Marion e Hortensia sono vicine di casa. Sono donne ormai anziane, ormai vedove, ormai consapevoli di non avere più molto da vivere eppure si ostinano, nonostante il tempo e le circostanze, a guerreggiare testardamente l’una contro l’altra. Marion è una donna bianca piuttosto in carne, architetto di successo, madre di quattro figli, moglie di un italiano che morendo l’ha lasciata in una pessima situazione finanziaria ma, soprattutto, Marion appartiene a quella parte di società razzista e perbenista che ha detenuto potere e diritti assoluti nel Sudafrica della segregazione e dell’apartheid. Hortensia è una donna nera, asciutta e piccola di statura, affermata designer di stoffe, moglie senza figli di un uomo bianco che è morto da pochissimo, arrivata in Sudafrica nei primi anni ’90 e proprietaria di una bella casa progettata con estremo amore da Marion agli inizi della sua carriera. Hortensia è stata la prima nera a stabilirsi a Katterjin, fittizio sobborgo del prestigioso quartiere residenziale di Constantia a Città del Capo e il suo arrivo non è mai stato del tutto digerito né accettato da Marion.
Alla base dell’antipatia istintiva tra Marion ed Hortensia ci sono evidentemente ragioni razziali. Marion è stata cresciuta ed educata secondo canoni sociali che la Storia ha poi demolito e ricostruito; Hortensia, invece, è fiera del colore della sua pelle e delle sue origini, espedienti che utilizza a suo piacimento per umiliare Marion, o qualsiasi bianco le capiti a tiro, con battute caustiche e critiche al vetriolo ricordando il razzismo strisciante e l’ipocrisia che caratterizza l’esistenza di molti. Il punto forte del romanzo della Omotoso è rappresentato proprio dalla costruzione della sferzante e pungolante opposizione tra i due personaggi principali, due figure femminili che la scrittrice nata alle Barbados ma cresciuta tra Nigeria e Sudafrica (proprio come Hortensia) ha saputo tratteggiare in maniera impeccabile edificandone egregiamente la psicologia e il carattere. Le due donne incarnano alla perfezione due facce della società sudafricana della fase post-apartheid durante la quale, nonostante tutto, non appare ancora possibile cancellare in maniera nitida ed efficace gli effetti della segregazione razziale le cui ombre continuano a strisciare e nutrire incomprensioni e divergenze.
La perenne guerriglia fatta di invidie, rinfacci, accuse ed avversioni tra Hortensia e la sua vicina di casa Marion si susseguono pagina dopo pagina in una catena piuttosto divertente di dialoghi e scene che le due vecchiette animano a modo loro. Si verifica però un evento inaspettato e a suo modo bizzarro che rimescola i ruoli e le posizioni e che, soprattutto, costringe le due donne ad una convivenza temporanea e forzata. Una condizione che entrambe vivono con disagio e insofferenza ma che le condurrà a guardarsi in maniera più profonda oltrepassando i giudizi o i pre-giudizi che per anni hanno nutrito la loro ostilità. Le due anziane signore, oltre a sottolineare le loro inevitabili differenze e a sputarsi addosso tutto il veleno che possono, riescono con un po’ di tempo a scovare ed ammettere le proprie debolezze e i propri errori esistenziali. Sia Hortensia che Marion si portano dentro amarezze e fallimenti che mai avrebbero ammesso l’una all’altra se il destino non le avesse costrette a ridurre le distanze, a rintracciare le similitudini piuttosto che esasperare le differenze.
Un romanzo sul Sudafrica, questo, scritto da una sudafricana. Eppure nel leggerlo ho avuto la sensazione di trovarmi al cospetto di una anglosassone: descrizioni dettagliatissime e minuziose, digressioni spesso fin troppo debordanti, divagazioni nel tempo e nella vita delle due protagoniste che se da un lato hanno il potere di cesellare i personaggi fin nei minimi particolari, dall’altro costano un po’ di fatica o persino di insofferenza per chi deve leggerle distaccandosi fin troppo frequentemente dalla vicenda principale. La lettura si presenta senza intralci visto che il nucleo de “La signora della porta accanto” è rappresentato dalla forza dei personaggi e dalle tematiche affrontate piuttosto che da uno stile originale ed innovativo. La scrittura della Omotoso, qui tradotta, è sicuramente valida ma altrettanto sicuramente non stravolge né rigenera il mondo della narrativa.
Edizione esaminata e brevi note
Yewande Omotoso è nata nel 1980 nelle Barbados, luogo d’origine di sua madre ed è figlia dello scrittore nigeriano Kole Omotoso. Si è poi trasferita con la sua famiglia in Nigeria e, dal 1992, in Sudafrica. La Omotoso è un architetto ma ha sempre avuto una grande passione per la scrittura. Il suo primo libro, “Bom boy”, è uscito nel 2011 e si è aggiudicato il South African Literary Award per la miglior opera esordiente. Nel 2016 viene pubblicato il suo secondo lavoro, “The woman next door”, “La signora della porta accanto”, entrato nella longlist del Baileys Women’s Prize for Fiction 2017 e dell’International Dublin Literary Award 2018.
Yewande Omotoso, “La signora della porta accanto“, 66thand2nd, Roma, 2018. Traduzione dall’inglese di Natalia Stabilini. Titolo originale “The woman next door” (2016).
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