“Il primo cittadino di una delle più importanti città d’arte del nostro paese ha recentemente trivellato gli affreschi cinquecenteschi che ornano la più grande sala civica del suo palazzo comunale per tentare di trovare un capolavoro perduto che possa alimentare il suo mito personale, e diventare il feticcio di un super-marketing turistico. Matteo Renzi lo ha fatto contro ogni evidenza scientifica, calpestando il metodo e la comunità della conoscenza, usando il patrimonio storico e artistico come una clava, aggredendo e denigrando i dissenzienti. Ma, in tutto questo, la violenza mediatica è l’unica vera novità: da tempo, in fatti, l’insopportabile retorica delle cosiddette città d’arte italiane nasconde lo stato avanzato di una metamorfosi fatale […] Il valore civico dei monumenti è stato negato a favore della loro rendita economica, e cioè del loro potenziale turistico. Lo sviluppo della dottrina del patrimonio storico e artistico come petrolio d’Italia (nata negli anni Ottanta di Craxi) ha accompagnato la progressiva trasformazione delle nostre città storiche in luna park gestiti da una pletora di avidi usufruttuari” (pag 9-11). Le prime parole dello storico dell’arte Tomaso Montanari, chiare e taglienti, che troviamo nella prefazione a “Le pietre e il popolo”, danno già la misura di come potrà procedere il libro, durissimo pamphlet ma anche manuale di resistenza civile. Pagine che, senza la pretesa di rappresentare un’inchiesta sistematica e completa, raccontano con dovizia di particolari casi recenti di malapolitica applicata al nostro patrimonio artistico.
Ed ecco che si apre una micidiale galleria degli orrori: le vicende dell’Opera della Metropolitana di Siena (“l’esempio più clamoroso di privatizzazione e messa a reddito del patrimonio storico di una città, l’esempio più degradante della trasformazione istantanea di cittadini in clienti, ha avuto luogo proprio sull’acropoli di Siena”), i progetti di privatizzazione della Pinacoteca di Brera, Venezia ridotta a showroom, il progetto della torre di Pierre Cardin a Marghera, gli Uffizi affittati a Madonna (e qui siete legittimati a bestemmiare), una Roma dove si ipotizzano piste di sci al Circo Massimo, la Napoli dei megaeventi mentre le chiese storiche crollano, il centro storico dell’Aquila che, con buona pace della propaganda, è tutt’ora in rovina mentre gli aquilani sono stati trasferiti in luoghi a dir poco alienanti. Montanari, professore in quel di Napoli, inoltre è stato testimone in prima persona di una vicenda grottesca, con tanto di risvolti penali. Il luogo incriminato è la Biblioteca dei Girolamini in mano al famigerato Marino Massimo De Caro. Al tizio in questione, ammanicato con Massimo D’Alema e soprattutto con Dell’Utri, già mediatore di un losco affare di petrolio venezuelano, già sospettato di clamorosi furti di libri in importanti biblioteche pubbliche sudamericane e spagnole, già indagato per ricettazione, pur non avendo titoli, è stata affidata la guida di una delle più importanti biblioteche d’Italia. E fin qui probabilmente qualcosa ancora in linea con la nota prassi del ventennio Polo-Ulivo. In questo caso però le denunce di Montanari hanno sortito degli effetti. Alla fine, malgrado le strenue difese degli amici politici, malgrado gli inascoltati appelli al dormiente ministro Ornaghi da parte di noti intellettuali, Marino Massimo De Caro è stato arrestato e ha iniziato a confessare parte dei suoi crimini: lo sviluppo delle indagini ha confermato il saccheggio della biblioteca Girolamini, rivelando uno dei casi più clamorosi di commercio illegale di libri antichi.
Montanari prosegue col racconto di altre bestialità imbastite da sedicenti politici al servizio del popolo, ma soprattutto interessati a sfruttare i beni artistici sostanzialmente in due direzioni: per costruirsi direttamente un consenso personale; e poi per favorire imprenditori amici, trasformando i cittadini in consumatori passivi, spacciando le privatizzazioni come soluzioni molto americane e quindi molto efficienti (ma: “si dimentica che i musei americani sono collezioni di milionari infine consacrate alla proprietà e al godimento pubblici, quelli italiani saranno collezioni pubbliche privatizzate contra legem”). Le pagine più polemiche su questo approccio disinvolto di “sfruttare il passato senza comprenderlo, usarlo senza amarlo”, dove la “valorizzazione” diventa “monetizzazione” e dove qualche sindaco si lascia sfuggire parole che fanno capire fin troppo bene con chi abbiamo a che fare (“gli Uffizi sono una macchina da soldi, se li facciamo gestire nel modo giusto”), nel libro del fiorentino Montanari le troviamo a proposito del neo premier rullo compressore “cambiamotutto” Matteo Renzi: “è profondamente estraneo alla tradizione culturale fiorentina, mentre è radicatissimo nella prassi dello sciacallaggio del passato […] è assai rapidamente diventato il politico professionista più a proprio agio nel violare il significato civile dell’arte del passato, clamorosamente ridotta ad alienante fabbrica di clienti (e, in particolare, di acquirenti di un format politico)” (pag. 161).
Sono pagine dove si coglie una sincera delusione e una buona dose di autocritica: “Per qualche tempo, dopo la sua elezione a sindaco di Firenze, è sembrato che Matteo potesse avere la forza di cambiare il destino della città. Alcuni ingenui hanno pensato che rottamare lo stato presente delle cose potesse voler dire anche rompere con lo sciacallaggio del passato, e ricominciare un futuro diverso. Io ero tra quegli ingenui: ed è per questo che, nonostante molti segnali negativi, ho accettato l’invito del sindaco a parlare alla stazione Leopolda, nel novembre 2011 […] Il mio discorso produsse, sì, l’idea numero 63 (intitolata alla “Funzione civile del bello”) di quella sorta di embrionale pre-programma di governo che uscì dalla Leopolda. Ma non produsse nient’altro. E, anzi, nelle settimane e nei mesi successivi venne contraddetto, sempre più microscopicamente, dalle idee e dall’azione di Matteo Renzi” (pag. 118-121). Montanari, dopo aver descritto a grandi linee buona parte delle armi di distrazione di massa imbastite da Renzi per poi spiccare il volo verso le stanze del potere romano, riprendendo quanto scritto in prefazione, alla fine ha dedicato la maggior parte delle pagine alla vicenda forse più paradigmatica del renzismo applicato al patrimonio culturale: la ricerca della “Battaglia di Anghiari”. In altri termini la storia di un possibile e gigantesco trampolino mediatico, dove la televisione e si è rivelata di un’importanza cruciale, mentre intanto, proprio nelle sale di Palazzo Vecchio, “gli affreschi del Quartiere degli Elementi sono in pessime condizioni, le pitture del Terrazzo di Saturno cadono letteralmente a pezzi, dai soffitti affrescati delle scale pendono i fili elettrici” (pag. 131). Dopo aver riportato tutta la sequela di ultimatum e insulti dispensati nei confronti di coloro, sovrintendenti in primis, che si opponevano alla sceneggiata mediatica, peraltro finita miseramente, il perfido Montanari ha voluto citare alcuni brani da “Stil Novo”, il libro di Matteo Renzi. Non sappiammo se l’economista Vaciago, quando ha recentemente detto che trovava “miserevoli” i libri di Renzi, si riferisse a “Stil Novo”, ma certo c’è da sospettarlo. Montanari, proprio citando questo libercolo, ci dice che nel lessico intellettuale renziano “emozione è il vero sinonimo della cultura” e che “nessuno gli ha insinuato il dubbio che studiare la storia non serva ad emozionarsi, ma a educarsi all’esattezza, alla presa sul reale, alla capacità di modificarlo” (pag. 152). Volando più basso ci pare semmai che, proprio riguardo la vicenda della Battaglia di Anghiari, sia emersa una cultura che fa più riferimento a Vojager (il programma di Giacobbo) piuttosto che a Bernard Berenson; e che, dopo aver letto “Stil Novo”, qualcuno potrebbe pure rivalutare le doti letterarie di Fabio Volo e Jovanotti come grande intellettuale contemporaneo. Insomma abbiamo avuto l’ennesima conferma che probabilmente la funzione civile del patrimonio storico e artistico, quale uno “dei principi fondanti della nostra democrazia”, è già stata rottamata. “Avanti così come un rullo”.
Edizione esaminata e brevi note
Tomaso Montanari, (Firenze, 1971) storico dell’arte, è professore associato presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli studi di Napoli Federico II. Ha pubblicato per Einaudi i saggi “A cosa serve Michelangelo e Il barocco”; per Skira, il pamphlet “La madre di Caravaggio è sempre incinta”. Il libro “Costituzione incompiuta. Arte, paesaggio, ambiente” (da lui curato, e scritto insieme a Alice Leone, Paolo Maddalena, Salvatore Settis; Einaudi 2013). Ha vinto il Premio Internazionale Capalbio per la Saggistica 2013. Collabora con Il fatto quotidiano e le edizioni fiorentina e napoletana del Corriere della Sera. Nel novembre del 2012 ha ricevuto il Premio Giorgio Bassani. Nel febbraio 2013 ha ricevuto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica «per il suo impegno a difesa del nostro patrimonio».
Tomaso Montanari, “Le pietre e il popolo. Restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città italiane”, Minimum fax, Roma 2013, pag.
Luca Menichetti. Lankelot, aprile 2014
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