A prima vista sembra solo una vecchia foto: un gruppo di persone, forse contadini, con delle vanghe in mano in cima a un cumulo di terra sbiadita infestata dalle erbacce. Appena dopo si può notare la presenza di alcune donne col capo coperto da un fazzoletto. Poi, probabilmente, si rileva, alla sinistra del gruppo, la presenza di soldati armati. Solo alla fine ci si rende conto che, sul suolo, ai piedi della gente immortalata in questo scatto ci sono dei crani umani e delle ossa ricomposte in forma di croce. Dopo aver rilevato la presenza di tali raccapriccianti dettagli non si può non ravvisare una profonda apprensione e un altrettanto profondo turbamento. Chi sono costoro? Cosa stanno facendo? Perché ci sono quei resti umani ai loro piedi? È da qui che parte l’indagine storica e documentale di Jan Tomasz Gross e della sua ex moglie Irena Grudzinska Gross. “La fotografia che mi ha spinto a scrivere questo libro venne pubblicata sul quotidiano polacco “Gazeta Wyborcza” nel gennaio 2008. All’epoca ne fui molto colpito e mi stupì che non avesse suscitato alcun interesse tra i lettori. La fotografia viene da uno degli abitanti di Wolka Okraglik, un paese vicino a Treblinka, e mostra un gruppo di gente del posto riunita intorno a teschi e ossa dissotterrati nell’ex campo di sterminio“.
Questo non è il fotogramma di un vecchio film dell’orrore, si tratta di una scena piuttosto abituale nella Polonia del periodo successivo alla fine della Seconda Guerra mondiale. La fotografia venne scattata dopo un’operazione di controllo durante la quale dei militari avevano fermato dei contadini polacchi che scavavano nell’ex campo di sterminio di Treblinka, dove fra il 1942 e il 1943 furono gassati ottocentomila ebrei, alla probabile ricerca di oro e altri preziosi perduti o abbandonati da chi, in quegli spazi, era stato imprigionato e ucciso. In sostanza le persone immortalate nell’immagine lavoravano come “scavatori”, una pratica molto diffusa durante la seconda parte degli anni ’40, periodo a cui risale la fotografia. In sostanza c’erano polacchi che si recavano sui terreni precedentemente occupati dal campo di sterminio nazista alla ricerca di metalli preziosi alla stregua di autentici segugi. I resti umani visibili nell’immagine, dunque, appartengono ai prigionieri di Treblinka, uccisi e sepolti in quell’area.
Lo storico Gross, attraverso questo saggio, vuole attestare e dimostrare un fatto ormai inconfutabile seppur poco documentato: una parte della popolazione polacca partecipò in maniera attiva allo sterminio degli ebrei contribuendo, in maniera innegabile, al saccheggio dei loro beni. Molti polacchi, infatti, durante l’occupazione nazista, si preoccuparono di spogliare i loro concittadini, vicini e ex amici ebrei di quanto era di loro proprietà: abitazioni, oro, gioielli ma anche mobili, abiti, scarpe e suppellettili di ogni genere. Uno sciacallaggio minuzioso e diffuso che proveniva dal basso e che ha reso la Polonia il Paese in cui la collaborazione di persone comuni al genocidio degli ebrei rimane tra le più importanti d’Europa. Dopo la pubblicazione di “Un raccolto d’oro. Il saccheggio dei beni ebraici” Gross è stato denunciato per aver “offeso la Polonia” ma la ricerca dello storico polacco non lascia spazio a molti dubbi. Attraverso la raccolta di informazioni e di racconti diretti, lo studioso riesce a dimostrare l’adesione di molti cittadini polacchi, ma anche di ucraini, lituani, lettoni, estoni, russi e bielorussi, alle politiche di sterminio naziste. Un’adesione che trovava terreno fertile in territori che, prima ancora dell’arrivo dei tedeschi di Hitler, erano caratterizzati da un antisemitismo diffuso e ben radicato e dall’organizzazione più o meno regolare di pogrom.
“Durante l’occupazione né lo Stato polacco in clandestinità né la Chiesa cattolica trattarono gli ebrei come cittadini a pieno titolo, la cui vita e i cui diritti e interessi economici andassero tutelati allo stesso modo di quelli dei cittadini etnicamente polacchi“. In sostanza, così come Hitler e i suoi gerarchi avevano desiderato, anche in Polonia si va attivando un processo di disumanizzazione degli ebrei. Il loro sterminio e la depredazione dei loro beni rientra in un’ottica precisa che porta a considerare e trattare gli ebrei come “defunti in licenza”, secondo l’eloquente e agghiacciante definizione di Emanuel Ringelblum, storico polacco di origine ebraica e archivista del Ghetto di Varsavia assassinato nel 1944 dalla Gestapo. Ringelblum spiega che prima ancora della creazione del ghetto, gli ebrei consegnavano spesso le loro merci e i loro beni personali a vecchi clienti, soci o amici cristiani ma nella maggior parte dei casi nessuno restituiva quanto gli era stato consegnato. Le giustificazioni potevano essere di vario genere: furto, smarrimento, confisca da parte dei tedeschi e così via. Spesso la custodia avveniva in maniera disinteressata ma ci sono stati molti casi in cui i polacchi si sono semplicemente appropriati di quanto veniva loro consegnato sbarazzandosi dell’ebreo che si era fidato di loro tramite delazioni e denunce.
Durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, molti ebrei sono stati uccisi da comuni cittadini polacchi. Assassini e massacri di cui restano tracce nelle testimonianze di chi ha assistito agli eventi o di chi si era semplicemente limitato a non battere ciglio. Il nazismo ha dato legittimità e “ragionevolezza” a una serie di pratiche aberranti che molti polacchi, e molti europei in generale, hanno ritenuto di poter giustificare semplicemente attraverso l’alibi della guerra e del suo conseguente abbruttimento. In realtà, come è stato attestato dagli storici Skibinska e Petelewicz, tanti omicidi avvenivano col solo intento di appropriarsi dei beni appartenenti agli ebrei anche quando di questi si aveva solo un’idea immaginaria: è sempre vivo lo stereotipo secondo il quale gli ebrei possiedono grandi ricchezze nascoste. Gli omicidi avvenivano per mano di semplici contadini ma spesso anche con l’ausilio di membri autorevoli del luogo e della Polizia blu polacca. Ovviamente non mancavano violenze, umiliazioni e stupri. “Il coinvolgimento nei crimini descritti di rappresentanti delle élite locali e la partecipazione collettiva della popolazione conferivano alle uccisioni una sorta di avallo, un imprimatur del gruppo, permettendo di “diluire la responsabilità” e trasformare cosi un grave delitto d’omicidio in una forma di controllo sociale esercitato dalla collettività“.
Ad un certo punto del suo saggio, Gross si sofferma su una considerazione importante: forse non dovremmo chiederci quanti ebrei furono uccisi dalla popolazione locale nei territori polacchi ma quanti cittadini locali presero parte alle uccisioni degli ebrei. Si tratta di un cambio di prospettiva che pone l’attenzione su responsabilità pesantissime e inequivocabili che, ancora oggi, in molti cercano di cancellare o minimizzare. “Un raccolto d’oro. Il saccheggio dei beni ebraici” non è solo una raccolta di osservazioni, memorie e analisi di fatti storici che hanno caratterizzato la Storia del Novecento, ma è anche una riflessione amara e dolorosa di quanto l’essere umano possa divenire fosco e abietto se messo di fronte a determinati eventi. Una lettura, questa, che ci pone di fronte alla presenza di individui che, sotto punti di vista opposti, hanno perduto la loro scintilla divina e, quindi, il senso del loro essere “umani”. Da una parte vittime innocenti condotte a morte e depredate di tutto, da una parte i loro carnefici che, nonostante tutto, continuano a scavare tra la terra, le ossa e i resti dei morti alla ricerca cieca, noncurante e irrispettosa di denti d’oro o preziose pietre perdute.
Edizione esaminata e brevi note
Jan Tomasz Gross insegna Storia presso la Princeton University. Nato in Polonia, ha studiato all’Università di Varsavia ed è immigrato negli Stati Uniti nel 1969. Tra i suoi interessi di ricerca vi sono i regimi autoritari e totalitari, la politica sovietica e dei Paesi dell’Est europeo e la Shoah. Tra i suoi numerosi libri ricordiamo “I carnefici della porta accanto. 1941: il massacro della comunità ebraica di Jedwabne in Polonia” (Mondadori 2002), finalista al National Book Award.
Irena Grudzinska Gross è Research Scholar presso il Dipartimento di Lingue e letterature slave della Princeton University.
Jan Tomasz Gross con Irena Grudzinska Gross, “Un raccolto d’oro. Il saccheggio dei beni ebraici“, traduzione di Ludmila Ryba, Einaudi, Torino, 2016. Titolo originale “Zlote zniwa. Rzecz o tym, co sie dzialo na obrzezach zaglady Zydow” (2011).
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