Da quando la casa editrice Gargoyle ha inaugurato la collana “Extra”, dedicata alla narrativa non horror – o forse meglio dire non del tutto horror – abbiamo avuto modo di leggere i capitoli iniziali di due saghe fantasy, quelle di Abercrombie e di Richard Morgan. Adesso è la volta di Mark Charan Newton con “Le notti di Villjamur”, primo volume della serie “Legends of the Red Sun”, pubblicato per la prima volta nel 2009. Evidentemente fantasy e serialità vanno d’accordo, grazie ai i tanti personaggi strani presenti, ad un racconto che si interrompe lasciando gran parte delle vicende in sospeso; e probabilmente, dimenticato l’antico feuilleton, grazie alla lezione, molto moderna, appresa dai serial televisivi che si rinnovano di stagione in stagione.
Ma – ripetiamolo per l’ennesima volta – c’è un altro aspetto, questa volta relativo al genere, che mi pare caratterizzi l’opera di questi giovani scrittori di fantasy, peraltro tutti e tre rigorosamente britannici: scelte narrative e stilistiche che rifiutano l’eredità di Tolkien e, in cerca nuove vie, si fanno riconoscere per una diversa miscela di elementi di realismo, horror e bizzarri. Stesso discorso con il primo capitolo della saga del Sole Rosso. Mark Charan Newton ci racconta di un mondo ormai alle soglie della glaciazione, rischiarato dalla luce fioca di un sole morente (da qui il “rosso”). Qui si trova l’antica città di Villjamur, capitale di un impero retto dalla dinastia Jamur, che, in previsione di decenni di gelo polare, è letteralmente assediata da migliaia di persone in cerca di rifugio. Proprio quando nelle stanze del potere si discute della sorte di questi disgraziati, l’imperatore, ubriacone e fuori testa, si suicida lasciando il campo alla figlia Rika. Una successione tutt’altro che scontata perché l’impero è affiancato da un Consiglio pieno di personaggi infidi, a cominciare dal consigliere Urtica, ben intenzionati a rovesciare la dinastia Jamur ed instaurare una teocrazia sanguinaria. Nel frattempo altre vicende scorrono parallele, non si sa fino a quando: da un lato Randur, un giovane impostore, viene convocato a Villjamur per insegnare l’arte della danza alla sorella dell’Imperatrice; dall’altro le investigazioni sullo spaventoso omicidio di un consigliere, che si scoprirà membro di una setta religiosa illegale, sono affidate all’Inquisitore Rumex Jeryd, un rumelide, una specie umanoide ma non umana, in grado di vivere per centinaia di anni. Altro personaggio principale del romanzo è il comandante Brynd Lathraea, un autentico guerriero, ma condizionato dal suo essere albino e omosessuale: questi avrà a che fare con morti viventi e, nel lontano Nord, con un pericolo, forse alieno, che rischia di mettere in forse l’esistenza stessa dell’umanità.
Ho scritto “umanità” perché nello stesso romanzo di Charan Newton si insiste spesso nel definire “umani” gran parte dei protagonisti, ma in realtà il panorama che ci viene presentato è quanto mai vario e non interamente “umano”: a parte i citati rumelidi, leggiamo dei garuda, ibridi tra uomo e uccello, utilizzati per fini militari; delle banshee, le streghe di Villjamur, i cui pianti sconsolati preannunciano la morte; degli iniziati, appartenenti alle sette della città, un po’ stregoni, un po’ scienziati; per non dimenticare i ghieni ed altre creature mostruose di età immemorabile. Già da questo elenco un po’ delirante possiamo capire come nelle “Notti di Villjamur”, in un tempo assolutamente indefinito, si intersechino diversi livelli di lettura, o per meglio dire di genere, dall’horror agli elementi fantascientifici, dal noir poliziesco all’epic fantasy propriamente detto a base di cappa e spada.
Come nel caso di Morgan e Abercrombie, nel voler emanciparsi dal classico Tolkien, anche qui assistiamo all’ossimoro di un fantasy che si colora volutamente e provocatoriamente di realismo, ovvero niente fiaba e piuttosto sesso, emarginazione sociale, criminalità urbana, tossicodipendenza. Semmai Charan Newton, a differenza dei suoi colleghi, anche rispetto Richard K. Morgan, mi pare abbia puntato nettamente sull’elemento bizzarro: elementi di quel new weird che hanno fatto pensare a China Miéville ed altri esponenti del genere. Lo stile dello scrittore britannico non indulge in particolari descrizioni, probabilmente più interessato alla trama in quanto tale; ma proprio il far emergere di pagina in pagina le stranezze delle sue creature rende la narrazione più fluida e tutto quello che c’è di bizzarro in qualche modo meno forzato e artificioso. Anzi, alla fin fine ci appare più faticosa proprio la parte sentimentale del romanzo, ovvero quella teoricamente meno bizzarra, tipo l’incontro tra la nobile Eir e il giovane truffatore Randur, rispetto tutto il catalogo di mostri e mostriciattoli che vivono nell’Arcipelago boreale. Inoltre Charan Newton si dimostra piuttosto abile nel condurre in parallelo le vicende dei protagonisti, anche caratterizzate da diversità di genere, per poi farle incontrare nei successivi capitoli della saga: un modo per tenere desta l’attenzione e creare aspettative in previsione dell’inevitabile sequel. Peraltro, come capita per altri fantasy dove si affollano creature non umane in geografie e tempi indefiniti, anche in questo caso il lettore farà bene a non sforzarsi troppo per individuare elementi e indizi che possano far capire le intenzioni dell’autore.
Abbiamo letto altre recensioni sul libro di Charan Newton, tra l’altro molto positive, e ad esempio, in virtù di questo “sole rosso”, morente, di un “mondo futuro”, come se potesse essere ambientato nel nostro pianeta tra qualche migliaio di anni. In realtà, leggendo “due lune stavano sorgendo tra le alte colline sui due lati del fiordo, una significatamente più grande dell’altra” (pag. 47), si capisce che siamo dalle parti del fantasy più spinto, dove davvero l’anomalia è semmai la presenza di umani in un mondo che non ha niente a che fare con la Terra. Quindi molto meglio affrontare “Le notti di Villjamur” con lo spirito che si può avere leggendo un romanzo di fantascienza, seppur ambientato in un contesto epico e di cappa e spada (in parte): trattandosi proprio di altri mondi, possiamo evitare di farci troppe domande immergendoci in una deliberata contaminazione di generi.
Edizione esaminata e brevi note
Mark Charan Newton, scrittore britannico (1981), di padre inglese e madre indiana. Dopo la laurea in scienze ambientali a ventitré anni entra a far parte del mondo editoriale lavorando come editor di fantasy e fantascienza per il mercato inglese e americano. Le Notti di Villjamur è il primo volume della saga Le Leggende del Sole Rosso.
Mark Charan Newton, “Le notti di Villjamur”, Gargoyle (Gargoyle Extra), Roma 2013, pag. 515. Traduzione di Stefania Minacapelli.
Luca Menichetti, giugno 2013, per Lankelot.
Recensione già pubblicata il 30 giugno 2013 su ciao.it e qui parzialmente modificata.
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