Un brevissimo libro e due testi diversi. Il primo, “Dove sei Mathias”, è un racconto; il secondo, “Line, il tempo”, è una pièce teatrale. L’infanzia, con le sue paure, le parole, le ossessioni, il fluire diverso del tempo, è elemento comune e rimane, in ogni caso, argomento essenziale e costante delle opere della Kristof.
In “Dove sei Mathias?” ritroviamo uno stile onirico e, per certi versi, “delirante”. Non è facile capire dove inizi il sogno e dove, invece, si approdi al reale. Ma è esattamente questo “sfumato”, questa intrigante inafferrabilità che rende tanto affascinante la lettura del racconto. I confini sono labili e si confondono nei discorsi e nelle azioni del piccolo Sandor. Il sogno era noioso. Non era neppure un incubo. Il sogno era un’isola deserta, dove non c’era nulla da fare.
Secondo le indicazioni della Kristof, “Dove sei Mathias?” sarebbe stato scritto nei primi anni settanta. Per cui Sandor, che, tra l’altro, ha lo stesso nome del protagonista maschile di “Ieri”, appare come il “prototipo” del bambino suicida de “La Prova” (1988), una delle tre parti di cui è composta “La trilogia della città di K”. Anche il “Dove sei Mathias?” è presente il tema del gemello, del doppio, dell’identità ambigua ed oscura dei protagonisti. Non abbiamo alcuna certezza su chi sia davvero il personaggio che sta parlando e tanto meno si riesce ad afferrare il senso assoluto di cosa voglia dire. Un miraggio? Un delirio generato dalla febbre? Due fratelli reali? Due fratelli immaginari?
Mathias, dove sei? Lasciandoti ho perso tutto. Ho provato a stare senza di te. Ho giocato, rubato, ucciso, amato. Ma tutto ciò non aveva alcun senso. Senza di te il gioco era senza interesse, la rivoluzione senza smalto, l’amore senza sapore. Per vent’anni non sono stato altro che una grigia assenza.
“Line, il tempo” è un testo scritto nel 1978. Lo stile si adatta, ovviamente, ad esigenze teatrali. I personaggi in scena sono soltanto due: Line e Marc (anche il nome di Line è lo stesso della protagonista di “Ieri”). Nella prima parte lei è solo una bambina di 12 anni, mentre Marc è un giovane uomo di 22. Dieci anni che sembrano essere un abisso: Dieci anni sono tanti, Line, tantissimi, spiega Marc. Ma la ragazzina con la faccia sporca di gelato al caramello, i piedi nudi e i capelli in disordine non si arrende e chiarisce, con ostinazione e schiettezza, che il tempo passerà in fretta, che dieci anni non sono nulla e che lei crescerà presto. Anzi osa di più e dichiara il suo amore a Marc: Ti amo come mia mamma e mio papà, ma molto di più. Anche come la mia amica Valentine, ma ancora di più. Come il mio gatto Charabia, e ancora di più. Sono veramente innamorata di te.
Marc non le dà la considerazione che Line vorrebbe. Il loro dialogo procede per battute brevi, serrate, acute. Il ragazzo cerca di farla desistere spiegandole che è troppo piccola per capire o sapere cosa sia davvero l’amore. Line si arrabbia e, come farebbe ogni donna, piange. Ma vedrai, presto sarò grande, e sarò più bella di lei e anche più intelligente, più gentile, e non avrò mai fretta, vedrai, tra cinque o otto anni, vedrai.
Infatti gli anni passano e, nella seconda parte, ritroviamo Line seduta a leggere su una panchina dello stesso parco. Ha 22 anni. Non ha più visto Marc: lui è andato lontano per seguire la donna che amava, che ha poi sposato e dalla quale ha anche divorziato. Ora è tornato. Passa davanti a Line ma non la riconosce. Lei lo chiama e lo invita a sedersi accanto a lei. E’ diverso. In dieci anni tutto è divenuto altro ed i ruoli ora sono inversi. E’ Line, che adesso preferisce essere chiamata con il suo nome completo, Caroline, che pensa che dieci anni siano troppi: sei troppo vecchio per me, Marc.
Il tempo è trascorso e Line è rimasta ancorata all’immagine che aveva di Marc, un ragazzo che non c’è più. Aveva atteso a lungo l’istante del ritorno ed ora che lui è davanti a lei, si rende conto che il loro incontro non è affatto perfetto ed idilliaco: Questi dieci anni non si possono cancellare, Marc. Ti ho sognato molto, sai, ho sognato il tuo ritorno. Ma nei miei sogni era diverso. Eri più alto, più bello, più allegro. Tornavi a cercarmi, ma non avevi questo passato triste e pesante sulle spalle. Oh, Marc! Credo che non vorrò rivederti mai più!
Edizione esaminata e brevi note
Agota Kristof è nata in Ungheria nel 1935. Suo padre era un insegnante. A 14 anni Agota entra in collegio. Nel 1956 lascia clandestinamente l’Ungheria. Al tempo la scrittrice aveva 21 anni, era sposata ed aveva una bambina di soli 4 mesi. E’ destinata in Svizzera, a Neuchâtel, luogo nel quale la Kristof vive tuttora. Nel 1987 pubblica il suo primo romanzo “Le grand Chaier”, a cui fanno seguito “Le previe” (1988), e la “Troisième menzogne” (1991), che confluiranno, in traduzione italiana, ne “La trilogia della città di K” (Einaudi, 1998). Dal romanzo “Ieri” (1995) è stato anche tratto il film di Silvio Soldini, “Brucio nel vento” (2001). Nel 2004 Agota Kristof pubblica “L’analfabeta” e nel 2005 “La vendetta”. Sono conosciute anche alcune le sue pièces teatrali: “John et Joe” (1972) e “Un rat qui passe” del 1984. Le altre, “La chiave dell’ascensore” e “L’ora grigia o l’ultimo cliente”, sono state edite in Italia da Einaudi nel 1999.
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