Mugno Salvatore

Il cane della mafia

Pubblicato il: 30 Aprile 2018

I dizionari ci dicono che “divertissement” corrisponde a “composizione letteraria caratterizzata dalla elaborazione giocosa di un tema” oppure a “composizione letteraria di argomento o tono giocoso”. Definizione che effettivamente per l’ultima opera di  Salvatore Mugno, “Il cane della mafia. I siciliani e i cani di mànnara. Divertissement” non sembra campata in aria: non oltre sessanta pagine (ben) scritte – leggiamo infatti di una “plaquette” (pp.6) – molta carne al fuoco (divagazioni sulla razza canina di mànnara, le citazioni letterarie, l’etimologia, la ferocia dei cani e tanto altro) e dosi significative di ironia e sarcasmo. Il punto semmai è che, se possiamo parlare di “elaborazione giocosa”, il tema di per sé non è dei più lievi. Il “divertissement” è incentrato appunto sulla storia di una razza di cani in via di estinzione e che non possiamo studiare efficacemente senza una comprensione di cosa ha voluto davvero dire sicilianità, latifondismo, mafia.

Salvatore Mugno non è avaro di digressioni – e allora possiamo trovare un capitolo dedicato ai cani della letteratura siciliana, da Bendicò del “Gattopardo” ai racconti di Pirandello, passando per Argo dell’Odissea, fino ai cani contemporanei di Marcello Benfante, Emma Dante, Mino Blunda, Roberto Alajmo – ma il nucleo centrale delle pagine dell’opera riguarda appunto il ruolo di questo mastino nella società rurale siciliana; e dall’altro lato la situazione precaria nella quale ora si trova la razza di mànnara. Nel capitolo “Il cane dei pastori, dei campieri e dei mafiosi” leggiamo infatti di un’inquietante e credibile assimilazione cane-uomo grazie alle parole di Davide D’Agate, giovane biologo di Paceco: “I cani hanno subito la stessa sorte degli uomini siciliani, che mostrano una grande varietà, la quale, per intenderci va da Giovanni Falcone a Totò Riina” (pp.44). Ed ancora Mugno: “Così se il cane di mannàra ha assunto certe caratteristiche, ciò sarebbe dovuto anche al suo utilizzo; non escluso, almeno negli ultimi secoli, quello avvenuto in contesti prettamente mafiosi o paramafiosi. La cattiva nomea di questi quadrupedi, la sua “mafiosità”, deriverebbe, soprattutto dall’uso che se ne faceva da parte dei proprietari terrieri del Settecento e dell’Ottocento, che li impiegavano come cani da guardia (e non semplicemente da pecora)” (pp.45). Se inizialmente il mastino siciliano manifestava la sua aggressività nei confronti dei lupi, col tempo, complici i campieri, questo cane è diventato temibile anche per gli uomini; e non soltanto per i responsabili di abigeato. Da questo punto di vista significativo è il breve capitolo “Affinità elettive tra l’uomo e la bestia”, dove questa sorta di assimilazione diventa esplicita, anche negli aspetti meno negativi e meno “criminali”: “In queste loro attitudini c’è molto del modo di essere di un certo tipo di siciliano: superbo, sdegnoso, di poche parole, sospettoso, solitario pur nella mischia, guardingo, pronto ad azzanarti se ne offendi la rispettabilità, magari insoddisfatto del proprio ruolo ma al contempo deciso a svolgerlo con dignità e caparbietà…” (pp.58).

Il nostro autore però poi dà conto di un’ulteriore evoluzione di questo rapporto uomo-cane, che ancora una volta ha poco del “divertissement”: “Adesso che i pastori siciliani hanno quasi del tutto smesso di accompagnarsi con le loro pecore e, quindi anche con i loro cani, l’osmosi di un tempo non avviene più e anche questa sorta di mafiosità del cani di mannàra si va disperdendo. In altri termini, la cultura, intesa in senso lato, ha prodotto e poi distrutto i cani di mannàra” (pp.51). Alcune foto in bianco e nero, dedicate al  mastino siciliano a rischio estinzione, completano il piccolo volume. Foto alla fin fine significative nella loro varietà e nel descrivere le contraddizioni e le complessità di un cane che, a quanto pare, ha molto a che fare con il prototipo di uomo siculo: dall’esemplare che mostra i denti, ad un cucciolo che “può essere di una dolcezza sconfinata”, al “guardiano discreto ma vigile”, per finire con “L’autore del libro in un gioco di specchi tra uomo e cane” .

Edizione esaminata e brevi note

Salvatore Mugno, (Trapani, 1962), si è occupato di letteratura siciliana e di importanti scrittori tunisini, curandone e traducendone alcune opere: Mario Scalesi, Moncef Ghachem e Abū’l Qāsim ash-Shābbi. Ha pubblicato romanzi e saggi su Mauro Rostagno, Nick La Rocca, Mameli Barbara, Giovanni Falcone, Giuseppe Lo Presti e la maschera di Peppe Nappa.

Salvatore Mugno, “Il cane della mafia. I siciliani e i cani di mannara. Divertissement”, Algra (collana “Interim”), Viagrande 2018, pp. 80.

Luca Menichetti.  Lankenauta, aprile 2018