L’articolo 301 del codice penale turco prevede il carcere per chiunque offenda l’identità turca. In particolare per chi parli del genocidio armeno del 1915 messo in atto dai turchi e che, tuttora, i turchi si ostinano a non voler riconoscere. In base a questo articolo, Elif Shafak, nel 2006, ha subìto un processo. Infatti, secondo l’accusa, ne “La bastarda di Istanbul” sono contenute parole che denigrano l’identità nazionale turca. La Shafak avrebbe potuto essere condannata a tre anni di carcere ma il processo, fortunatamente, si è concluso con un’assoluzione. Le parole che hanno messo nei guai la scrittrice sono pronunciate dai personaggi armeni presenti ne “La bastarda di Istanbul”. Perché in questo libro, seppur in maniera romanzata, si parla anche del genocidio armeno.
Una storia fatta di tante storie quella de “La bastarda di Istanbul”, nella quale si ritrovano alcune generazioni di donne e di uomini, stranamente legati da una serie di coincidenze e da un passato dal quale nessuno, nonostante gli sforzi, può separarsi.
Al centro della vicenda l’amicizia tra due diciannovenni: Armanoush ed Asya. Armanoush è un’armena americana legata intimamente alle sue radici, alle sue innumerevoli letture e costantemente impegnata nel riconoscimento morale e storico del genocidio del popolo da cui discende. Asya, invece, è una ragazza turca, figlia nata fuori dal matrimonio, la “bastarda” del titolo, quindi. Gli eventi portano Armanoush a decidere di tornare nei luoghi in cui la sua nonna armena è cresciuta, ad Istanbul: Immagino di aver voluto incontrare i turchi per capire meglio cosa vuol dire essere armena.
Armanoush ed Asya incarnano due mondi e due culture profondamente diverse. La loro amicizia si staglia sullo sfondo di una città, Istanbul, contenitore brulicante di innumerevoli contraddizioni. Una capitale divisa tra lo slancio entusiastico verso l’Europa e la sua modernità e il legame onnipresente con le tradizioni, i rituali e le superstizioni del mondo ottomano ed islamico. I turchi che hanno ancora grandi difficoltà a riconoscere gli errori del passato, i turchi che si sentono inadeguati, i turchi che cercano un’identità diversa, con tutta la fatica che tale processo comporta.
Un libro al femminile, “La bastarda di Istanbul”. Un mosaico di tanti volti di donna, complesso ed affascinante perché ognuno dei personaggi femminili che si raccontano nel libro potrebbe essere un romanzo a sé. Probabilmente anche in questo la Shafak ha tentato di rivalersi nei confronti di una cultura in cui il maschilismo continua, nonostante tutto, a prevalere.
L’epilogo conduce alla scoperta di un segreto che, con un po’ di intuito, potrebbe essere percepito in anticipo e grazie al quale si spiegano le autentiche radici delle famiglie da cui provengono Armanoush ed Asya.
Una vicenda elaborata e ricca quella del libro, che si snoda tra rimandi temporali continui e a cui non manca né il senso dell’ironia né la leggerezza. Una lettura gradevole ma non eccezionale. Mi chiedo: se la Shafak non avesse ricevuto le accuse di cui sopra, “La bastarda di Istanbul” avrebbe avuto comunque tanto successo?
Edizione esaminata e brevi note
Elif Shafak è nata nel 1971 a Strasburgo da genitori turchi. Ha vissuto in vari Paesi europei e si è laureata presso l’Università del Medio Oriente, ad Ankara. Scrive in inglese, in turco e in tedesco. Vive tra Istanbul e gli Stati Uniti, dove insegna all’Università dell’Arizona. “La bastarda di Istanbul” è il romanzo che le ha dato notorietà, è scritto in lingua inglese. Nel 2006 alla Shafak è stato assegnato il Premio Internazionale di Giornalismo Maria Grazia Cutuli.
Follow Us