Il romanzo storico-biografico “Marco Polo” è figlio, per connessione e principio, di un altro importante lavoro della scrittrice romana: “Il Milione di Marco Polo scritto da Maria Bellonci”. Entrambi sono stati pubblicati per la prima volta nel 1982 e, come spiega la Bellonci in appendice a questo notevole libro: “Credo che non avrei avuto mai lo stimolo a fare questo romanzo se non avessi avuto l’occasione, appassionante, di riscrivere o tradurre dal testo originale franco-italiano il Milione“. Il Marco Polo de Il Milione è la stessa creatura che anima e riempie il “Marco Polo” di Maria Bellonci. Il grande viaggiatore veneziano parla qui in prima persona e pare riscrivere le memorie del suo straordinario viaggio verso Oriente. Il romanzo della Bellonci gode della stessa potenza evocativa e delle stesse suggestive atmosfere che la scrittrice ha conosciuto e fatto sue durante il lavoro di traduzione della copia de Il Milione più simile all’originale che sia a noi pervenuta, ossia il manoscritto 1116 della Biblioteca Nazionale di Parigi.
Il romanzo che Maria Bellonci ha elaborato, dunque, deriva in prima istanza da un immenso lavoro di studio, approfondimento e dedizione che la scrittrice ha condotto per diverso tempo sull’antico codice. Ma oltre al grande interesse storico e filologico si rileva in “Marco Polo” anche un’attentissima analisi psicologica e spirituale del personaggio. In questo modo la Bellonci ha restituito al mercante viaggiatore più famoso di sempre quella consapevolezza e quella forza che solo un eroe epico può possedere. Marco narra le sue avventure ma tratteggia anche la sua identità e la sua formazione umana. Nel 1269 è un giovinetto di appena quindici anni quando vede tornare a casa, a Venezia, un padre che ha sempre e solo sentito nominare. Un uomo di cui ha sognato ed immaginato le imprese ma che non ha mai sfiorato né guardato negli occhi. “Non somigli a tuo padre, Marco, – dicono i miei zii – lui ha la mercatura nel sangue e nulla lo sposta dalle sue decisioni. Fingevo di essere umiliato da quelle parole come loro si aspettavano e invece me ne gloriavo segretamente: esse evocavano qualcuno che mi pareva dovesse riempire giorni vuoti in una casa vuota, una presenza ogni giorno chiamata, interrogata, la presenza di mio padre“.
Le linee del tempo si annodano e si sovrappongono spesso in questo racconto. Il Marco che parla è ormai un quarantaquattrenne che ha visto e vissuto molto. È stato fatto prigioniero dai genovesi durante la battaglia presso le isole Curzolane, il 6 settembre 1298, ed ha una profonda ferita alla spalla. Nella cella in cui lo rinchiudono si ritrova accanto ad un prigioniero che ha persino dimenticato da quanto tempo è rinchiuso, si chiama Rustichello da Pisa ed è a lui e alla sua penna che Marco affida il racconto delle meraviglie che ha potuto ammirare ed amare durante il viaggio e durante la sua permanenza in Catai, al servizio di Kublai Kan. I racconti che Marco lascia a Rustichello servono da diletto al capitano genovese che ama sentirsi raccontare storie ma, nel contempo, attirano la diffidenza e le accuse di monaci e prelati che ritengono eretiche e pericolose le parole del veneziano. Marco assicura che quel che va raccontando è solo una minima parte di quanto ha visto attraversando territori e conoscendo popoli che la Chiesa non immagina neppure e che ritiene pagani a prescindere.
Suo padre Niccolò e suo zio Matteo diventano per Marco maestri di vita e di viaggio. Nel 1271 parte con loro per una nuova impresa verso la Cina catturato da una immensa bramosia di capire e conoscere. È un osservatore attento anche se ancora un po’ ingenuo. Il viaggio verso Oriente dura tre anni e mezzo. Le distanze si misurano in giorni di cammino e nient’altro. Ci sono altre lingue, altre facce e pericoli continui. Niccolò però è molto saggio e molto misurato: ha già attraversato quelle terre e sa come rivolgersi a chiunque incroci la loro strada. Una missione la loro, oltre che una spedizione commerciale: il nuovo Papa, eletto dopo estenuanti trattative in Conclave, consegna ai Polo un messaggio per il Kan. Raggiungere le terre dei Mongoli è un’impresa ardua e complessa ma finalmente Marco e gli altri arrivano nei territori dei più grandi guerrieri del tempo. Il fascino che Marco subisce è totale. “Mi domando adesso, pensando a questo mio primo incontro con una tribù mongola, da dove mi veniva tanta sicurezza di immunità; non ne avevo una coscienza precisa allora, e mi pareva solo che con quella gente mi sarei sempre inteso. C’era qualche cosa di magico, unito alla felice incoscienza della giovinezza che mi muoveva verso i mongoli; e una specie di gioia sonora mi invadeva…“.
Le descrizioni e le impressioni che il Marco Polo del romanzo della Bellonci ci trasmette sono puro incanto. La sua voce è un viaggio infinito e un’avventura che non ha paragoni. La sua meraviglia diviene anche quella di chi legge poiché ci si ritroverà inevitabilmente al centro delle innumerevoli storie che la Bellonci ha saputo brillantemente e sapientemente riproporre. La Cina di Marco è un prodigio che si compie: “Con una dolcezza sicura e invincibile la Cina mi parlò a prima vista in forma di civiltà geniale e di una bellezza che non s’accordava con nulla di quanto avevo visto fino allora, e poco persino con i mongoli padroni del più grande impero del mondo, e che qui stavano inclinando ad un diverso spirito“. Anche chi non ha mai letto Il Milione può, grazie a questa biografia romanzata scritta in prima persona, lasciarsi entusiasmare da un cammino che Marco Polo tra i primi è riuscito a compiere e che ha rappresentato la parte più rilevante e magica della sua vita. Un personaggio che si fa moderno ed autentico e da cui non si può non essere stregati. La scrittura della Bellonci rispetta la misura, la poetica e lo stile che traspaiono dal noto manoscritto 1116 della Biblioteca Nazionale di Parigi. È lei stessa a spiegarlo: “Ho trovato in me il ritmo antico che ho ripreso in riscrittura fedele e libera, cercando di reinventare la bella e chiara energia dell’originale e la sua semplicità distesa su una cadenza di quell’andar viaggiando che prende di capitolo in capitolo il suo tempo musicale“.
Edizione esaminata e brevi note
Maria Bellonci, nata Villavecchia, è nata a Roma nel 1902 da una famiglia di origini aristocratiche. Il suo esordio come scrittrice avviene nel 1939 con “Lucrezia Borgia”. E sono proprio le biografie storiche e romanzate a rendere la Bellonci tanto amata ed apprezzata in Italia e all’estero. A lei, insieme a Guido Alberti, si deve la nascita del Premio Strega. Oltre ad aver scritto numerosi romanzi storici, la Bellonci è stata anche una valida traduttrice dal francese: Stendhal, Dumas, Zola, Verne. Tra i suoi romanzi più amati ricordiamo: “Segreti dei Gonzaga” (Mondadori, 1947); “Milano Viscontea” (ERI, 1956); “Tu vipera gentile” (Mondadori, 1972); “Marco Polo” (ERI, 1982); “Rinascimento privato” (Mondadori, 1985). Maria Bellonci è morta a Roma nel 1986.
Maria Bellonci, “Marco Polo“, BUR Rizzoli, Milano, 2004.
Pagine internet su Maria Bellonci: Wikipedia / Enciclopedia Treccani / Fondazione Bellonci / Video RaiPlay
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