Tutte le donne sono state bambine. Non è sempre vero il contrario, talvolta le bambine non diventano donne, perché un fatto, solitamente tragico, interrompe la loro vita. Capita anche che alcune bambine non diventino mai donne pur restando in vita. Spesso le bambine salvano la vita alle donne che saranno, ma neppure se ne accorgono.
Renata Adamo sonda in questa bella silloge di racconti l’anima di creature che non hanno ancora varcato la soglia dell’età adulta, o vi si sono appena affacciate e per contrasto mostra in ogni racconto che ha per protagonista una di esse, anche la donna che vi si contrappone: spesso la madre, ma non solo.
Accanto alle bambine attuali, che interpretano quasi sempre a modo loro una realtà oggettivamente difficile, attraverso i territori della malattia psichica, della povertà, della vecchiaia, ci sono le bambine di un tempo che hanno dimenticato nel passato la loro infanzia fatta di bisogno di amore e tenerezza, oppure hanno abbandonato una gioventù piena di promesse che ora torna prepotente, con la faccia però delle figlie, delle nuore, delle cameriere, di qualcun’altra comunque diversa. E queste donne ormai “cresciute” non riconoscono nelle creature, generate o affidate loro dalla vita a qualche titolo, la bambina che sono state.
Da questo fraintendimento di fondo nascono rapporti difficili: il passato che si proietta nel presente e lo tramortisce, lo spirito di rivalsa che è molto spesso guerra aperta tra generazioni, l’ansia delle giovani di crescere e delle anziane di ringiovanire.
Nei racconti della Adamo si susseguono come in una galleria i ritratti delle protagoniste, piccole e grandi. Le piccole sono sempre guardate con una tenerezza che sa di nostalgia di un sé lontano, ancora da accudire. I territori dei bambini sono semplici e impervi al tempo stesso, perché il bambino nella sua purezza e innocenza, può giudicare e i suoi giudizi sono inappellabili, non vi è scampo. Il bambino (qui: la bambina) può decidere per la vita e la morte, sua o di altri. E sarà sempre la decisione giusta, l’unica strada possibile, per quanto tragica. Il bambino vive in una dimensione quasi onirica, certamente magica: agisce su ispirazione (a differenza dell’adulto che agisce spesso su istigazione) e non comprende, perché non può oggettivamente farlo, il mondo adulto intriso di sotterfugi, violenze, prevaricazioni, bugie, disattenzione.
Incontriamo bambine vittime di donne adulte senza cuore (verso le quali la vendetta è inevitabile, e come si diceva poc’anzi, terribilmente giusta); figlie ribelli e figlie devote a madri, loro sì spesso stanche, inadeguate, malate, povere, decisamente pazze; bambine affascinate da donne misteriose e ragazze infilate nella vita di altre donne, ma le vere intruse sono queste ultime per quella legge biologica per cui la gioventù ha effettivamente un giro di carte migliore. Un racconto spezza la galleria femminile ed è quello che ha per protagonista il buffo cane Moka e l’uomo a cui salva metaforicamente la vita. Ma anche l’amicizia di un cane parla in fin dei conti di infanzia, perché il cane, così come il bambino, è un essere innocente, che chiede e dà amore in modo incondizionato. Il suo mondo di attese di bene non si infrange contro il muro delle delusioni adulte: il cane è un bambino per sempre. Chiude la raccolta una vera e propria fiaba, che prende le mosse da un racconto ben noto a tutti e lo rovescia, lo arricchisce, lo trasforma in una pièce godibilissima, nella quale nessuno è come dovrebbe essere e il lieto fine investe sia i buoni che i (presunti) cattivi. L’Autrice stana il bambino che è in ognuno di noi, lo accompagna lungo i sentieri della memoria: quante fiabe ci sono nella storia a rovescio della Bella addormentata? Lasciamo ai lettori scoprirlo.
La dimensione bambina – una dimensione che non si declina necessariamente solo nella scrittura per ragazzi, sebbene uno dei racconti abbia vinto il prestigioso Premio Andersen per la migliore fiaba inedita – sgorga da un cuore che ha mantenuto un contatto profondo con l’infanzia, superandola senza mai rinnegarla (in questo contesto va collocata forse anche la passione dell’Autrice per scrittori come Robert Walser che agli echi mitteleuropei coniuga un cuore fanciullo). Potremmo dire che questa silloge è una raccolta di fiabe per adulti dagli occhi bambini, cioè ancora capaci di stupirsi davanti al libro della vita.
Renata Adamo tocca con sapienza le corde soprattutto del pubblico femminile: ogni donna ha modo di rivedere la bambina che è stata e di riflettere sulla propria personale trasformazione. Un’ottima occasione anche per gli uomini di capire quel complesso universo parallelo così lontano e così vicino nel quale anche loro hanno tanta parte: nei racconti la componente maschile è spesso in secondo piano, nell’ombra, non sono quasi mai gli uomini a chiudere o a risolvere le situazioni, se mai anzi le creano e poi se ne disinteressano.
Una scrittura piana, essenziale, pulita come i cieli altoatesini da cui l’autrice proviene, ma anche profonda e affabulatrice, ricca di promesse come le calde terre del Sud che si mescolano nelle sue radici. Da questo incontro quasi magico non possiamo che aspettarci nuove meraviglie!
Edizione esaminata e brevi note
Renata Adamo di origini altoatesine e siciliane, vive e lavora a Bologna. Appassionata di Robert Walser a cui ha dedicato pagine e convegni, ha pubblicato alcuni racconti. Con Regina Maharaha ha vinto nel 2009 il Premio Andersen Baia delle Favole per la migliore fiaba inedita. Notizie dei suoi lavori nella recensione alla raccolta qui presentata su Porto Franco.
Renata Adamo, La bambina stanca e altri racconti, Bologna, Pendragon, 2017, 141 p.
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