“La felicità araba” è un libro obsoleto. Infatti della rivoluzione siriana raccontata da Shady Hamadi, iniziata nel marzo del 2011 in maniera pacifica, vivace e propositiva soprattutto grazie a tantissimi giovani che scendevano in piazza, oggi, nel 2016, non rimane praticamente nulla. Quando Hamadi ha scritto le pagine de “La felicità araba. Storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana”, probabilmente mettendo insieme testi scritti per ragioni diverse in momenti diversi, la rivoluzione siriana, vista con gli occhi di un occidentale medio, era più o meno uguale a quelle che, all’incirca negli stessi periodi, stavano investendo la Tunisia, l’Egitto ed altri Paesi mediorientali. Gruppi di studenti, ma non solo, proclamavano per le strade delle città la loro voglia di libertà e di democrazia, il loro desiderio urgente di vivere in uno Stato laico capace di garantire e tutelare i diritti di chiunque. In Siria si manifestava contro quaranta anni di regime, contro le prepotenze, i soprusi e le ingiustizie della famiglia Assad e dei suoi accoliti. Hamadi è un pacifista ed attivista. Suo padre è stato costretto a fuggire dalla Siria perché membro del Movimento Nazionalista Arabo e, proprio per questa ragione, a Shady non è stato consentito l’ingresso nel Paese di provenienza di suo padre fino al 1997. Dai testi qui raccolti traspare l’immensa fiducia che il giovane scrittore italo-siriano ripone (o riponeva?) nel potere del dialogo, del confronto, delle proteste condotte senza armi e senza violenza.
Dal 2013, anno d’uscita de “La felicità araba”, ad adesso il panorama descritto da Hamadi è profondamente mutato. E in peggio. I siriani che hanno potuto farlo, sono fuggiti cercando scampo altrove. Centinaia di migliaia sono stati uccisi. Molti non sono più stati trovati. Altri ancora sono stati imprigionati o ridotti al silenzio. L’esercito di Assad continua a perpetrare i suoi crimini con il supporto di jidadisti ed altri gruppi paramilitari rafforzati dal costante sussidio di Russia e Cina. E in una guerriglia senza fine, mentre il regime siriano sgretola la società accentuando gli scontri tra le religioni, hanno trovato spazio fertile i miliziani dell’Isis. Eventi tanto tragici e tanto devastanti, evidentemente, hanno guastato gli intenti pacifici di chi avrebbe desiderato una “Siria di tutti”, un Paese rimesso nelle mani, nelle voci e nel voto del popolo che lo anima e non più in quelle di uno sparuto gruppo di uomini potentissimi ed intoccabili che da decenni soffoca nel sangue ogni afflato di libertà.
Oltre a descrivere, in maniera dettagliata ed attenta, le vicende politiche della Siria moderna, Shady ripercorre con una certa tenerezza e con immenso affetto, la storia della propria famiglia recuperando soprattutto episodi di vita di suo padre e del padre di suo padre. Amaramente constata quanto dolore e quanta violenza siano stati costretti a patire i suoi familiari. Ma la sofferenza sembra essere un denominatore comune a molte famiglie siriane. Quando Shady ha scelto di appoggiare le proteste contro Bashar al-Assad, diventando un attivista per i diritti umani, ha iniziato a conoscere molti ragazzi che, nei modi più disparati, hanno portato avanti la loro battaglia pacifica per la libertà in Siria. Nel libro sono riportate diverse interviste attraverso cui Hamadi cede la parola a persone in prima linea nella lotta al regime. Giovani che, come Shady sottolinea spesso, hanno lanciato il loro grido di dolore e di aiuto attraverso Internet cercando l’attenzione dei mezzi di informazione e, più in generale, del mondo intero, un mondo che però li ha sistematicamente ignorati e lasciati soli.
Hamadi denuncia in maniera possente la tragedia siriana ed accusa, senza mezzi termini, tutto l’Occidente. La colpa della comunità internazionale era, e continua ad essere, quella di trascurare totalmente quanto accade in Siria. Purtroppo gli interessi economici che i Paesi occidentali possono o potrebbero avere in Siria sono pari a zero per cui, sottolinea Shady, non vi sarebbe nessun tornaconto nel fermare una guerra che si protrae ormai da anni e ha già portato alla morte di circa mezzo milione di persone e al dislocamento di milioni di profughi. I numeri dei morti non fanno più impressione. Scorrono velocemente tra i titoli di un telegiornale e si dimenticano in fretta. Hamadi è convinto che se il movimento pacifista, di cui è sostenitore, avesse ottenuto fin dal 2011 l’appoggio e il sostegno della comunità internazionale, probabilmente la situazione siriana non sarebbe così tragica. L’opinione pubblica sembra essere ipnotizzata solo dall’Isis e dalle sue plateali violenze soprattutto perché i suoi affiliati portano morte e devastazione nelle tranquille città europee.
I giovani di Siria, nonostante gli arresti, nonostante le torture, nonostante la morte, sono decisi a portare avanti la loro battaglia contro il regime di Assad ma anche contro i fondamentalisti dell’Isis, nemici l’uno dell’altro. Una lotta acerrima ed estremamente faticosa che, come traspare da queste pagine, probabilmente durerà molto a lungo soprattutto a causa della noncuranza del resto del mondo. Hamadi ritiene che, alla fine, quel che è nato come un movimento rivoluzionario e pacifico per l’emancipazione da una dittatura feroce, e che si è tramutato in una guerra più profonda contro l’ignoranza, gli estremismi e il male, porterà prima o poi la Siria a divenire un Paese libero. I volti, le voci, le storie e i nomi che Shady Hamadi raccoglie in questo libro ormai obsoleto per fortuna non hanno tempo perché sono destinati a rimanere nella memoria di chi vuole ricordare e vuole capire. E parlo diHasan Ali Akleh, Rami Jarrah, Ghayath Mattar, Ibrahim Qashush e di donne come Razan Zaitoneh e Rima Dali.
Edizione esaminata e brevi note
Shady Hamadi, “La felicità araba. Storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana”, ADD Editore, 2016.
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