Martino Miranda

Caduta in un gorgo di torbide passioni

Pubblicato il: 3 Giugno 2018

“Sei caduta in un gorgo di torbide passioni”: la frase di mamma Tecla, rinfacciata alla figlia prossima al successo come cantante, poi diventata il titolo dell’autobiografia di Miranda Martino non va interpretata soltanto come un espediente ironico e premessa a pagine leggere e disimpegnate. Come giustamente scrive Giancarlo Corsoni nella postfazione, il libro rappresenta soprattutto una “confessione a cuore aperto, scritta senza nascondere momenti che altri avrebbero taciuto, sventagliando cadute e inciampi senza mai assolverti, come se il tuo talento di cantante e poi anche di attrice abbia avuto un percorso a parte nel tuo cammino” (pp.335).

È vero che tra le pagine del “gorgo di torbide passioni” possiamo leggere innumerevoli aneddoti e ritratti, talvolta sorprendenti, di personaggi noti e meno noti del mondo della musica, del teatro, del cinema e della politica – pensiamo, tra i tanti, a Macario, Dapporto, Totò, Squarzina, Garinei e Giovannini, Palmiro Togliatti, Ennio Morricone, Mina, Umberto Bindi, Luigi Tenco, Dalida, Pupella Maggio, Giancarlo Pajetta e Giorgio Amendola – ma gran parte dell’autobiografia, “Il mio lessico familiare”, è incentrata appunto sugli anni ’30 e ’40, quando la giovanissima Miranda Martino non aveva ancora chiara la sua vocazione artistica e non si sfuggiva all’intransigenza di una famiglia e di una società in cui l’autoritarismo la faceva da padrone. In primo piano allora i rapporti difficilissimi con un genitore che “di se stesso non dava nulla ma” poi “pretendeva dalla famiglia tutto quello che riteneva gli fosse dovuto”; perché Miranda e le sorelle erano “femmine e per lui la cultura era una prerogativa esclusiva dell’uomo” (pp.35). Non soltanto recriminazioni, va detto, non fosse altro che l’affetto per un padre permeato di una moralità tipica meridionale, che possiamo definire “figlio del suo tempo”, è rivendicato in diverse pagine del libro; malgrado un’estenuante rigidità mentale che, facile capirlo, rispecchiava comunque una concezione della vita personale e familiare diffusissima e chiaro presupposto di tutte le ribellioni sociali future, dagli anni sessanta in poi.

La vita, prima a Moggio Udinese, poi a  Verona e a Roma, le complicità e le incomprensioni con le sorelle e la madre, le violenze di uomini spregiudicati e protetti dall’ipocrisia di una società terribilmente maschilista sono argomenti che precedono la seconda parte del libro, “La carriera” e che mostrano come, di fatto, vicende molto private, familiari e affettive possano condizionare oltre misura e in maniera determinante le scelte professionali, vuoi per inconfessata rivalsa, vuoi perché si viene travolti “nel gorgo di torbide passioni”. Un’attività di cantante ed attrice progredita quindi in virtù di un innato talento e che nel contempo è stata influenzata negativamente proprio dai comportamenti ipocriti e violenti di presunti mentori e colleghi – le pagine dedicate a Bruno Canfora e a Ezio Radaelli non lasciano indifferenti – e probabilmente e paradossalmente proprio dall’ecletticità della Martino, non soltanto “dai falsi amici, dagli imbroglioni del sottobosco dello spettacolo” (pp.5).  Non è un caso se si parla di “una ragazza di provincia diventata due volte Diva”. Così dalla quarta di copertina del nostro “gorgo di torbide passioni”: “Diva nell’Italia del boom economico dei Festival di Sanremo e di Napoli (l’esordio nel 1955, la vetta al Festival di New York nel 1960) […] si distingue come attrice di teatro, di prosa radiofonica e televisiva e di cinema […] Diva per la seconda volta nel 1968: si dedica al teatro politico, si concede anche Genet, diretta da Scaparro e il Woyzeck diretta da Puecher […] Dirige il teatro dei Cocci per cinque anni e promuove i lunedì letterari, dedicando le serate a Pasolini, Pavese e Garcia Lorca, recitando e interpretandone i versi”.

Come possiamo intuire, tra vita privata piena di rimpianti, “disastrosi errori di valutazione,  coraggiose ripartenze”, e una carriera che si è evoluta dall’interpretazione di musica melodica, passione per i classici, per approdare poi ad un più intenso impegno politico e civile, davvero le oltre trecento pagine – arricchite da una puntuale discografia a cura di Michele Neri e un compendio dedicato alle partecipazioni radiofoniche, teatrali e  televisive a cura di Emmanuel Grossi – non appariranno affatto eccessive. Questo anche grazie ad uno stile poco letterario, diciamo pure colloquiale e non privo di autoironia, che consente di leggere questa autobiografia non soltanto alla stregua di una confessione a cuore aperto, in qualche modo terapeutica, ma anche come testimonianza, non banale, dei vizi e delle virtù di coloro che hanno nobilitato e, a volte, infamato l’ambiente artistico italiano.

La coesistenza delle meschinità dell’italietta con la grandezza dell’arte italiana in questo libro sono raccontate in prima persona, mostrando prima l’entusiasmo e poi le profonde disillusioni vissute nel corso di una lunghissima carriera. Oltre sessant’anni di attività artistica che, nonostante le tante difficoltà, raccontate senza falsi pudori, a quanto pare non hanno piegato lo spirito tenace di Miranda Martino; e l’epilogo, tutto rivolto al futuro, sembra davvero spazzare via molta malinconia e così ricacciarla nel “gorgo di passioni”, archiviandola nel passato.

Edizione esaminata e brevi note

Miranda Martino, (Moggio Udinese, 1933), cantante e attrice. Debutta nel 1955 a un concorso indetto dalla RAI. La popolarità le spalanca le porte della televisione, della radio, del cinema, la sua fama giunge fino in America. A partire dalla seconda metà degli anni ’60 privilegia il teatro.

Miranda Martino, “Caduta in un gorgo di torbide passioni”, Iacobelli (collana “Pop Story”), Pavona di Albano Laziale 2018, pp. 345. Presentazione di Stefano Torossi. Prefazione di Filippo Ottoni. Postfazione di Giancarlo Corsoni.

Luca Menichetti.  Lankenauta, giugno 2018