La sensazione netta – e la speranza – è quella di trovarsi davanti a uno scrittore di cui sentiremo parlare ancora molto in futuro, anche in Italia. Bachtyar Ali, nato a Sulaymaniyya nel 1960, una decina di romanzi pubblicati in patria, è senza dubbio il romanziere in lingua curda più promettente, soprattutto per quel che riguarda la capacità di parlare anche al di fuori del suo popolo e dei lettori della sua lingua. Recenti pubblicazioni stanno lì a confermarlo: nel 2016 esce in Inghilterra I stared at the night of the city (e vince l’English Pen Award) e qualche mese dopo esce in Germania Der letzte Granatapfel, traduzione da cui a sua volta deriva questa italiana de L’ultimo melograno. Un romanzo bellissimo.
È la storia di un padre, Muzafari Subhdam, che dopo vent’anni di prigionia passati a contare i granelli di sabbia nel deserto, torna nel mondo con un unico obiettivo: quello di ritrovare suo figlio Seriasi, nato pochi giorni prima del suo arresto. Muzafari era un uomo della rivoluzione del popolo curdo contro la dittatura; Seriasi è divenuto molte persone diverse, molti Seriasi, i figli della rivoluzione. Dentro la ricerca di un padre, c’è, abilmente tracciata in filigrana dall’autore, la ricerca dei “figli smarriti” di un paese, il Kurdistan, che da sempre è sospeso fra l’essere e il non, fra immaginazione e realtà, sogno o incubo quotidiano.
La cifra di questa sospensione collettiva chiamata Kurdistan, non ce la dà tanto la storia in sé, suddivisa in mille affascinanti rivoli, sempre capace di perdersi e poi ritrovarsi grazie a una grandissima capacità affabulatoria – quasi da Sherazade – quanto piuttosto lo stile di Bachtiyar Ali, sempre sospeso fra aderenza al reale e voli immaginifici, teso a costruire personaggi anch’essi a mezz’aria fra reale e allegoria: ragazzi con il cuore di vetro, giovani arringatori di venditori di melanzane, ragazze bianche con una voce incantatrice. E come perno attorno cui ruota la storia, un melograno, forse l’ultimo, un’isola di significato, un luogo in cui i mille chicchi sperduti di un paese, si raggruppano in insiemi di senso, di comunità, di condivisione di un destino: “magari siamo un unico groviglio di persone che si ripetono”.
Bachtiyar Ali suona una lingua magica e realistica (sì è quel realismo magico straordinario strumento romanzesco delle letterature postcoloniali), guidata da dolcezza e intelligenza; racconta storie piccole e universali, che parlano del suo paese, che è forse un sogno perduto fra le sabbie del deserto, così come di ciò che tutti noi abbiamo perso nelle sabbie del deserto; Bachtyar Ali ha, insomma, la voce limpida e sicura di un grande scrittore. Libro prezioso.
Edizione esaminata e brevi note
Bachtyar Ali, scrittore curdo. Nato nel 1960 a Sulaymaniyah, nel Kurdistan iracheno, ha preso parte non ancora ventenne alle proteste studentesche contro il regime di Saddam Hussein. In seguito ha abbandonato gli studi di geologia per dedicarsi interamente alla scrittura. Insignito nel suo Paese dei premi letterari HARDI (2009) e Sherko Bekas (2014), in Europa ha ricevuto l’English PEN Award (2015) e il premio Nelly Sachs (2017). Romanziere, poeta e saggista, ha firmato il primo romanzo curdo tradotto in inglese della storia. Dal 1998 vive a Colonia, in Germania.
Bachtiyar Ali, L’ultimo Melograno, Chiarelettere, Marzo 2018. Traduzione di Margherita Diotalevi, pp. 261, euro 16,90.
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