Tbilisi, venerdì 6 marzo 2015 – Vengo svegliato da una coppia di russi che dormono in camera con noi e che alle sei cominciano a vestirsi per uscire. Poco dopo assisto ad una scena abbastanza interessante in cui un altro compagno di stanza, un signore sulla quarantina che crediamo essere australiano, cade dal letto e resta per terra almeno un paio di minuti prima di svegliarsi imprecando. Verso le nove ci alziamo pure noi, ci vestiamo e andiamo nella sala comune per fare colazione. Di sotto troviamo il gruppo della Repubblica Ceca che a malapena ci fa un cenno di saluto. Pane, formaggio, qualche salume, marmellata, burro, tè e caffè costituiscono una colazione onesta. La nostra meta di oggi è la cittadina di Mtsketa a pochi chilometri da Tbilisi, famosa per essere il centro religioso della Georgia. Per arrivarci dobbiamo prendere una marshrutka, una specie di minibus: per prima cosa ci dirigiamo verso la metropolitana, la stazione delle marshrutke infatti si trova poco fuori dal centro città. Essendo io un assiduo frequentatore della metropolitana di Baku, noto che ci sono molte caratteristiche in comune con quella di Tbilisi: lo stile di fondo è chiaramente sovietico – e c’è poco da sorprendersi visto che il periodo di costruzione di entrambe è proprio quello sovietico – pure i vagoni sono praticamente gli stessi e hanno un tocco vintage. Le principali differenze sono che gli altri passeggeri non ci guardano stupiti come a Baku e soprattutto che le varie fermate non hanno tutte un loro motivetto che viene suonato dagli altoparlanti ogni volta che il treno ci arriva. La stazione delle marshrutke si trova di fianco ad un bazaar, che mi riprometto di visitare con calma al ritorno. Troviamo lo sportello dei biglietti delle marshrutke, chiediamo da dove partono quelle per Mtsketa e la signora dietro al vetro, che avrà all’incirca quarant’anni, con nostra somma sorpresa ci risponde in inglese. Non ci aspettavamo di trovare molti georgiani anglofoni e in caso di emergenza Luca ha studiato russo per tre anni e, anche se è troppo modesto per dirlo, sa farsi capire piuttosto bene. Paghiamo la corsa un laro, i lari sono la moneta georgiana, del valore di circa quaranta centesimi di euro. Il tragitto dura mezz’ora e ci porta fuori dalla città sempre seguendo la valle del fiume Mtkvari. Il paesaggio collinare presenta molta vegetazione di caducifoglie, che inizia a far comparire i primi timidi germogli primaverili. Superato un ponte sul fiume, arriviamo a Mtsketa. Questa tranquilla cittadina in mezzo alla campagna fu la capitale della Georgia dal III secolo a.C al V secolo d.C., quando il re Vakhtang Gorgasali decise di spostare la capitale a Tbilisi. Col passare dei secoli tuttavia la città mantenne la sua importanza soprattutto da un punto di vista religioso, le chiese di Mtsketa sono infatti considerate tra le più belle e le più sacre di tutto il paese. La prima che visitiamo è la Cattedrale di Svetiskhoveli: l’edificio è circondato da una cinta muraria eretta nel 1787: quando si varca la soglia ci si trova davanti ad una bella struttura con le forme tipiche delle altre chiese di Tbilisi e con una pianta a croce greca.
La prima cattedrale venne costruita tra il 1010 e il 1029 e per l’epoca si trattava di un edificio veramente enorme. Quello che si vede oggi non è l’edificio originale, risale infatti al IV secolo. Le rovine della prima cattedrale sono ancora visibili vicino a quella attuale. Leggenda narra che sotto di essa sia sepolta la tunica di Cristo, portata qui da un ebreo originario di Mtskheta che era a Gerusalemme durante la crocifissione di Gesù. Nella chiesa si trova pure la tomba del re Vakhtang Gorgasali e di un altro famoso re georgiano, Erekle II. Le linee eleganti e che esaltano la verticalità della struttura si possono ritrovare pure all’interno, dove tutto sembra protendersi verso l’alto. Le pareti sono decorate con eleganti affreschi e l’abside presenta una grande immagine di Gesù.
L’iconostasi, com’è nella tradizione del cristianesimo orientale, separa la navata dal presbiterio, delimitando così quello spazio sacro al quale hanno accesso solo i sacerdoti e in cui viene celebrata l’Eucarestia. Parlando di sacerdoti, ne vediamo qualcuno che si aggira per la cattedrale: sono vestiti con una tunica nera e portano tutti la barba lunga come gli ortodossi. Visitiamo la cattedrale con calma e gustandoci l’atmosfera impregnata di un familiare odore di cera d’api, di cui sono composte le numerose candele.
Una volta usciti decidiamo di visitare la seconda chiesa per cui Mtsketa è celebre, la chiesa di Jvari: per arrivarci bisogna prendere un taxi e come spesso accade non dobbiamo nemmeno metterci a cercarne uno, un tassista ci aveva già puntato quando eravamo entrati e adesso lo ritroviamo subito fuori dalle mura. Mercanteggiamo un po’ finché non arriviamo ad un prezzo che riteniamo essere onesto e poi ci dirigiamo verso la sua auto. Auto che non ha nulla che possa identificarla come taxi, ci sale dunque il sospetto che in verità si tratti di un abitante del posto che sta solo arrotondando la sua pensione, dal momento che si tratta di un signore sulla sessantina. La chiesa di Jvari, o Chiesa della Santa Croce si trova su una collina che domina tutta la valle circostante, per arrivarci ripercorriamo la strada che va verso Tbilisi e poi deviamo sulla sinistra. Questo è forse il luogo più sacro di tutta la Georgia, la chiesa venne costruita in questa posizione perché qui il re Mirian fece erigere una croce di legno dopo essere stato convertito al cristianesimo da Santa Nino, la chiesa in sé risale al VI-VII secolo.
Non è un edificio grande e impressionante come la sottostante cattedrale di Svetiskhoveli, ma è comunque molto elegante e bella da visitare. In più si ha una bellissima panoramica sulla vallata circostante, dove i fiumi Aragvi e Mtkvari confluiscono insieme per poi proseguire verso Tbilisi. La sacralità del luogo incute rispetto a chiunque si trovi qui, sia turista, sia residente. Restiamo qualche tempo a guardare il paesaggio e a visitare l’interno della chiesa.
Quando torniamo a Mtskheta il tassista ci porta all’ultima attrazione che vogliamo visitare, la chiesa di Samtavro. Questo edificio fa oggi parte di un convento e venne costruita nel 1130 come chiesa di corte, infatti all’interno sono sepolti re Mirian e sua moglie la regina Nana. Lo stile della costruzione è simile a quello degli altri edifici sacri che abbiamo già visitato e in me comincia a farsi strada un pensiero di cui non vado fiero, e cioè che “vista una, viste tutte”. Cerco tuttavia di allontanare questa considerazione un po’ superficiale e mi godo la visita alla chiesa. Tutta questa cultura ci ha messo appetito e, secondo il motto di un mio simpatico, passato parroco, decidiamo di passare “dalla mistica alla mastica” e cominciamo a cercare un posto dove pranzare. Camminando troviamo un cartello scritto a mano con una freccia che dice “Chacha e vino fatti in casa”. Seguiamo le frecce ed arriviamo ad un portoncino, bussiamo ed un anziano signore ci apre la porta e ci fa entrare. Ci troviamo così in un cortile interno al cui centro si trova un bellissimo distillatore a legna in funzione, alla fine della serpentina di raffreddamento un vasetto di vetro raccoglie la chacha appena prodotta. Il signore ci fa accomodare nella stretta cucina e ci porta alcuni assaggi dei suoi prodotti.
Degustiamo mezzo bicchiere di vino rosso e un altro mezzo di vino bianco. Il bianco non ci convince, ma il rosso ha un buonissimo sapore fruttato e ne acquistiamo un litro. Già che ci siamo gli chiediamo di assaggiare pure la chacha e lui ci domanda quale versione vogliamo provare, quella a quaranta, cinquanta, sessanta o settanta gradi. Sorseggiamo quella a cinquanta e quella a sessanta e optiamo per la prima. Mentre il signore è nell’altra stanza a riempirci la bottiglia io e Luca ci guardiamo e ci mettiamo a ridere consapevoli del fatto che tutti questi assaggini a stomaco vuoto ci hanno reso piuttosto allegri. Paghiamo in tutto venti lari, circa otto euro, un prezzo assolutamente conveniente. Usciamo cercando di non barcollare troppo e ci avviamo alla ricerca di un posto dove mangiare per tamponare gli effetti del nostro potente aperitivo. Troviamo una specie di piccolissima taverna nascosta in un cortile interno. A gestirla ci sono due signore, una sta pranzando tranquilla seduta al tavolo e ha l’aria di non aspettarsi clienti. Sembra però molto contenta di vederci e ci fa accomodare. In ostello ci hanno detto che Mtskheta è celebre per una sua versione del kachapuri: si chiama lobiani e al posto del formaggio ha una crema a base di fagioli. Quando ci arriva questo lobiani vediamo che assomiglia molto ad una torta salata, è ancora calda e il sapore è veramente ottimo e non è pesante come si potrebbe pensare. Completiamo il pranzo con una decina di immancabili khinkali di cui vogliamo non essere mai sazi. Paghiamo il pranzo sedici lari, poco più di sei euro, un prezzo veramente basso sia per la quantità che per la qualità delle pietanze. Quando usciamo sono ormai quasi le sedici e allora prendiamo una marshrutka che ci riporta a Tbilisi. Andiamo in ostello a riposarci un po’ e, verso le diciannove, ci incontriamo in centro con Boka, che ci porta a fare una passeggiata lungo il fiume e sul ponte Always, di sera illuminato con luci colorate cangianti molto suggestive. Boka ci racconta che il governo sta cercando di limitare le spese e gli sprechi e che quindi il ponte adesso viene illuminato solo in alcune fasce orarie. Addirittura alcuni lo volevano abbattere perché considerato troppo fuori luogo in una città come Tbilisi. Per la cena ci incontriamo con Nino, un’altra ragazza georgiana che ho conosciuto in Egitto, perché lavorava nello stesso hotel con me e Boka. Mangiamo in un piccolo ristorante in centro con un immancabile khachapuri. Durante la cena abbiamo occasione di parlare ancora della questione delle due regioni separatiste. Di nuovo noto che l’opinione comune è che sì, quelle regioni appartengono alla Georgia, ma non c’è quell’odio viscerale o quella propaganda capillare che si può trovare in Azerbaigian a proposito della regione del Nagorno-Karabakh, la quale è sotto illegale occupazione armena dal 1994. Dopo cena prendiamo l’auto di Boka andiamo fuori città: vuole portarci in quello che secondo lui il miglior belvedere della città. Saliamo sulle colline circostanti Tbilisi, non molto lontano dalla statua della Madre Georgia e arriviamo nei pressi della grande torre della televisione. Sotto di essa si trova un grande edificio rettangolare che funge da ristorante e che durante il giorno è raggiungibile con una funicolare dal centro città. In teoria solo i clienti del ristorante potrebbero entrare, Boka quindi ci spaccia per clienti e così possiamo parcheggiare. Davanti all’edificio c’è un ampio spiazzo da cui si ha una bellissima vista su tutta la città. Tra le luci notturne si notano soprattutto quelle della grande Cattedrale di Tsminda Sameba, le cui forme illuminate dai fari la fanno sembrare ancora di più una torta nuziale.
Scattiamo qualche foto e stiamo una buona mezz’ora ad ammirare il paesaggio, inoltre non vogliamo tornare indietro troppo presto per non insospettire la guardia a cui abbiamo detto che siamo clienti del ristorante. Boka ci riporta fino al nostro ostello e prima di salutarci ci invita ad un suo concerto che si terrà domenica sera, lui infatti come hobby fa il DJ. Accettiamo di buon grado e torniamo in ostello. Qui troviamo Nino, una delle due ragazze che ci lavorano, la quale è sul divano a guardare un film con un ragazzo che dev’essere arrivato durante il giorno. Io e Luca ci sediamo pure noi sui divani per usare un po’ il wi-fi gratuito e dopo qualche minuto decido di rompre il ghiaccio chiedendo che film stanno guardando. Si tratta del sesto film di Harry Potter ma questo l’avevo già capito, volevo solo una scusa per attaccare bottone, non è accettabile che dopo tre giorni in ostello non avessimo ancora parlato quasi con nessuno. Il ragazzo è americano, ha solo vent’anni ed è in viaggio per l’Europa da quasi nove mesi. Sia io che Luca ne restiamo molto sorpresi e così la conversazione prosegue piacevolmente, anche aiutata dal vino fatto in casa acquistato nel pomeriggio e che decidiamo di condividere col nostro nuovo amico. Alla fine la stanchezza ci prende, lasciamo così l’americano e andiamo in camera dove ci addormentiamo rapidamente.
Per approfondire:
https://it.wikipedia.org/wiki/Mtskheta
https://it.wikipedia.org/wiki/Cristiana_di_Georgia
Francesco Ricapito Giugno 2015
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