Sarà stato il successo della tetralogia de “I Medici” di Matteo Strukul, sarà stata la serie tv “Medici: Masters of Florence” ad ispirare autori ed editori alla produzione di un particolare filone narrativo, ma è dato di fatto che attualmente i granduchi di Toscana rivivono in innumerevoli romanzi, spesso proprio tra ricostruzione storica e thriller. Legittime furbizie editoriali che però non sembrano aver coinvolto più di tanto Patrizia Debicke Van der Noot, se non per il recupero del suo “Oro dei Medici”, romanzo edito per la prima volta nel 2007 da Corbaccio. L’autrice, che a dispetto del nome è nata a Firenze e quindi aveva più di altri interesse ad approfondire vita e costumi della casata granducale, in questi anni si è infatti fatta apprezzare per le sue opere ambientate nel rinascimento italiano: potremmo dire un’antesignana del genere – o sottogenere “mediceo” – non certo un’imitatrice. La “Signora del Cinquecento” – così è stata definita Patrizia Debicke – è stata coerente: la vicenda de “L’oro dei Medici” prende vita nel Granducato di Toscana del 1597, quando gran parte della penisola era in balia degli eserciti stranieri. Fin dall’inizio appare la figura di Don Giovanni de’ Medici, figlio legittimo di Cosimo e Eleonora degli Albizi, nonché fratellastro di Ferdinando I. Il comandante della flotta granducale sa bene quanto faccia gola la ricchezza dello stato mediceo – Firenze è da decenni una capitale che prospera grazie a potenti banchieri, specializzati nel prestare denaro ai regnanti d’Europa – ed è venuto a conoscenza di trame oscure, che potrebbero coinvolgere, ancora non si sa come, la famiglia di Ferdinando I: “Le informazioni non fornivano nomi di mandanti o di sicari. Si faceva cenno a qualcuno. Chi? Apparteneva alla cerchia del granduca, era vicino a lui, pericoloso e, soprattutto, tramava nell’ombra” (pp.16).
Un possibile complotto che prende forma dove vige la “Livornina”, “un provvedimento straordinariamente liberale che concedeva privilegi e libertà a chi scegliesse Livorno come propria sede di commercio o attività”, e che “annullava tasse, debiti, insolvenze; cancellava ogni e qualunque trascorso penale e consentiva la più ampia libertà di culto” (pp.32). Sostanzialmente un provvedimento che creava una zona franca, meta di fuoriusciti, fuorilegge e, a quanto pare, figuri intenzionati ad accaparrarsi “l’oro dei Medici”. Una ricchezza ambita anche dallo spietato Pietro de’ Medici, il figlio minore di Cosimo, apparentemente lontano dalla madre patria. Un granducato in pericolo quindi, protagonista dei giochi diplomatici e dinastici con la Spagna di Filippo II, la Francia percorsa dai conflitti tra cattolici e ugonotti, l’Inghilterra ancora sotto il regno di Elisabetta I, che vede da una parte e dall’altra personaggi realmente esistiti ed altri totalmente frutto della fantasia di Patrizia Debicke; in ogni caso, come riconosciuto da gran parte della critica, verosimili in virtù di attente ricostruzioni storiche degli usi e costumi del tempo.
Una verosimiglianza che si alimenta anche delle contraddizioni di una nobiltà e di un popolo tanto vicini agli uomini di Chiesa quanto predisposti a cedere con disinvoltura alle tentazioni della carne. Da questo punto di vista risalta la figura del prestante, eroico e gaudente Giovanni de’ Medici, amante di Lady Aubrey e moglie dell’amico sir Robert Brume. Sullo sfondo anche la “Dafne”, la prima opera del compositore Jacopo Peri su libretto di Ottavio Rinuccini (in realtà ufficialmente rappresentata per la prima volta nel 1598), occasione per il colpo a sorpresa dei congiurati, che da lì a pochi giorni si vedranno coinvolti anche in una battaglia navale davanti alle coste toscane.
Tutti elementi – facile intuire – che fanno de “L’oro dei Medici” un romanzo storico ricco di situazioni tipiche anche del romanzo di avventura, dello spionistico (potremmo dire di un proto-spionistico), del poliziesco (uno dei personaggi più presenti è il capitano di giustizia Francesco Spinelli). Insomma, molta carne al fuoco; magari la scoperta del traditore non rappresenta un colpo di scena dei più inaspettati, ma sicuramente possiamo rilevare anche una certa attenzione alle psicologie dei personaggi, non puri e semplici stereotipi, visti con tutte le loro ipocrisie e piegati – si veda il finale all’Escorial, forse l’autentico colpo di scena – alle convenienze della diplomazia e quindi del potere. Se il linguaggio dei nobili, dei diplomatici e quello del popolo, presente nei dialoghi, risponde sicuramente alle ricerche di Patrizia Debicke Van der Noot, lo stile di letterario in quanto tale non ha nulla di arcaico: piuttosto leggiamo frasi brevi, asciutte, quasi fossero predisposte per una sceneggiatura cinematografica. Una “sceneggiatura”, come giustamente leggiamo in quarta, incentrata su una grande e controversa “famiglia, tra splendore e decadenza, cultura e rapacità senza scrupoli”.
Edizione esaminata e brevi note
Patrizia Debicke Van der Noot, (Firenze, 1942) scrittrice, ha scritto romanzi, romanzi gialli, gialli storici e racconti per svariate antologie (l’ultima Crimini d’Estate, Calibro Novecento, è del 2015) e racconti lunghi. Con Corbaccio ha pubblicato gialli storici: L’oro dei Medici, La gemma del cardinale e L’uomo dagli occhi glauchi (nel 2010 seconda assoluta al premio del IV festival mediterraneo internazionale del giallo e del noir di Sassari). Nel 2012 vince il premio alla carriera al IX premio Europa di Pisa; nel 2013 ha pubblicato La Sentinella del Papa, Todaro (premio internazionale Michelangelo Buonarroti di Seravezza). È collaboratrice editoriale di Delos Book, Mentelocale e Milano Nera, membro di qualità della giuria del premio Nebbia Gialla e organizza conferenze storiche per il FAI, per gli istituti italiani di cultura di Parigi e Lussemburgo, per l’Università del Lussemburgo, per circoli letterari.
Patrizia Debicke Van der Noot, “L’oro dei Medici”, TEA (collana “I grandi della TEA”), Milano 2018, pp. 336.
Luca Menichetti. Lankenauta, settembre 2018
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