Nessun testo è stato mai così necessario per la comprensione di un’opera quanto “L’addio a Gonzague” di Pierre Drieu La Rochelle: senza queste poche pagine probabilmente “Fuoco Fatuo” non sarebbe affatto una lettura trasparente. Nonostante alcuni chiarimenti, i dubbi e le perplessità restano, ma appare tutto sotto un’altra luce utile a delineare un personaggio complesso come Alain, un uomo inesistente, un uomo privo di valenze perché uomo già morto, che si lascia scorrere addosso una vana esistenza: un uomo da nulla, insomma.
Alain, trentenne che non sa più fuggire dalle sue debolezze, dai suoi pregiudizi, dalla sua mediocrità, è malato nell’animo: la droga non è la causa dei suoi mali, la droga risulta essere solo l’approdo di un percorso vuoto in cui non vi è mai stata una meta: ultimo scalino per sedersi insieme alla propria solitudine.
Prima di tutto c’è l’incapacità di vivere, di reagire, di imporre il proprio esistere a se stessi e agli altri, l’incapacità di amare che allontana tutti coloro i quali, a volte con ipocrisia, dicono di amarlo.
Alain lotta contro una vita che non sa dargli nessuna ragione, contro un mondo che non sente adatto a lui, contro una società che non riesce in fin dei conti a fargli spazio.
Ecco allora che la clinica, i salotti, i bar, le strade diventano tanti contenitori vuoti di una manciata di umanità che incarna l’infelicità di vivere; non più persone, ma una sorta di maschere alienate, fantocci che esprimono nel modo che possono idee, pensieri a volte ridondanti, sterili, ma che comunque simboleggiano l’attaccamento alla vita. Per Alain però la vita è menzogna e le parole degli altri non hanno alcun valore, anzi lo allontanano ulteriormente da un mondo già lontano.
Sfilano in queste pagine personaggi simbolici, come le donne, nello stesso tempo speranza e dannazione del protagonista. Vivere comporta anche amare, ma Alain è privo di sensualità, non ama se stesso e non può amare qualcun altro. Sarà proprio Solange, la donna che unica ormai rappresenta il richiamo all’esistenza, ad obbligarlo suo malgrado ad una scelta che appare necessaria, ossia il suicidio. Il rifiuto dell’amore come scacco finale.
Ci sono anche gli innumerevoli amici, che gli vogliono bene, ma mai tanto da tendere la mano, mai fino a salvarlo dalla fine. Solo Dubourg ci prova, ma senza alcun risultato: egli è ciò che Alain non vuole essere, è l’abbracciare la vita e gli aspetti più insignificanti, quotidiani dell’esistenza, è l’accettazione di una serenità semplice; i due amici si collocano su due binari paralleli, destinati quindi a non incontrarsi, a perdersi in destini opposti.
I dialoghi che si rincorrono nel romanzo portano alla chiarificazione di un personaggio ormai disfatto, uno spirito che sceglie la strada, la notte, ma non per questo diventa uno spirito libero.
Alain è schiavo del suo camminare senza cogliere altro che quella porzione di esistenza che gli si è presentata davanti da sempre, senza capire che intorno c’è l’universo, che gli esseri umani sono più di quello che si pensa di conoscere, che esistono cambiamenti e scelte possibili. Scegliere nuove strade da percorrere è per lui ormai troppo complicato, Alain è convinto di non poterlo più fare e nell’incapacità che lo blocca l’unica soluzione possibile sembra essere la morte, l’unica volontà definitiva di cui non potrà pentirsi.
E qui, questo feu follet, questo fuoco un po’ folle, capriccioso, questo spirito che non riesce a trovare nulla nelle cose intorno a lui, che sfiora quegli oggetti che ordinatamente costellano la sua esistenza, entra a far parte della vita affermando la necessità del suo contrario.
Pistola in pugno, un colpo a quel cuore che finalmente sa di possedere, Alain si scontra con la consistenza delle cose, Alain trova il modo per dimostrare la sua presenza al mondo in cui non crede, ma al quale in fondo avrebbe voluto partecipare.
Drieu La Rochelle scrive per mettere su carta la morte del suo amico Rigaut, contro la quale non si è saputo imporre, e che, nonostante il culto della morte volontaria, appare solo come scelta coerente e soluzione forzata di un’esistenza inconsistente: «Non avevi che da scegliere tra il fango e la morte. Morire è ciò che potevi fare di più bello, di più forte, di più» (Addio a Gonzague).
“Fuoco fatuo” è un libro che, paradossalmente, insegna ad andare avanti, a scegliere quella strada che seppur lontana, difficile da percorrere, è la strada che porta a cogliere la bellezza dell’esserci.
Edizione esaminata e brevi note
Pierre Drieu La Rochelle (Parigi, 3 gennaio 1893 – Parigi, 15 marzo 1945), scrittore e saggista francese. Della sua opera narrativa vale la pena ricordare: L’uomo pieno di donne (L’homme couvert de femmes, 1926); La commedia di Charleroi (La comédie de Charleroi, 1934), Gilles (1939), L’uomo a cavallo (L’homme à cheval, 1943). Notevole anche uno scritto autobiografico, Memorie di Dirk Raspe (Mémoires de Dirk Raspe, postumo, 1966).
Pierre Drieu La Rochelle, “Fuoco fatuo”, Milano, Mondadori, 2008. Traduzione di D. Pini, M. Tosti Croce.
Prima edizione: “Feu follet”, Parigi, Gallimard, 1931.
Adattamento cinematografico: “Fuoco fatuo”, Louis Malle, 1963.
In Lankenauta: recensione “Fuoco fatuo”, a cura di Claudia Pianura.
Follow Us