“Si fonda su un archetipo formale del tutto diverso da quello degli altri miei romanzi. E’ assolutamente omogeneo, senza digressioni, composto di una sola materia, raccontato con lo stesso tempo, è molto teatrale, stilizzato, basato sulla forma del vaudeville”. Così Milan Kundera descrive, ne “L’arte del romanzo”, il suo “Il valzer degli addii”. Cinque capitoli, cinque giornate. I personaggi che animano il “valzer” si muovono in una località termale boema, un Paese in cui la retorica del regime sovietico e il peso delle sue restrizioni è forte, seppure i personaggi, primo tra tutti il ginecologo Škreta, riescano a trovare sistemi molto personali ed originali per sfuggire o, quanto meno, per amministrare al meglio la professione e l’esistenza in un contesto irrigidito ed oppresso dalle convenzioni e dalle regole del potere.
Tutto ha inizio con una gravidanza inaspettata: l’infermiera Ružena, dipendente del centro termale, aspetta un figlio. Lei è convinta, o forse semplicemente sceglie, che il padre sia Klíma, un famoso trombettista, star musicale, sposato con una bellissima donna, col quale ha avuto un’unica notte di passione. Alla notizia della gravidanza il musicista non ha che una soluzione: convincere Ružena ad abortire. L’uomo vuole sfuggire ad ogni responsabilità e, soprattutto, non vuole distruggere il proprio matrimonio, seppur costellato dai suoi continui tradimenti.
Attorno a questa vicenda, un corollario di figure più o meno rilevanti. Come quella di Jakub, un ex prigioniero politico che giunge nella località termale per salutare il vecchio amico Škreta prima di abbandonare per sempre la sua patria. Una figura meno centrale, quella di Jakub, eppure quella che, a mio avviso, restituisce i motivi e le riflessioni più interessanti: “Ma subito dopo si disse che ogni rinvio della sua partenza, fosse di un giorno o di anni, non avrebbe comunque cambiato nulla di quello che adesso lo faceva soffrire: non sarebbe riuscito a conoscere quel paesaggio più intimamente di quanto lo conoscesse oggi. Doveva accettare l’idea di lasciarlo senza averlo conosciuto, senza averne esaurito il fascino; di lasciarlo come debitore e creditore insieme”.
Il tema che sfiora tutti i personaggi, e qualche meditazione di natura etica, è quello legato alla procreazione. Il libro è stato terminato nel 1972 e, probabilmente, il problema legato alla libertà di scelta e, nello specifico, alla facoltà di abortire da parte delle donne, tanto vivo in questo periodo, è uno dei motori fondamentali della storia de “Il valzer degli addii”. Stimolante, ma di certo non originale, una frase pronunciata a tal proposito da Jakub: “Quelli che soccombono e diventano padri contro la loro volontà sono condannati a vita dalla loro sconfitta. Diventano cattivi come tutti gli uomini che hanno perso, e augurano lo stesso destino a tutti gli altri”. A questa affermazione fa eco quella del dottor Škreta: “La sola cosa che mi rende un po’ scettico nei confronti della procreazione è la scelta irragionevole dei genitori. E’ incredibile che degli individui orrendi possano decidere di procreare. Sicuramente si illudono che il fardello della bruttezza diventi più leggero se lo si spartisce con i discendenti”.
Il tema della procreazione, per una volta, è visto con gli occhi dei personaggi maschili e si evince che per molti di loro generare una nuova vita non ha alcun effetto positivo, nessuna aura romantica né ideale.
Il testo, come vuole lo stesso Kundera, ha un’impostazione fortemente teatrale: dialoghi serrati, scambi dialettici intensi, pochissime descrizioni ambientali o psicologiche. Non ci sono voci fuori campo che conducono il lettore da una scena all’altra, ma ogni personaggio si ritaglia il suo palcoscenico, descrivendo la propria realtà, il proprio stato d’animo. Ad ogni cambio di prospettiva si associa una voce e una figura diversa con un rimpallo continuo di vedute, pensieri, descrizioni.
Un libro tutto sommato gradevole, “Il valzer degli addii”, nient’affatto difficile anzi, forse proprio perché tanto dialogico, largamente fruibile da chiunque.
Edizione esaminata e brevi note
Milan Kundera nasce a Brno, ex Cecoslovacchia ed ora Repubblica Ceca, nel 1929. Si è laureato presso la Facoltà di Arti Cinematografiche di Praga, dove per diverso tempo ha insegnato Letteratura. Il suo primo romanzo, “Lo scherzo”, risale al 1967. Quando, nel 1968, i Russi invadono Praga, Kundera è costretto a lasciare il suo lavoro di insegnante. Un paio di anni più tardi è espulso dal Partito Comunista e i suoi testi ritirati: le sue opere sono state proibite in patria fino alla caduta del regime filo-sovietico. Nel 1975 Kundera decide di lasciare Praga e di trasferirsi a Parigi dove gli viene offerta una cattedra di Letteratura all’Università di Rennes e qui insegna fino al 1978, anno in cui gli viene tolta la cittadinanza cecoslovacca. La consacrazione e la fama internazionale giunge grazie a “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, libro del 1984 dal quale, nel 1988, è stato tratto anche un film diretto da Philip Kaufman. Kundera continua a vivere a Parigi dove continua a portare avanti il suo lavoro di scrittore, saggista, romanziere, poeta.
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