“Pane sporco” segue a ruota “Il papa gesuita”, “Corrosione” – opere sempre di Vittorio V. Alberti – e, sotto una prospettiva parzialmente diversa e tutta italiana, torna su una piaga che da tempo immemorabile infetta la nostra società: l’espressione l’ha infatti usata papa Francesco “riferendosi alla corruzione, ovunque essa si trovi, in tutte le istituzioni, compresa la sua […] Questo pane sporco porta dritto al rafforzamento delle mafie: è, insomma, il punto di raccordo perfetto tra corruzione e mafia” (pp.54). Non certamente un’analisi limitata alla sfera penalistica e agli art.318-322 del codice penale. Il punto di partenza, come ricorda il magistrato Pignatone nel suo saggio introduttivo, sono ancora le parole di Bergoglio: “La corruzione è un male più grande del peccato. Più che perdonato, questo male deve essere curato” (pp.20). Una cura che implica non semplicemente repressione ma, nella prospettiva di Vittorio V. Alberti, molto di più. Per questo motivo “Pane sporco” non è affatto assimilabile ad un libro di denuncia giornalistica: l’elaborazione di una serie di “esercizi filosofici” si spiega con la necessità di denunciare e di rimediare all’attuale degrado della cultura, fonte primaria della corruzione. Infatti, “l’agire non è altro che l’estensione del conoscere, e la cultura interviene sulle causa dei fenomeni anche sul piano politico” (pp.33). Ancora più esplicito è l’autore: “non è un trattato, bensì un manuale di esercizi utili a contrastare la corruzione non solo esortando sul piano morale, ma proponendo un sistema mentale, conoscitivo” (pp.38). Il punto centrale della questione, per dirla in altri termini, è che la corruzione, nel senso più ampio del termine, il bene e il male “non sono solo orizzonti d’azione o intenzione morale […] ma intellettuale” (pp.39).
Alla radice di questo sistema malato troviamo una (in)cultura che viene da lontano e che disprezza il merito, la bellezza “che rende liberi dal degrado”, offrendo piuttosto libertà d’azione a personaggi servili e privi di dignità. Mentre la cultura, correttamente intesa, “fa libero un popolo, fa libera una persona perché le imprime filtri, capacità critica, decoro” (pp.132). Problemi che – ripetiamolo – vengono da lontano (l’autore analizza anche il passato di un’Italia nei secoli oggetto di occupazioni straniere), e che nei tempi recenti sembrano essersi acuiti proprio nel mezzo di un marketing politico sempre più pervasivo e trasversale. Si osserva infatti che, dopo la caduta del Muro, “l’enfasi si è spostata dall’identità culturale a coloro i quali si sono trovati al comando delle varie parti, e così la vita politica è divenuta una sorta di vicenda teatrale centrata su persone senza una chiara identità” (pp.123). Alberti, come abbiamo scritto, non ha inteso citare esplicitamente i personaggi che in questo momento stanno ancora condizionando la vita politica e sociale italiana, salvo qualche accenno a “mafia capitale” e all’arroganza e all’impreparazione dei “duci e ducetti” che, almeno al loro primo proporsi, attraggono sempre il nostro elettorato.
Semmai sono spesso citati grandi intellettuali del recente passato (Don Lorenzo Milani, Federico Zeri, Zavoli, Montanelli, Biagi, Sciascia) e uomini di legge che hanno pagato a caro prezzo la loro coerenza. Ad esempio Borsellino, le cui parole (Bassano del Grappa, 1989), limpide, piene di buon senso, proprio agli occhi di una società corrotta e priva di raziocinio, potrebbero essere spacciate per spudorato giustizialismo: “C’è il forte sospetto che dovrebbe, quanto meno, indurre i partiti a fare grossa pulizia, a non essere soltanto onesti, ma apparire onesti facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da fatti inquietanti” (pp.136). Del resto parole simili, pronunciate da altri (vedi Davigo), ancora oggi, da parte alcuni nostri improvvisati “garantisti”, vengono derubricate a visione giacobina, a pulsioni illiberali. Altro esempio di come la mancanza di cultura, spesso proprio grazie al supporto di cortigiani spacciati per intellettuali, prepari il terreno alla distorsione del linguaggio e dei concetti, alla superficialità dei giudizi.
Insomma, una situazione che soprattutto in questi ultimi anni sembra davvero essersi avvitata in un buco nero di deresponsabilizzazione, approssimazione, prepotenza, volgarità, di politica ignorante e più che mai famelica di poltrone, dove le generazioni più giovani, alle prese con concorsi fasulli e un lavoro precario, rischiano di diventare a loro volta nuova manovalanza di nuova corruzione. La cura di una malattia così cronicizzata è quindi molto difficile e l’unico modo per uscirne, secondo Vittorio V. Alberti, è tornare alla comprensione del nostro passato, anche del nostro patrimonio di bellezza. Se il problema è culturale allora è con un grande recupero culturale, pur con i suoi tempi lunghi, che si può contrastare corruzione e mafia – come scrive Pignatone, “le mafie sono esse stesse una manifestazione non secondaria della corruzione (pp.21) – mai dimenticando che l’estetica non è qualcosa di superfluo ma è categoria intimamente legata all’etica.
Edizione esaminata e brevi note
Vittorio V. Alberti, (Roma, 1978), filosofo e storico, è membro della Consulta scientifica del Cortile dei Gentili, dirige la rivista online “Sintesi Dialettica” e tiene un blog su HuffingtonPost. Già docente di filosofia politica presso la P. Università Lateranense, è stato visiting post-doctoral researcher a Oxford. È officiale, per i temi politici, del Dicastero per lo Sviluppo umano integrale presso la Santa Sede. Tra i suoi libri, “La DC e il terrorismo nell’Italia degli anni di piombo” (Rubbettino-Istituto L. Sturzo 2008), “Nuovo umanesimo, nuova laicità” (LUP 2012), “Il concetto di pace” (LEV 2013), “Il papa gesuita. Pensiero incompleto, libertà e laicità in papa Francesco” (Mondadori Università 2014); con il cardinale Peter Turkson, “Corrosione. Combattere la corruzione nella Chiesa e nella società” (Rizzoli 2017, prefazione di papa Francesco).
Vittorio V. Alberti, “Pane sporco. Combattere la corruzione e la mafia con la cultura”, Rizzoli (collana “Saggi italiani”), Milano 2018, pp. 230. Con un saggio introduttivo di Giuseppe Pignatone. Postfazione di don Luigi Ciotti.
Luca Menichetti. Lankenauta, aprile 2018
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