Un nome in realtà è il nome di Enrica Calabresi ma è anche il nome di tutte quelle persone sparite e dimenticate durante la tragedia della Shoah. Uomini, donne e bambini normali, comuni, qualunque annientati e persi nei campi di sterminio e di cui non resta nulla, nemmeno il ricordo. Eppure Enrica Calabresi, grazie all’opera di Paolo Ciampi, riesce a riemergere dai fumi di un tempo disperso riacquistando dignità e bellezza. “Enrica Calabresi, zoologa. Nessuna strada porta oggi il suo nome. Non c’è lapide che la ricordi, né libro di scuola che la rammenti. E anch’io: cosa mi rappresentava fino a ieri? Un nome che non ti dice niente, che non ti lascia niente. Un nome che ti fai ripetere, per controllare se hai capito bene, per prendere tempo e rovistare nei ripostigli della memoria. Fai fatica perfino a immaginarti che possa corrispondere a una persona che è stata viva. A un cuore, a una testa, e naturalmente anche a un corpo. A una donna e solo a lei“.
Enrica è una scienziata. Nata a Ferrara nel 1891 da una colta e benestante famiglia ebraica. Nonostante fosse una vera e propria anomalia per i primi del novecento, Enrica, una donna, decide di dedicarsi alle materie scientifiche e lo fa con successo. La sua specializzazione è l’entomologia, ossia lo studio degli insetti, ennesima stranezza per il tempo. Ma Enrica è anche un’erpetologa, ossia un’esperta di serpenti e anfibi: “diventa uno dei membri più autorevoli della Società entomologica italiana che Adolfo Targioni Tozzetti ha fondato nel 1869. Anzi, dal 1918 ne è il segretario: per l’epoca caso più unico che raro di una donna che di una società scientifica non solo è membro ma occupa una posizione di responsabilità“. Enrica è senza dubbio una figura che si distingue e che, in un mondo che non concede molti spazi alle rappresentanti del genere femminile, si può permettere, per competenza e talento, di entrare a far parte di universi riservati tradizionalmente e convenzionalmente agli uomini. Una piccola rivoluzionaria in campo culturale, un’appassionata di materie che spaventano molti, una donna che conosce le lingue, l’inglese soprattutto, un’insegnante brillante capace di trasmettere ai suoi allievi la passione per la natura e per i suoi multiformi aspetti. Non è forse un caso che tra i suoi alunni, durante un periodo di docenza liceale, figura anche l’indimenticabile Margherita Hack, autrice della prefazione di “Un nome”.
Paolo Ciampi scrive di Enrica riportando alla luce la sua infanzia, la sua passione per gli studi e l’insegnamento, oltre che il suo amore per un ragazzo in gamba quanto lei morto giovanissimo durante la Grande Guerra. Un testo che non ha nulla di romanzesco poiché ricostruisce accadimenti reali. Un libro che può essere considerato una biografia, ma anche un’inchiesta di taglio giornalistico o la ricostruzione storica di una porzione di Novecento. Non conosciamo mai direttamente i pensieri né le paure né gli entusiasmi di Enrica. Possiamo forse immaginarli o ipotizzarli ma nulla qui è stato inventato per trasformare Enrica in un personaggio letterario; lei rimane la donna e l’insegnante raccontata attraverso i ricordi di chi l’ha conosciuta e frequentata, descritta come una persona mite, discreta, timida, estremamente schiva e sicuramente molto preparata. Enrica insegna presso l’Università di Firenze già dal 1924 e trascorre tanto tempo nell’istituto di zoologia che diviene quasi la sua seconda casa. Il suo incarico viene confermato fino al 1933. “E per la razza di Enrica nessuno, proprio nessuno, nutre ancora il benché minimo interesse“.
Ma gli anni venti e trenta sono per l’Italia gli anni del fascismo, un’epoca in cui Firenze aderisce in fretta e con grande convinzione. “Quello fiorentino è un fascismo duro e puro, che più che altrove resterà fedele ai suoi caratteri originali. Fascismo rivoluzionario, fascismo manesco, sempre sopra le righe, più realista del re“. Ciampi si allontana costantemente dalla vita di Enrica Calabresi per prendersi gli spazi necessari a raccontarci i fatti e le atmosfere che caratterizzano l’Italia del tempo. Le ricostruzioni dei piccoli e grandi eventi che hanno portato Enrica, come molti altri ebrei, a prendere consapevolezza della propria “razza” solo quando il fascismo l’ha considerata un difetto, una tara, un abominio da cancellare in maniera permanente. Enrica è un’antifascista della prima ora, un antifascismo che Ciampi definisce “insieme rigoroso e garbato, un antifascismo da persona colta e perbene, nutrito di buone letture; un antifascismo che non si traduce in militanza, ma piuttosto in indignazione, in condanna morale per chi ha svilito istituzioni e regole, per chi ha tradito le aspettative, per chi lasciandosi guidare da interessi miopi ha preferito un regime a un paese moderno“.
Nonostante tutto Enrica Calabresi prosegue la sua carriera universitaria e passa a insegnare presso l’ateneo di Pisa: entomologia agraria alla facoltà di agraria per l’anno accademico 1936-37. Eppure il tracollo sta per arrivare. Le leggi razziali verranno proclamate nel 1938 e rappresentano il culmine di una politica asfissiante, subdola ed esasperata che da anni viene condotta attraverso proclami, giornali, marce e altre manifestazioni pubbliche. Enrica è vittima delle leggi sulla razza volute da Mussolini perché è un’ebrea e come tanti altri ebrei viene allontanata da quel mondo professionale da cui, in maniera quasi profetica, aveva preso comunque le distanze. Enrica Calabresi ha atteso il suo destino da sola, a Firenze. Ci misero forse più di quanto lei stessa avesse previsto ma vennero a prenderla. Era il 1944 e in tanti sapevano che una volta saliti su quei treni piombati, una volta partiti per i campi nazisti, non ci sarebbe stato più nulla da fare. Enrica decide per sé anche questa volta, esattamente come ha sempre fatto nella sua vita: il 18 gennaio, prigioniera a Santa Verdiana, pronta ad essere spedita ad Auschwitz, la professoressa Calabresi usa la fiala di veleno che porta con sé da tempo e si uccide. Il suo nome passa ad essere tra quelli degli ebrei morti. Un nome tra i tanti.
Eppure il nome di Enrica Calabresi è rimasto tra i documenti e gli studi condotti durante le sue ricerche presso la Specola di Firenze. Ed è qui che un’altra ricercatrice, Alessandra Sforzi, lo ha rintracciato e recuperato negli anni recenti. La curiosità di conoscere chi fosse quella studiosa di cui nessuno sembrava aver mantenuto memoria ha poi portato anche Paolo Ciampi ad appassionarsi alla figura di Enrica e a ricostruirne la storia attraverso questo libro scritto con la stessa delicatezza e lo stesso riserbo che hanno caratterizzato l’intera esistenza della scienziata ebrea.
Edizione esaminata e brevi note
Paolo Ciampi è nato a Firenze nel 1963. Ha lavorato per “Il Giornale” sotto la direzione di Indro Montanelli, oltre che per “Il Manifesto” e “Il Tirreno”. Attualmente è direttore dell’Agenzia di informazione e comunicazione Toscana Notizie. La sua carriera di scrittore lo ha portato a conquistare numerosi premi letterari nazionali e internazionali. Tra i suoi libri: “L’uomo che ci regalò i numeri” (Mursia), che racconta i viaggi e le scoperte del matematico Leonardo Fibonacci, “L’Olanda è un fiore. In bicicletta con Van Gogh”, finalista del Premio Albatros – Città di Palestrina, e due libri che raccontano cammini, “Tre uomini a piedi” (Ediciclo) e “Per le Foreste sacre” (Edizioni dei Cammini). Con Tito Barbini è uscito per Clichy con “I sogni vogliono migrare”.
Paolo Ciampi, “Un nome“, Giuntina, Firenze, 2017. Prefazione di Margherita Hack.
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