“Entrambi avvertivano la consapevolezza di appartenere alla stessa razza. Quella degli uomini schiavi della bellezza” (pp.201). Questa la netta sensazione di Giuliano Neri, il restauratore fiorentino e detective dilettante, ancora una volta tra i protagonisti del nuovo romanzo di Letizia Triches. È evidente che la bellezza e l’arte in questo racconto non rappresentano soltanto uno sfondo lontano o un fragile pretesto: i miti siciliani e le opere d’arte sono alla fin fine gli elementi chiave che condurranno allo scioglimento del mistero. L’ombra del vulcano – facile intuirlo – è quella dell’Etna ed infatti il racconto prende le mosse, senza troppe premesse, dalla scomparsa di Rachele De Vita, una giovane archeologa che vive e lavora a Catania. Cinque giorni dopo il suo corpo “viene ritrovato tra le rocce del tratto di costa compreso fra Aci Trezza e Acireale, straziato da sette colpi di pistola”. Entrano quindi in scena, tra gli altri, Elio, il marito della vittima, il suocero Giovanni, un libraio privo del senso degli affari e grande appassionato di miti, uno spregiudicato avvocato ex amico di Giovanni e padre di Rachele, Manfredi Catalano, l’ex fidanzato della vittima poi marito di Angelica, la migliore amica della vittima, il padre di Manfredi, un palazzinaro arricchito e con frequentazioni molto chiacchierate. E poi chiaramente gli investigatori, ovvero la giudice Elena Serra e ancora Giuliano Neri, “intellettuale prestato al crimine”, che con grande disinvoltura viene coinvolto nelle indagini. Una presenza a dire il vero piuttosto casuale, a volte quasi defilata, che si accompagna alla figura della giudice, tanto fragile fisicamente quanto tenace e intenzionata a scoprire cosa si nasconde dietro la complessa trama di mezze verità e di mezze bugie imbastite da tutti coloro che conoscevano Rachele De Vita.
La caratterizzazione del personaggi è chiaramente funzionale alla trama poliziesca anche se si coglie l’intenzione di far emergere sia l’ambiguo e inquietante rapporto tra arte e crimine; sia, in terra siciliana, la costante presenza di miti che preannunciano omicidi e finali tragici. Ad esempio il ripetuto riferimento al mito di Aci e Galatea: “Storia di amori infelici […] il solito triangolo amoroso con un finale tragico” (pp.33). Ai miti – vedi il possibile movente passionale – si contrappongono però altri indizi ed altre ipotesi che hanno a che fare sia con il malaffare mafioso, la corruzione, sia con una Catania segreta, sotterranea, sommersa in parte dalle antiche eruzioni del vulcano. Salvo poi mettere in conto il fatto che tutte queste ipotesi, miti compresi, non siano del tutto in contraddizione tra loro.
Il romanzo infatti è il classico poliziesco “ad enigma”, che i più critici del genere hanno spesso archiviato come “tutta trama e niente letteratura”. Osservazioni che, volendole leggere non soltanto in senso negativo, non appaiono campate in aria visto che l’obiettivo principale di questi gialli è l’intrattenimento e che quindi la costruzione della trama e della risoluzione del mistero diventa un elemento da cui il lettore – e il critico – non può prescindere. Sotto questo punto di vista bisogna dare atto che Letizia Triches, con occhio attento anche ai turbamenti di sospettati e investigatori, ha disseminato le pagine del suo romanzo di falsi indizi che potrebbero prendere in castagna anche i più scafati lettori di polizieschi. Diciamo “di polizieschi” perché, malgrado certe parole siano usate come sinonimi, il romanzo con protagonista Giuliano Neri è proprio un poliziesco nel senso più classico del termine. Anche il linguaggio è molto controllato, potremmo dire educato, coerente con un mondo che viene illuminato dall’arte e dalla bellezza. Per questo motivo il termine “noir”, nonostante le oscurità presenti nell’animo di Giuliano Neri – “La paura mi sta a fianco, è la mia compagna di viaggio e mi aiuta a definire i confini tra bene e male” (pp.58) – negli altri personaggi e nella Catania “sotterranea” e mafiosa, non sembra essere appropriato per il romanzo di Letizia Triches.
Jean-François Vilar scrisse che “il giallo sta dalla parte dell’ordine, il noir dalla parte del disordine. Il giallo è una costruzione, una logica. Il noir è un tono, uno stile”. Citazione che potremmo integrare con “bellezza e arte” insieme a “logica e costruzione”: ne scaturirebbe una definizione adatta a “Giallo all’ombra del vulcano”, poliziesco dove le forze dell’ordine rimangono sullo sfondo e in primo piano resta un protagonista ben consapevole di come l’arte si intrecci spesso con le pulsioni umane più distruttive.
Edizione esaminata e brevi note
Letizia Triches, È nata e vive a Roma. Docente e storica dell’arte, ha pubblicato numerosi saggi sulle riviste «Prometeo» e «Cahiers d’art». Autrice di vari racconti e romanzi di genere giallo-noir, ha vinto la prima edizione del Premio Chiara, sezione inediti, ed è stata semifinalista al Premio Scerbanenco. La Newton Compton ha pubblicato “Il giallo di Ponte Vecchio”, “Quel brutto delitto di Campo de’ Fiori”, “I delitti della laguna” che hanno tutti come protagonista il restauratore fiorentino Giuliano Neri.
Letizia Triches, “Giallo all’ombra del vulcano”, Newton Compton (collana “Nuova narrativa Newton”), Roma 2018, pp. 320.
Luca Menichetti. Lankenauta, marzo 2018
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