“L’arpa di Davita” è, in sintesi, un romanzo di formazione. Presenta, infatti, il percorso di maturazione ed evoluzione umana e spirituale che porta la protagonista, Ilana Davita, una bambina di otto anni, ad una maggiore consapevolezza di sé e del mondo. Ilana Davita, grazie alle precoci letture, alle esperienze personali e familiari e alla scoperta della scrittura, passa dall’età infantile a quella adolescenziale, attraversando anche uno dei periodi più difficili del Novecento, quelli che vanno dalla fine degli anni trenta e i primi anni quaranta.
Ilana Davita vive negli Stati Uniti con i suoi genitori. La madre, Channah, è un’ebrea originaria di una cittadina polacca, vittima di uno dei vari pogrom, giunta negli USA dopo la Prima Guerra Mondiale. Da tempo ha sposato la causa comunista, rinunciando a vivere la propria fede. Il padre, Michael Chandal, è un giornalista americano che, come sua moglie, ha da tempo messo da parte la religione cristiana ed ha fatto della lotta contro il fascismo la sua missione di lavoro e di vita. Il titolo del libro fa riferimento ad un’arpa: è l’arpa eolia che si trova in casa Chandal e che suona tutte le volte che viene aperta la porta di ingresso. E’ un oggetto a cui Michael è particolarmente affezionato e che Davita ama molto: Montavamo l’arpa all’interno della porta d’ingresso, e quando la si apriva o la si chiudeva le palle percuotevano le corde e si sentiva ting tang tong tung ting tang nel più dolce e gentile del toni.
Ilana non ha mai avuto contatti con alcuna religione ma, seguendo una famiglia di vicini ebrei, entra per la prima volta in una Sinagoga ed inizia il suo percorso di conoscenza e di avvicinamento alla fede di sua madre. All’inizio è spinta soprattutto da curiosità poi, lentamente, acquisisce maggiore consapevolezza e conoscenza del mondo e della storia ebraica. Nella vita della bambina entra anche Jakob Daw, uno scrittore amico di sua madre che le racconta delle storie fantastiche, la aiuta ad immaginare e a capire il potere della fantasia. Il padre di Davita va in Spagna come inviato di guerra ma muore durante i tragici bombardamenti di Guernica (1937). E’ un evento che, inevitabilmente, trasforma la storia e la bambina. La morte del padre spinge Davita ad avvicinarsi ulteriormente alla religione: la bambina recita regolarmente il kaddish in onore del padre ucciso, anche se la legge ebraica non consentirebbe alle donne di farlo. Ma lei prosegue decisa e imperturbabile, nonostante il divieto, perché la fede diventa per lei un’ancora, una certezza nella quale trovare sostegno. Dopo la morte del padre, Davita vede sua madre soffrire e cambiare, piangere e abbandonarsi. La donna si allontana anche dalla figlia e cerca nel suo lavoro di assistente sociale e di responsabile politica spazi e stimoli per continuare a vivere. Ma quando si diffonde la notizia del patto di non aggressione tra Stalin ed Hitler (1939), la donna, e altri comunisti americani, non sono in grado di accettare un accordo politico con il nemico nazista. Gli ideali di Channah crollano sotto il peso degli eventi storici e la inducono ad allontanarsi dal partito.
Davita è una bambina intelligente e curiosa. Grazie ai suoi genitori conosce Paesi, vicende, nomi e storie che i compagni di scuola ignorano e che, a volte, spaventano persino gli stessi insegnanti. La storia d’Europa, che porterà allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, è qui vista e raccontata in un’ottica diversa, quella degli americani del tempo che, sicuramente, avevano una percezione differente degli eventi rispetto a quella degli abitanti del Vecchio Continente. E, soprattutto, ciò che affascina de “L’arpa di Davita” è il fatto che ogni riflessione è filtrata dagli occhi e dal linguaggio di una ragazzina. Conosciamo così i suoi dubbi, le sue paure, i suoi dolori. Ha perso il padre per colpa dei fascisti, anche se lei non sa chi siano e può solo immaginarli attraverso i discorsi di sua madre e di altri adulti; è costretta a cercare Guernica su una cartina geografica per capire dove fosse stato dilaniato il corpo di suo padre. Davita è obbligata a crescere velocemente e a prendere atto di realtà molto più grandi di lei. Un’evoluzione spirituale, psicologia e anche artistica, visto che scopre di essere in grado di scrivere storie bellissime così come alcuni insegnanti le fanno notare.
Il libro ha una prosa lineare e chiara. Le tematiche proposte sono spesso complesse, politicamente e storicamente importanti, ma essendo trasposte attraverso la voce di una bambina, diventano più facili da affrontare e da recepire. Il libro, proprio per queste peculiarità, potrebbe essere adatto anche a dei lettori piuttosto giovani.
Edizione esaminata e brevi note
Chaim Potok, figlio di ebrei polacchi immigrati in America, nasce a New York, nel quartiere del Bronx, nel 1929. Studia letteratura inglese presso la Yeshiva University e si laurea con il massimo dei voti. Poi ottiene altre lauree: quella in filosofia all’Università di Pennsylvania e quella in ebraico presso il Jewish Theological Seminary of America, che avvia Potok alla carriera di rabbina. E’ cappellano dell’esercito USA in Corea e, più tardi, redattore capo della Jewish Pubblication Society of America. La notorietà, come scrittore, giunge nel 1967 grazie a “The Chosen”, tradotto in Italia con il titolo di “Danny l’eletto”, romanzo che, nel 1981, diviene un film: “Gli eletti” (titolo originale “The Chosen”) diretto da Jeremy Paul Kagan. Potok è autore di libri per ragazzi, saggi storici, romanzi ed è noto anche come critico letterario. Le sue opere, oltre a “Danny l’eletto” sono: “La scelta di Reuven”, “Il mio nome è Asher Lev”, “Il libro delle luci”, “In principio”, “Storia degli ebrei”, “Il dono di Asher Lev”, “L’arpa di Davita”, “Io sono l’argilla”, “Vecchi a mezzanotte”, “Novembre alle porte”, “Zebra e altri racconti”. Potok muore nella città di Merion, in Pennsylvania, il 23 luglio del 2002.
Chaim Potok, “L’arpa di Davita”, Garzanti, Milano, 2004.
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