Immagino vi sarà capitato di sentire di una fantomatica “epoca d’oro della lirica”.
Al di là dell’uso strumentale e commerciale che viene fatto di queste espressioni, non è poi così campato in aria parlare di un periodo splendente e – forse – irripetibile, visto che al tempo furoreggiavano cantanti come Lauritz Melchior, di cui gli attuali interpreti non hanno proprio nulla da invidiare quanto a preparazione musicale e tecnica, ma spesso molto sotto l’aspetto propriamente vocale.
Il nostro (Copenhagen 1890 – Los Angeles 1973), “tromba d’argento”, intraprese la carriera canora inizialmente come baritono dal 1913 al 1917 (debutto ufficiale come Silvio ne “I pagliacci”) presso l’Opera di Stato Danese.
Di questo periodo abbiamo ancora delle testimonianza sonore: suoi i ruoli di Antonio (Le Nozze di Figaro, Mozart), Baker (Die Meistersinger von Nürnberg, Wagner), Brander (Faust, Gounod), Conte di Luna (Il Trovatore, Verdi), Douphol (La Traviata, Verdi), Grail Knight (Parsifal, Wagner), Heinrich der Schreiber (Tannhäuser, Wagner), Doctor (Iolanta, Tschaikowsky), Morales (Carmen, Bizet), Ottokar (Freischütz, Weber).
Poi nel 1918, dopo gli studi con Vilhelm Herold, la svolta e l’esordio tenorile come Tannhauser.
Tempo prima Sarah Cahier, sentendolo prendere un do acuto, esclamò “sei un tenore con sopra un coperchio!”.
Nel corso del “riassestamento vocale” si recò a Londra presso la Chapell & Company, dove si dedicò a canzoni pubblicitarie; ascoltato da Guglielmo Marconi e dal romanziere Hugh Walpole, fu impiegato come cantante in una trasmissione sperimentale: nel luglio del 1920 quella di Melchior fu la prima voce maschile a venire ricevuta in tutto il mondo.
Fu periodo caratterizzato da un pericoloso alternarsi di ruoli tenorili e baritonali, alla maniera di Vladimir Atlantov (ma con risultati di ben altro livello): il rischio ovviamente era quello di mettere a repentaglio il proprio strumento.
Se la cavò egregiamente grazie ad un proficuo periodo di studio tra il 1921 e il 1923, sotto la guida di diversi maestri, fra cui Victor Bigel, Ernst Grenzebach e Anna Bahr-Mildenburg ed ovviamente in virtù di una tempra e resistenza fisica fuori norma: al di là del suo metro e novanta per 115 chili, la sua forza e vitalità divennero leggendari.
Poteva stare tre, quattro volte la settimana, su di un palcoscenico, cantando per ore senza interruzione sopra il volume di un’orchestra di 100 persone: la sua voce risuonava chiara e limpida in un teatro privo di qualsivoglia amplificazione.
Applaudito da Cosima Wagner (pare che l’arcigna signora non lo facesse mai) fu chiamato al Festival di Bayreuth nel 1924; e poi nel 1926 il debutto al Metropolitan (vi cantò fino al 1950, l’anno del suo ritiro): da allora un’ascesa spettacolare che non conobbe pause.
Melchior fu il primo cantante ad andare in turnè con una sua orchestra sinfonica: alla non tenera età di 57 anni suo il record di 58 concerti in 54 città in 58 giorni. Ma non solo: altre sue performances, tutt’ora ben lontane dall’esser eguagliate, vogliono dire 300 Tristano, 181 Sigmund, 141 Tannhauser, 80 Parsifal.
Uno dei pochi artisti se non l’unico, che riuscì a conciliare un’impegnativa carriera di autentico cantante lirico con la partecipazione in commedie, spettacoli di varietà radiofonici, film comici e musicali: tra le pellicole da lui interpretate ricordiamo “This Time For Keeps” (Ti avrò per sempre – 1947) diretto da R. Thorpe con Esther Williams, “Thrill of a Romance” (Luna senza Miele – 1945) sempre di R. Thorpe con Van Johnson, “Luxury Liner” (Crociera di Lusso – 1948) con Jane Powel e George Brent, “The Stars are Singing” (Il Cammino delle Stelle – 1953) diretto da Norman Taurog con Rosemary Clooney e Anna Maria Alberghetti.
Senza entrare nel merito delle rare (e modeste) romanze con accompagnamento di pianoforte e di cui al momento non ho termine di paragone, è probabile in “Arias-Duets with Flagstad & Lehmann” della RCA non ascolterete in assoluto il miglior Melchior, che oltretutto non pare essere supportato al meglio dalle orchestre; ma sarà comunque difficile non rimanere colpiti dalla esuberanza vocale ed interpretativa del gigante danese: uno strumento scuro, esteso, squillante nei suoi acuti (“staffilate”), di un’ampiezza inconsueta, che fu piegato con intelligenza ad un fraseggio particolarmente tagliente.
Caratteristiche che ben risaltano nei lieder schumaniani, accanto alla vocalità lirico spinta di una Lotte Lehmannn in gran forma, ma soprattutto negli sfiancanti duetti dal Tristano e Lohengrin, dove possiamo ascoltare il tenore insieme a quella soprano che fece parlare di “coppia leggendaria”: la norvegese Kirsten Flagstad, la “Berta Krupp” della lirica, gemellina di Melchior quanto a potenza vocale ed omogeneità nei registri.
Potrò sbagliarmi ma al di là delle indubbie doti interpretative non mi pare nel canto di Melchior sia tutto perfetto: se gran parte della critica lo ha sempre considerato particolarmente ferrato dal punto di vista tecnico, non mancano delle perplessità, rilevabili ad esempio in “In fermem Land” e “Nur eine Walfe laught”, in merito a certa difficoltà nel frenare la strapotenza vocale, talvolta inopportuna, e nel tenere fermi gli acuti.
Sensazioni, mi pare calzanti, espresse anni fa dal severissimo Lauri Volpi in “Voci parallele”: difetti, ammesso siano tali, che troverebbero spiegazione nell’originaria impostazione baritonale e ben mascherati dal declamato wagneriano.
Comunque sia “Arias e Duets” della Victor RCA, nel riprodurre le originali matrici da 78 giri senza operare azzardate ripuliture, e malgrado non sia CD adatto a tutti i padiglioni auricolari (il repertorio non è facilissimo ascolto, almeno per i neofiti del melodramma), è un’eccellente testimonianza sonora di un grandissimo: quello che a ragione è stato definito, insieme a Slezak, uno dei pochissimi ed autentici Heldentenor dei nostri tempi.
Kirsten Flagstad di lui disse: “Melchior ha la voce più grande che Dio abbia concesso ad un uomo”.
1) Mein lieber Scwan! (Addio di Lohengrin) (rec. 1938) 4:21
2) In fernem Land (rec. 1939) 4:34
Wagner – Parsifal
3) Nuer eine Waffe taugt (1938) 3:56
Wagner – Siegfried
4) Hoh! Schmiede, mein Hammer (estratti dalla “canzone del martello) (1940) 3:56
Hildach
5) Der Lenz (1937) 1:46
Trunk
6) Erster Strahl (1937) 1:19
Lembcke
7) Mailied (1938) 2:50
Riego- Salmon
8) Homing (1946) 2:19
Schumann – Kerner
9) Er und Sie, op. 78, n.2 (1939) 3:36
Schumann – Ruckert
10) So wahr die Sonne, op. 37, n.2 (1939) 1:49
Schumann – Burns
11) Unter’m Fenster, op 34, n. 3 (1939) 1:25)
Schumann – Grun
12) Familien-Gemalde, op. 34, n. 4 (1939) 3:26
Schumann – Goethe
13) Ich denke dein, op. 78, n.3 (con Lotte Lehamann, soprano) (rec. 1939) 2:36
Wagner – Tristano ed Isotta
14) O sink’hernieder (“duetto d’amore” con Kirsten Flagstad, soprano) (rec. 1939) 17:03
15) Wagner – Lohengrin Das susse Lied verhallt (“scena” della camera nuziale con Kirsten Flagstad, soprano) (rec. 1940) 18:49
Tracks 1),2),3): The Philadelphia Orchestra, diretta da Eugene Ormandy; 4), 15): RCA Victor Sympony Orchestra diretta da Edwin Mc Arthur; 5), 6), 7): Ignace Strasfogel, piano; 8): Jay Blakton and His Orchestra; 9),10), 11), 12), 13): RCA Victor Orchestra diretta da Bruno Reibold; 14): San Francisco Opera Orchestra diretta da Edwin Mc Arthur.
C’è poco da aggiungere: un pezzo da collezione che non può mancare nella discoteca di un melomane che si rispetti.
Edizione esaminata e brevi note
Recensione pubblicata su ciao.it il 25 ottobre 2004 e qui parzialmente modificata.
Luca Menichetti, lankelot aprile 2008
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