Paolo Mieli – lo leggiamo nella quarta di copertina – ha scritto che il libro di Brioschi, nel soffermarsi su innumerevoli casi di mani sporche dall’antichità ai giorni nostri, impressiona per “la quantità di grandi personaggi ancora adesso rispettati e tenuti nel conto di benemeriti nella storia dell’umanità che non disdegnarono di barattare il loro rigore morale con denaro e potere”. Difficile che l’ex direttore del Corriere, storico navigato, non conoscesse molte delle disonestà attribuite a noti statisti del passato. Altro discorso – da qui “l’impressionante” – immergersi in una lettura tutta incentrata sulla “cultura della mazzetta”, che, con approccio chiaramente divulgativo, delinea un’umanità da sempre in balìa di spietati ladroni. Carlo Alberto Brioschi, per raccontarci una “storia culturale” della corruzione, per evidenziare le prassi dei ladrocini, i loro mutamenti, è quindi partito da molto lontano, da Hammurabi e poi dai testi biblici, passando, tra i tanti, per Verre, Giulio Cesare, Francis Bacon, Bonifacio VIII, fino a Liborio Romano (“voltagabbana antelitteram”) e ai giorni nostri. Quella che viene chiamata “una cavalcata nei secoli” e che, proprio in virtù di questo approccio culturale, si è avvalsa di innumerevoli fonti letterarie, citazioni di classici latini, passando per Chaucer, Machiavelli, Büchner, Dickens, Pirandello, Orwell, per poi approdare ad alcune delle più recenti inchieste giornalistiche sul malaffare italico.
Una storia che si intreccia inevitabilmente con quella del cristianesimo e del papato. La religione, anche nel libro di Brioschi, appare un elemento essenziale per comprendere le prassi opache dei potenti e dei sudditi della penisola e non solo. Viene citato John Noonan e la sua idea che “il periodo della corruzione intensa come reciprocità” termini “con la diffusione della morale cristiana e in particolare nei secoli successivi alla fine dell’Impero romano” (pp.51). Più credibili le parole dello stesso Brioschi sulla Riforma protestante (e poi sulla rivoluzione del commercio) che “con l’esplicita condanna della corruzione in seno alla Chiesa cattolica, contribuì a separare la pratica della simonia dalla compravendita civile dei favori del pubblico funzionario […] E’ allora che si fa strada una moderna idea della corruzione come crimine di chi ricopre cariche pubbliche, infrazione vera e propria ben distinta dalla valutazione strettamente morale e dal concetto di peccato” (pp.22). Inevitabile poi ricordarci delle parole di Gaetano Salvemini, attualissime, secondo il quale “il clericale punisce il peccato come se fosse delitto e perdona il delitto come se fosse peccato”.
Una storia culturale della corruzione non poteva non prendere in considerazione il ruolo della libera stampa. Il discorso di Disraeli, pronunciato nel 1848, non sfigurerebbe neanche nell’Italia del 2018, in presenza di editori impuri e di giornalisti troppo spesso piegati a logiche che non hanno niente a che fare con l’informazione e con la realtà dei fatti: “il mezzo che infine permetterà di debellare l’intimidazione e la corruzione è l’elevazione del tono del pubblico sentire. Occorre far sì che la pubblica opinione, attraverso la stampa, possa pesare sulla condotta della nostra nazione nel suo complesso” (pp.105).
Altro aspetto contemplato da Brioschi, chiaramente in stretta relazione con la cultura, è l’istruzione: “si chiama analfabetismo funzionale ed è la prova che c’è anzitutto un problema linguistico che blocca l’economia, impedisce l’innovazione e, in ultima analisi, finisce per favorire l’economia sommersa e la corruzione” (pp.227). Analfabetismo che già ci immerge in una storia contemporanea, sostanzialmente cronaca di ogni giorno, e che l’autore ci racconta con una prospettiva tutt’altro che rassicurante. Niente a che vedere con le minimizzazioni di un Barbano tanto per capirci, o con l’idea di un’Italia in mano a feroci giustizialisti. I toni di Brioschi sono per lo più prudenti, ma emerge una sostanza che non lascia scampo: “Inutile dunque nascondersi dietro un dito, il Paese dei corrotti è forse quello che viviamo e in cui vive buona parte degli abitanti del pianeta, dove quella degli onesti è appunto una minoranza” (pp.192). Una storia secolare che, prendendo atto dell’idea di “corruzione liquida” di Bauman, approda alla considerazione, difficilmente contestabile, che la microcorruzione ha sempre affiancato quella macroscopica. Da qui la possibile, parziale, cura di situazioni apparentemente fuori controllo: comprendere, grazie alla cultura, alla conoscenza della storia, mutazione, effetti dell’agire corruttivo e di conseguenza non cedere mai alla “banalità della corruzione”, anche di quella apparentemente più innocua.
Edizione esaminata e brevi note
Carlo Alberto Brioschi, è un editor, giornalista e scrittore. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo “La penisola del tesoro” (Diabasis 2005), “Il malaffare. Breve storia della corruzione” (Longanesi 2010), tradotto in spagnolo da Taurus e in inglese da Brookings.
Carlo Alberto Brioschi, “La corruzione. Una storia culturale”, Guanda (collana “Piccola biblioteca Guanda”), Milano 2018, pp.256
Luca Menichetti. Lankenauta, settembre 2018
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