Ricapito Francesco

Mamma Li Turchi (e Li Greci) – Parte 2

Pubblicato il: 22 Novembre 2018

16 luglio 2018

La prima cosa che facciamo la mattina qui a Büyük Orhan è camminare fino in centro per fare colazione nel locale di fiducia di Moustafa, il padre di Selim: un locale piuttosto spoglio, con tavoli e sedie di plastica dove però preparano la migliore zuppa del circondario. Ci viene servita in piccole ciotole, ha un colore arancione, contiene sicuramente aglio e svariate spezie più qualche pezzo di carne, la si accompagna con del pane fresco.

Moustafa viene qui ogni mattina ormai da dieci anni, il proprietario è suo amico, un signore sulla cinquantina con il tipico ventre da oste e i baffi da uomo d’altri tempi. Mi dice che ho la faccia da brava persona e che lui se ne intende perché di persone ne ha viste passare tante qui.

Torniamo a casa, la madre di Selim ha allestito una seconda colazione che in verità ha più l’aspetto di un pranzo: uova strapazzate, pomodori, cetrioli, formaggio, yogurt, dolci vari, pane, marmellata, perfino della Nutella. Faccio il possibile per non deluderla, per fortuna che c’è del çay che mi aiuta.

Oggi Selim vuole ritornare a Bursa e farmi visitare la città. Salutiamo quindi i suoi genitori e partiamo con l’auto, ripercorrendo la strada di ieri. “Yeşil Bursa”, ossia “la verde Bursa”, viene chiamata così per via dei numerosi parchi e della natura che la circonda. La città ha oggi più di due milioni di abitanti, è la quarta più popolosa del paese e ha molte sfaccettature: una storia millenaria, un presente dinamico, una grande presenza industriale (soprattutto automobilistiche) e una vocazione turistica grazie alla sua vicinanza con il monte Uludağ (2543 metri), famosa meta per gli sport invernali.

Storicamente si pensa che il primo insediamento in quest’area risalga al II secolo a.C. Grazie alla sua posizione lungo la Via della Seta, Bursa divenne presto un importante crocevia commerciale, una caratteristica che rimase intatta attraverso i secoli e le epoche ellenistica, romana e bizantina. Nel 1326 venne conquistata dagli ottomani e divenne la prima capitale del nascente impero, status che mantenne fino al 1365, quando la capitale venne spostata ad Edirne. Nonostante questo passaggio di potere e pure un saccheggio da parte del temibile condottiero mongolo Tamerlano nel 1402, Bursa conservò la sua fama di città commerciale, soprattutto per tessuti e sete.

Cominciamo la visita da due importanti mausolei, quello di Osman Gazi e quello di Orhan Gazi, rispettivamente padre e figlio, primi due sultani dell’Impero Ottomano e fautori della conquista di Bursa a danno dei Bizantini. Entrambi hanno un edificio a loro dedicato, strutture costruite nel 1855 dopo un terremoto che colpì la città e che assomigliano molto a moschee. Vennero erette sopra precedenti cappelle bizantine, i sarcofaghi dei sultani sono circondati da altri più piccoli di familiari o dignitari. Un possente turbante bianco ne decora la sommità: furono questi uomini a forgiare uno dei più longevi imperi della storia ed è emozionante trovarsi in loro presenza. Dalla spianata dei mausolei si ha una grandiosa vista sulla città. A completare il tutto una piccola torre dell’orologio dall’aspetto decisamente ottocentesco.

Continuiamo la visita con la Grande Moschea, la Ulu Camii: la particolarità di quest’edificio sono le venti cupole che ne decorano il tetto, un curioso espediente del Sultano Bayezid I: egli infatti, dopo la vittoria nella Battaglia di Nicopoli del 1396 contro gli ungheresi e i francesi, promise di edificare ben venti moschee. Si decise però che una moschea con venti cupole andava bene lo stesso. Io non sono un teologo musulmano, ma mi permetto di dissentire.

La fontana per le abluzioni si trova dentro la moschea, proprio al centro, ed è illuminata da un fascio di luce proveniente dalle finestre del cupolone centrale. Sui muri dei bellissimi esempi di calligrafia islamica, l’equivalente musulmano dei nostri affreschi. La luce proveniente dal centro, il rumore, l’odore e anche la piacevole frescura della fontana, rendono l’atmosfera pacifica, calma, contemplativa.

Tempo di cambiare altitudine, con un taxi arriviamo all’ovovia del monte Uludağ. Con il primo tratto saliamo da 400 m fino a 1230 m. In cabina con noi ci sono tre turiste egiziane che decidono di ingannare il tempo con della fastidiosissima musica tradizionale. Selim, che su certe cose assomiglia molto ad uno dei proverbiali “rusteghi” della commedia goldoniana, scuote la testa con disappunto.

Il secondo troncone dell’ovovia ci porta fino a 1630 m. Bursa ormai è distante e davanti a noi c’è l’appuntito monte Uludağ, un massiccio di origine vulcanica. Intorno a noi moderni resort sciistici costruiti con uno stile ibrido tra il montanaro e il fiabesco. Ce ne allontaniamo camminando su una strada sterrata che in circa un’ora ci porta ad una terrazza panoramica: sotto di noi Bursa e la sua vallata, dietro di noi un baracchino che vende çay, sono passate troppe ore da quando ho bevuto l’ultimo, le dipendenze richiedono costanza.

Al ritorno Selim si ferma in una piccola moschea per pregare, io lo aspetto al sole. Torniamo giù, per fortuna senza turiste fastidiose e Selim mi porta a mangiare nel suo ristorante preferito: un vecchio caravanserraglio ora restaurato. Questi edifici, come suggerisce il nome, una volta servivano ad ospitare le carovane e sono abbastanza frequenti lungo la famosa “via della seta”. Vuole assolutamente farmi assaggiare l’Iskender Kebap: un piatto inventato proprio qui a Bursa nel XIX secolo, su una base di pane pita si mettono carne di agnello, salsa di pomodoro, burro, yogurt di capra, qualche verdura di contorno et voilà! Buono, tanto sapore di capra, ma il gusto fresco dello yogurt contrasta bene.

Usciamo e andiamo verso l’ultimo punto d’interesse della giornata: il ponte Irgandı. Con tono fiero Selim mi fa sapere che al mondo esistono solo altri tre ponti come questo, ossia coperti e con delle botteghe: il Ponte di Rialto a Venezia, Ponte Vecchio a Firenze e il quello sul fiume Osam, nella città bulgara di Lovech.

La struttura passa sopra il piccolo fiume Gökdere, che oggi pare più un torrente. Venne edificato nel 1442 grazie ad un ricco mercante locale, danneggiato da un forte terremoto nel 1855, poi bombardato dall’esercito greco in ritirata nel 1922, ricostruito nel 1949 e poi restaurato nel 2004. A vederlo dal basso sembra quasi un treno di passaggio: il recente restauro ne ha offuscato la patina di antichità che però si ritrova subito quando ci si cammina sopra. Le botteghe vendono soprattutto souvenir o oggetti d’arte, ci sono anche un paio di caffè molto carini. Ci fermiamo in uno di questi per una limonata. Una bambina ci sente parlare inglese e comincia a saltellare in giro canticchiando parole a caso che ha imparato a scuola.

Facciamo tappa a casa di Selim: i suoi genitori hanno abitato a Bursa per molti anni ma adesso si sono trasferiti quasi stabilmente in campagna perché così suo padre può essere più vicino ai suoi pazienti: vacche, pecore e capre. Una rapida doccia per me ed una preghiera per Selim e siamo di nuovo fuori, diretti a casa della nonna che ci ha invitato per cena.

Sembra quasi scontato dirlo, ma la nonna è una dolcissima signora sui settanta, viso rotondo e rubizzo, occhi vispi e sorriso smagliante. Ci accoglie con uno sgargiante velo azzurro intorno alla testa e mi stringe vigorosamente la mano. Ci fa accomodare in salotto dove alla televisione danno la versione turca di “Chi vuol essere milionario”. Dalla terrazza si ha una bella visuale sulle colline intorno a Bursa: è il tramonto, l’ora della penultima preghiera della giornata. La chiamata del muezzin comincia da una moschea, pochi secondi dopo inizia un’altra, e poi un’altra ancora…per noi occidentali abituati alle campane, poche cose risultano più “esotiche” e “orientali” del richiamo alla preghiera.

La cena non delude le aspettative che crea qualsiasi cibo preparato da una nonna: melanzane ripiene, zuppa, insalata, patatine, una sorta di tortino di spaghetti al forno…mi alzo da tavola sazio e soddisfatto.

Dopo cena, su mia richiesta, la nonna apre gli album di famiglia e mi mostra vecchie foto, non solo di Selim ma anche del defunto marito: si sono conosciuti quando vivevano entrambi ad Istanbul. Lei studiava ancora alle superiori e ogni giorno passava davanti alla sua bottega di sartoria. Quando lui la vide se ne innamorò subito, andò dal padre di lei, ne chiese la mano e pochi mesi dopo si sposarono. Il nonno di Selim in pochi anni divenne uno dei sarti più famosi della città e in molte foto ha l’aspetto di un divo del cinema.

Lasciamo casa della nonna, ci rivedremo domani per la colazione, che in verità so già che assomiglierà più ad un pranzo.