovesciamento del bianco e del nero. Il bianco, che si associa alla purezza, il nero con la sua oscurità, perdizione. Cassel, che nel film è il coreografo, dice a Portman che lei è perfetta per impersonare il cigno bianco, ma non per quello nero. Eppure non c’è purezza nel suo bianco, né perdizione nel suo nero. Il suo bianco è ossessivo e angosciante, il suo nero è accettazione, comprensione. Solo nelle ultime scene trovano una sorta di fusione, a mio avviso sciupata dalle ultime battute di lei e dai titoli di coda, che ho trovato inutilmente autocelebrativi.
[Ditemi voi se una sequenza in cui una persona dice: Ho visto la perfezione, e subito dopo compare il nome del regista, non ha un sapore autocelebrativo….(dato il fatto che tu sei la protagonista, senti o dovresti sentire ciò che sente lei) e come diceva Morgan nei Bluvertigo, saranno pure cazzate, ma per me sono importanti]
Il cigno nero, il cigno bianco. Il cigno bianco che acceca, il cigno nero che svela.
Mi accorgo che non è mica una recensione, questa, non è un’analisi del film, non parlo della trama, né di aspetti tecnici, la fotografia affascinante, la regia, la colonna sonora invasiva (come tutto, del resto), le scene da incubo reale, i vari personaggi, i loro ruoli nello sviluppo della consapevolezza della protagonista, il sesso, la sessualità, l’erotismo, il corpo, la riflessione generale sull’arte e su chi vi si vota (di alcune cose in minima parte un po’ ho scritto, via). Non m’importa neppure granché, in fondo. È uno scritto per me, per far uscire un po’ di sangue. E amen.
“Un’opera davvero grande nasce probabilmente da una volontà di svelarci, di aprirci a livello spirituale ed emotivo fino a rischiare di provare davvero qualcosa di forte. Significa essere pronti a morire, in un certo senso, pur di riuscire a toccare il cuore del lettore.” (David Foster Wallace)
andrea brancolini, marzo 2011
Titolo originale: Black Swan
Paese: Stati Uniti. Anno: 2010. Durata: 108 min. Regia: Darren Aronofsky. Soggetto: Andres Heinz. Sceneggiatura: Andres Heinz, Mark Heyman, John J. McLaughlin. Produttore: Mike Medavoy, Arnold Messer, Brian Oliver, Scott Franklin. Produttore esecutivo: Jon Avnet, Brad Fischer, Ari Handel, Jennifer Roth, Rick Schwartz, Tyler Thompson, David Thwaites. Casa di produzione: Cross Creek Pictures; Phoenix Pictures ; Protozoa Pictures Distribuzione ; (Italia) 20th Century Fox. Fotografia: Matthew Libatique. Montaggio: Andrew Weisblum. Musiche: Clint Mansell. Scenografia: Thérèse DePrez
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