La critica letteraria, fin dalla metà degli anni settanta, ha considerato Giuseppe Conte un artista particolarmente attento a tematiche quali il rapporto tra Oriente e Occidente, l’Islam, il viaggio. In altri termini un poeta che non ha avuto remore nel dare voce a civiltà antagonistiche rispetto quella occidentale; e ad un senso del sacro causa ed effetto della crisi d’identità presente nei nostri paesi opulenti e capitalisti. La sostanza non cambia di molto se guardiamo al Giuseppe Conte narratore, tanto da poter leggere, in un’intervista di qualche anno fa, di “un’idea mitomodernista del romanzo”.
Questa contrapposizione tra occidente e oriente appare in tutta la sua evidenza fin dal titolo dell’ultima opera di Conte: “Sesso e apocalisse a Istanbul”. Chiaro il riferimento e l’ambientazione in una città autenticamente crocevia di due continenti e di due visioni del mondo ancora inconciliabili. Contraddizioni che, prima di esplodere in tutta la loro virulenza distruttiva, vengono preannunciate dalla vicenda dei protagonisti del romanzo: Giona Castelli, libraio genovese che da poco ha dovuto dismettere la sua attività; e Veronica Solari, detta Vero, donna ricchissima, capricciosa, furibonda lettrice di romanzi, sposata ad un arrogante senatore della Repubblica. I due sono amanti – complice “Sottomissione” di Houellebcq, l’ultimo libro venduto da Giona – e l’idea è quella di passare alcuni giorni a Istanbul, trombare come ricci e dare sfogo alle fantasie più hard dell’intraprendente signora, ossessionata dall’idea di uno “sconosciuto” nelle vesti (poche) di terzo e attivo incomodo. Giunto nella “seconda Roma”, Giona incontra l’amico Ilhan Durcan, il traduttore arabo di Henry Miller, Khaled Nejim e il direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, Giuseppe Maria Rizzi, detto Ritz, un amico omosessuale che da tempo ha abbandonato le avventure estreme dei venti e trent’anni per fare coppia con un insospettabile e giovane connazionale. Una stabilità affettiva e sessuale molto diversa rispetto quella immaginata da Vero che, poco prima di ricongiungersi col suo Giona, per puro caso sembra aver incrociato il candidato ideale per impersonare “lo sconosciuto”: un giovane genovese molto riservato, di bell’aspetto, apparentemente gentile ma che nasconde la volontà di vendicare un passato di umiliazioni e, di conseguenza, la sua affiliazione al Califfato. I due stagionati amanti, una volta preso possesso della loro camera di hotel, si danno un gran daffare, tanto che le incursioni in città e dagli amici sono limitate ai periodi refrattari; ma presto tutto precipita: Khaled Nejim e Ilhan Durcan sono uccisi da mano ignota e diventa sempre più evidente che tutto questo ha a che fare con i precedenti incontri di Giona e di Vero.
Le contraddizioni del crocevia tra oriente e occidente così iniziano a degenerare in qualcosa di molto più inquietante. Lo scenario infatti cambia in un baleno: dall’atmosfera cosmopolita di una grande città dal passato glorioso, dall’immaginario erotico libero e famelico di una coppia dotata di insospettabili energie e che si barcamena tra palesi ipocrisie, è un attimo ritrovarsi vittime di un diverso conformismo e soprattutto di un integralismo questa volta letale.
Il romanzo, nel rappresentare la complessità etica e psicologica dei suoi protagonisti, è ben strutturato, procedendo incalzante verso un epilogo inizialmente poco prevedibile, tutto giocato sulla dialettica tra sesso – morte, fanatismo degli antagonisti contrapposto alla mollezza occidentale, frustrazione e riscatto, integralismo e anarchismo, ipocrisie e inaspettato coraggio, trasgressione e dignità, religione e carnalità, bassi istinti e desiderio di purificazione. Tensioni sempre più palpabili che vengono evidenziate dalla scrittura di Conte, particolarmente limpida e efficace sia nel rappresentare l’anarchismo del piacere e della libertà, sia le cause più profonde e gli esiti più sanguinosi del fanatismo islamista. Due estremi che magari si scoprono avere delle origini comuni, che si sfiorano e che quando si incontrano generano sangue ed anche una qualche parvenza di redenzione. Da qui l’Apocalisse. Si pensi a Giona Castelli, disilluso quarantenne appena reduce da grandi sconfitte professionali e personali. Il suo comportamento di fronte all’esplodere della violenza è infatti sintomatico di una duplicità – una delle tante rappresentate nel romanzo di Conte – e allora probabilmente diventa ancor più chiaro il significato dell’avvertenza dell’autore subito nella prima pagina: “Io è un altro: chi ha scritto questo romanzo è un altro rispetto a me che lo firmo […] forse noi tutti altri siamo altri, senza saperlo” (pp.5).
Edizione esaminata e brevi note
Giuseppe Conte, (Imperia, 1945) ha pubblicato saggi, libri di viaggio come “Terre del mito”, raccolte di poesia, oggi tutte contenute nell’Oscar Poesie 1983-2015, e romanzi, da “Primavera incendiata” a “Fedeli d’amore”, dal “Terzo ufficiale” (premio Hemingway) a “La casa delle onde” (selezione premio Strega) sino a “Il male veniva dal mare”. Traduttore di Whitman e di D.H. Lawrence, grande viaggiatore, cultore appassionato del mito, impegnato da decenni nel confronto con il pensiero dell’Oriente e con l’Islam, ha vissuto per lunghi periodi in Francia. Attualmente abita in Riviera
Giuseppe Conte, “Sesso e apocalisse a Istanbul”, Giunti editore (collana “Scrittori Giunti”), Firenze 2018, pp. 240.
Luca Menichetti. Lankenauta, marzo 2018
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