Istanbul, anno 1591. Un uomo è stato ucciso e gettato in un pozzo. E’ lui a raccontarci la propria morte nel primo capitolo del libro. Raffinato Effendi, questo il suo nome, lavorava come miniaturista. Il suo compito era quello di realizzare le splendide dorature che arricchiscono gli eleganti e preziosi libri del Sultano. Ma chi lo ha ucciso? E perché lo ha fatto?
Con questo misterioso omicidio Pamuk apre quello che forse è il suo romanzo più celebre. La sensazione è che l’autore abbia voluto tingere di giallo la vicenda narrata solo per renderla più intrigante agli occhi del lettore. In verità “Il mio nome è rosso” è soprattutto l’abile descrizione di una serie di tradizioni artistiche ormai perdute. Una riflessione, effettuata anche ricorrendo a numerose micro-storie interne, sulla distinzione tra l’arte pittorica islamica/orientale e quella occidentale. I veneziani, gli occidentali, da miscredenti infedeli, disegnano esattamente ciò che vedono, realizzando ritratti identici al soggetto che hanno di fronte. Nel mondo islamico della fine del ‘500 è ancora possibile dipingere miniature, i divieti dei fondamentalisti di produrre qualsivoglia immagine non sono ancora diffusi, anche se iniziano a prendere vita proprio in questo periodo. Il disegno di chi illustra i manoscritti regali deve comunque rispettare criteri precisi voluti dalla legge islamica: il mondo è rappresentato come se fosse visto con gli occhi di Allah. Il miniaturista che, ad esempio, disegni un albero, deve riprodurre l’idea di un albero, l’immagine perfetta di una pianta che tanti maestri e tanti artisti prima di lui hanno messo a punto. Il miniaturista non dà una rappresentazione fedele di ciò che lo circonda, come fanno i pittori occidentali, ma ha il dovere di portare sulla carta il significato di un oggetto, di un animale, di un uomo. Chi non si attiene a tali canoni è considerato un bestemmiatore, un peccatore, un traditore della legge di Allah.
C’è chi, nella storia de “Il mio nome è rosso”, sembra voler tracciare una nuova strada artistica, molto vicina a quella indicata dai pittori occidentali. Ma è un percorso pericoloso che comporta incomprensioni, accuse, sospetti e scontri feroci. La miniatura orientale non prevede uno stile personale né contempla l’uso della firma da parte dell’artista. Pamuk ci racconta, con minuzia e ricercatezza, il mondo a sua volta minuzioso e ricercato della miniatura. La narrazione, quindi, sembra sovrapporsi a ciò che narra, quasi assorbendolo. Il fascino de “Il mio nome è rosso”, probabilmente, è proprio in tale sofisticato meccanismo.
Al giallo, l’autore, accosta anche il rosa. Non poteva mancare la storia d’amore, quella tra il bel Nero, tornato in città dopo dodici anni, e sua cugina Şekure, vedova e madre di due figli che, nemmeno tanto sorprendentemente, sembra incarnare il lato femmineo più diabolico e sfuggente. E’ astuta, cinica, intelligente, opportunista e non è mai facile capire se parli ed operi lealmente.
La lettura potrebbe risultare lenta o pesante a causa di infinite esposizioni, ripetute catene di storie, traboccanti pagine ricche di pensieri dispersivi che spesso sembrano far vacillare l’equilibrio del romanzo. Un certo respiro è dato dalla brevità dei capitoli (che sono comunque 59, per 450 pagine) affidati a voci narranti diverse, ciò permette il recupero di una discreta agilità e un’insperata scioltezza.
“Il mio nome è rosso” è, in ogni caso, un buon libro. Il mondo che Pamuk ci descrive è lontano da noi occidentali ed è ormai distante anche dal mondo islamico. La descrizione di cosa fosse la pittura miniata per il mondo musulmano e della sacralità che per tutti i maestri ha avuto questa forma d’arte, induce a riflettere su quanto hanno, ed abbiamo, perduto a causa delle imposizioni iconoclaste. Ancora più interessante è notare che tale riflessione parte dal libro di uno scrittore che proviene proprio dal mondo islamico.
Edizione esaminata e brevi note
Pamuk nasce ad Istanbul nel 1952. Dopo il liceo si iscrive alla Facoltà di Architettura, ma poi passa all’Istituto di Giornalismo dell’Università di Istanbul dove si laurea nel 1977. La sua attività di scrittore era iniziata già da qualche anno. Pamuk insegna in alcuni atenei statunitensi ma presto si afferma a livello mondiale grazie ad opere come “Il libro nero”, “Il mio nome è rosso”, “Neve”. Nel 2005 viene incriminato dal suo governo per aver rilasciato dichiarazioni relative al massacro di armeni e curdi da parte dei turchi nel corso della I Guerra Mondiale. Pamuk subisce un processo ma poi l’accusa viene ritirata. Nel 2006 gli viene assegnato il Premio Nobel per la Letteratura con la seguente motivazione: “nel ricercare l’anima malinconica della sua città natale, ha scoperto nuovi simboli per rappresentare scontri e legami fra diverse culture”. E’ il primo scrittore turco ad aver ottenuto tale riconoscimento.
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