Amok è una parola in lingua malese. Potrebbe essere tradotta, sinteticamente, dal termine raptus. Ma forse è qualcosa di ancora più complesso: Dunque, l’amok… sì, l’amok è così: un malese, un uomo molto semplice, assolutamente bonario, si beve il suo intruglio… se ne sta lì seduto, apatico, indifferente, spento… come me ne stavo io nella mia stanza… e all’improvviso balza in piedi, afferra il pugnale è corre in strada… corre sparato come una freccia, sempre diritto, senza deflettere… senza sapere dove… Chi gli si para davanti, essere umano o animale, viene trafitto dal suo kris, e l’orgia di sangue non fa che eccitarlo maggiormente… Mentre corre, ha la schiuma alle labbra e urla come un forsennato… ma continua a correre e correre, senza guardare né a destra né a sinistra, corre e basta, con il suo urlo acutissimo, con il suo kris insanguinato, in quella rettilineità mostruosa….
Una novella, Amok, apparsa, per la prima volta, nel 1922 tra le pagine della “Neue Freie Presse”. Soltanto due i personaggi protagonisti: l’io narrante, evidente alter ego di Zweig, e un uomo sconosciuto di cui, in tutto il racconto, non si scopre né l’identità né il volto.
Marzo 1912 (l’anno della tragedia del Titanic, avvenuta un mese più tardi), una grande nave, l’Oceania, un lungo viaggio dalle Indie all’Europa, l’approdo al porto di Napoli e uno strano incidente. Tutto, fin dall’inizio, dà la sensazione di un racconto vagamente noir.
Troppa la gente sulla nave, angusta e troppo rumorosa la cabina in cui il personaggio narrante è ospitato. Il viaggio è tormentoso e scomodo. Quindi egli cerca un po’ di pace e di frescura nelle ore notturne, sul ponte. La notte descritta da Zweig è magnifica. Lo scrittore è, come sempre, elegante e raffinatissimo. La contemplazione del cielo, del mare e del silenzio, viene però ad essere interrotta da un’altra presenza. Uno sconosciuto che, proprio come il narratore, è lì, sul ponte, di notte. I due si scambiano solo qualche parola e si separano.
Tutto accade la notte successiva. I due si ritrovano nuovamente, come la notte precedente. Lo sconosciuto beve whiskey e inizia a parlare: Vorrei chiederle una cosa… cioè vorrei raccontagliene una. So, so benissimo quanto sia assurdo rivolgermi al primo che incontro, ma… io sono… io mi trovo in uno stato psichico pauroso… sono arrivato a un punto in cui devo assolutamente parlare con qualcuno… altrimenti crepo.
E l’uomo inizia a parlare. L’altro ascolta e tace.
E’ un medico. Un europeo che, diversi anni prima, ha scelto di lasciare il Vecchio Continente per recarsi nelle Indie. Ma quello non è un luogo facile. Ma laggiù, in quell’invisibile serra, ti vengono meno le forze; la febbre – che ti prendi comunque, anche se ti imbottisci di chinino – ti corrode il midollo, diventi fiacco e pigro, molle, una medusa. Come europeo sei in qualche modo avulso dalla tua vera essenza, quando dalle metropoli arrivi in un simile e maledetto posto paludoso: prima o poi a chiunque salta una rotella, certi bevono, altri fumano l’oppio, altri ancora diventano violenti e si trasformano in bestie – ciascuno si becca la sua razione di follia.
La vita del medico, infatti, si riduce ad una sorta di inferno piatto e sconvolgente. Un evento, però, la trasforma. L’arrivo di una donna, anch’essa europea. Lei si precipita nel suo studio e con fare altezzoso ed arrogante gli chiede di aiutarla. Il medico, da sempre sedotto dalle donne imperiose e sfrontate, colto da un irresistibile astio nei confronti di una persona tanto orgogliosa, si lascia trascinare da una sorta di battaglia psicologica e dialettica. Lei vuole che lui la faccia abortire. E’ disposta a pagarlo bene. Ma l’uomo non vuole soldi, vuole lei.
E’ da questo preciso istante, dall’incontro con la bella inglese che l’amok prende possesso della mente e del corpo del medico. Il rapporto, tra i due, assume i toni della ferocia, dell’invasata bramosia, dell’inspiegabile tossicità.
La notte, sul ponte della nave, trascorre mentre lo sconosciuto procede nel suo racconto.
Il medico insegue la donna. E’ disposto, ora, a fare qualsiasi cosa per lei. Un demone sconosciuto lo trasforma, lo devasta. Ha perso il controllo di sé, della volontà, della ragione. Lei, alla fine, chiede il suo aiuto. Ma è troppo tardi: una mammana cinese le aveva praticato l’aborto riducendola in fin di vita. Nulla da fare. Prima di morire, la bella signora inglese, si fa promettere dal medico che nessuno dovrà mai conoscere il suo segreto. Lui dovrà tacere e custodire il mistero della sua morte.
Ed è esattamente quello che l’uomo sta facendo. E’ su quella nave proprio per mantenere la sua promessa.
Un libro breve, Amok. Letto in poco più di un’ora. Zweig si cala in un abisso, quello della mente umana, scandaglia emozioni violente, irrefrenabili e incontrollabili. Un terreno affascinante, allora come oggi. Amok racconta la follia attraverso le parole del folle. La vittima umiliata e lucidamente cosciente del proprio fallimento. Un delirio che si trascina in una consapevolezza nuova e che culmina in un gesto eclatante.
Lo stile di Stefan Zweig è a volte un po’ ricercato, i termini si fanno preziosi o perfino leziosi, ma è comunque uno scrivere teso, attento, asciutto.
Edizione esaminata e brevi note
Stefan Zweig nasce a Vienna nel 1881 da una ricca famiglia ebraica. Si laurea in Filosofia nel 1904. Appassionato viaggiatore, ha modo di conoscere numerosi luoghi del mondo e di incontrare alcuni tra i più importanti esponenti della cultura del tempo: Auguste Rodin, Hermann Hesse, James Joyce, Ferruccio Busoni. Zweig diviene famoso come romanziere, traduttore, biografo e librettista. La sua produzione letteraria è ricca e molto varia, anche se in Italia non tutti i suoi libri sono stati tradotti. Nel 1934 Zweig lascia l’Austria per spostarsi in Inghilterra e nel 1940 si trasferisce definitivamente negli USA al pari di tanti altri esuli ebrei. Il 22 febbraio del 1942, a Petrópolis, cittadina a nord di Rio de Janeiro, Stefan Zweig muore suicida assieme alla seconda moglie Lotte Altmann.
Stefan Zweig, “Amok”, Adelphi, Milano, 2006. Traduzione di Emilio Picco.
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