La Cripta dei Cappuccini si trova a Vienna e, dal 1633, ospita le tombe degli imperatori e delle imperatrici d’Austria e di altri membri della famiglia imperiale. Ne “La Cripta dei Cappuccini” lo scrittore galiziano racconta la fine dell’Impero austro-ungarico, un tracollo a cui egli stesso aveva assistito in prima persona, vivendo, impotente e vittima, la distruzione di un mondo di cui, fino ad allora, aveva fatto parte e in cui aveva cieca fiducia.
Il personaggio principale del romanzo, alter ego di Roth, è Francesco Ferdinando, giovane e brillante erede della casata dei Trotta, la stessa a cui apparteneva l’“eroe di Solferino”, zio di Francesco Ferdinando che, nel corso della battaglia del 1859, aveva salvato la vita all’Imperatore Francesco Giuseppe.
Siamo nel 1913, il giovane Trotta, poco più che ventenne, è immerso in un universo dorato e libero. E’ circondato da giovani aristocratici come lui che trascorrono le giornate dormendo e le nottate in giro nei vari caffè viennesi. Ragazzi presuntuosi, scettici, beffardi, dediti al divertimento e privi di ogni responsabilità. Una vita frivola, agiata, capricciosa. Eppure: Forse negli strati profondi delle nostre anime erano sopite quelle certezze che la gente chiama presentimenti, prima fra tutte che il vecchio imperatore moriva, ogni giorno in più di vita era un altro passo verso la morte, e insieme con lui moriva la monarchia, non tanto la nostra patria, quanto il nostro impero….
Lo sfacelo, forse subodorato, è imminente. Nel 1914, quando Trotta è in visita presso un suo conoscente a Zlotogrod, in Galizia, viene diffuso il proclama “Ai miei popoli” dell’Imperatore: pochi giorni prima era stato assassinato l’erede al trono austriaco, l’arciduca Francesco Ferdinando. Scoppia la Prima Guerra Mondiale.
Trotta si arruola e, prima di partire, decide di sposare Elisabeth, la ragazza di cui è innamorato. Sceglie di combattere nelle regioni orientali, ma viene presto fatto prigioniero dai Russi e trasferito in Siberia. Torna a Vienna solo alla vigilia del Natale del 1918. Un “vivo per errore”, uno dei tanti. Ed è così che inizia la presa d’atto più difficile ed incredibile: l’Impero non esiste più. E con esso sono decaduti i nobili e le aristocratiche sicurezze di un tempo. Tutto è mutato o sta mutando ma Trotta, pur assistendo a tale rivoluzione, non sa come adattarvisi. Tenta di riavvicinarsi ad Elisabeth, ma lei è succube di una sedicente artista che la proietta in una dimensione avanguardista e quindi troppo “moderna” per Francesco Ferdinando. Lui non riesce a capire la nuova Austria, la osserva impietrito e inetto. Dovrebbe imparare a lavorare perché è l’unico modo che può garantirgli un reddito e quindi, su insistenza di un avvocato che cura le proprietà di famiglia, decide di trasformare la casa paterna in una pensione. Si limita a dare alloggio a dei nobili “sfollati” come lui, suoi vecchi amici e compagni di un tempo oramai ridotti al disfacimento, incapaci di trovare un ordine nel nuovo ordine delle cose. Cominciavamo addirittura ad amare la nostra disperazione come si amano dei nemici sinceri. Anzi ci sprofondavamo dentro. Le eravamo grati perché inghiottiva i nostro piccoli affanni personali, lei, la loro sorella maggiore, la grande disperazione, che invero non cedeva a nessuno conforto, ma nemmeno a nessuna delle nostre preoccupazioni quotidiane.
Con la morte della madre, Trotta resta solo e inizia a non curarsi più del mondo. Passa attraverso le notti di Vienna piene di rughe e avvizzite. Sere frettolose e quasi intimorite, bisognava cercare di afferrarle prima che si accingessero a scomparire.
Trotta osserva la sua città e la gente che la abita con lo sguardo spassionato di uno che non ritrova nessuna appartenenza, indifferente alla storia, alla politica, alle novità nazionali, totalmente assuefatto e convinto della propria rinuncia. Io ero escluso; escluso ero. Escluso in mezzo ai vivi significa qualcosa come: extraterritoriale. Ero appunto un extraterritoriale in mezzo ai vivi.
Ed è in questo clima che Francesco Ferdinando, seduto al suo solito caffè coi suoi soliti amici, segue l’ingresso nel locale di un giovane dallo strano abbigliamento che annuncia a tutti gli avventori la caduta del governo austriaco e la nascita del governo popolare tedesco.
Il crollo dell’Impero, dunque, è davvero definitivo. Le uniche tracce che sopravvivono sono ormai solo quelle conservate presso la Cripta dei Cappuccini, dove giacciono i miei imperatori, sepolti in sarcofaghi di pietra.
Un romanzo che rappresenta l’affresco struggente ed amaro della fine di un’epoca. Racconto nostalgico di una sconfitta, dell’impossibilità di adattamento, del rifiuto accorato della modernità. La Prima Guerra, scrive Roth, è Mondiale non perché abbia coinvolto il mondo intero, ma perché ha causato il crollo di un mondo, quello rappresentato dalla monarchia austro-ungarica.
Edizione esaminata e brevi note
Roth nacque a Brody, in Galizia orientale, il 2 settembre 1894. Apparteneva ad una famiglia ebraica. Studiò germanistica e filosofia a Leopoli prima e a Vienna poi. Prese parte alla Prima Guerra Mondiale come volontario e venne fatto prigioniero dei russi. Al termine del conflitto lavorò come giornalista a Vienna, Berlino e Francoforte. Nel 1933, a causa dell’avvento di Hitler, lasciò la Germania e si trasferì a Parigi dove morì, alcolizzato, il 27 maggio 1939.
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