A volte capita: compro un libro solo perché incuriosita dal titolo. E’ accaduto anche nel caso di “Vuoi star zitta, per favore?”. Non avevo mai sentito parlare di Raymond Carver. Ho semplicemente iniziato a leggere i ventidue racconti che compongono il libro.
L’impatto è stato sorprendente. Il primo racconto si intitola “Grasso”. Mi ha stupito, fin da subito, la scrittura di Carter. Detto in maniera brutale: scrive come si parla. I dialoghi sono il punto forte di ogni racconto. E i personaggi parlano esattamente come parlerebbe chiunque nella vita reale. Non c’è la formalità, la compostezza, la regolarità di un testo scritto solamente per essere letto. Lo spettro è più ampio ed imperfetto. Ci sono pause, interruzioni, ripetizioni, tentennamenti, confusioni proprio come capita a chiunque stia parlando in un qualsiasi momento della sua giornata, in un posto qualsiasi e con un qualsiasi interlocutore. Sembra un procedimento di scrittura semplice e meccanico, in realtà non lo è affatto. Lo stesso Raymond Carver, infatti, in un’intervista rilasciata nel 1987, spiega quale sia lo sviluppo del suo scrivere: E’ difficile essere semplici. La lingua dei miei racconti è quella di cui la gente fa comunemente uso, ma al tempo stesso è una prosa che va sottoposta a un duro lavoro prima che risulti trasparente, cristallina. Questa non è una contraddizione in termini. Arrivo a sottoporre un racconto persino a quindici revisioni. A ogni revisione il racconto cambia. Ma non c’è nulla di automatico; si tratta piuttosto di un processo. Scrivere è un processo di rivelazione.
Alla fine di “Grasso” ho cercato di trovare il senso del racconto, il suo messaggio nascosto. Non c’è. Non c’è nessun messaggio o, meglio, il messaggio è il racconto in sé. Ogni singola storia è un ritratto. Ed è quello il senso. Carver descrive l’America che ha conosciuto e vissuto. Lo fa con occhio attento ed imperturbabile. Ogni personaggio è un portatore sano di difetti. In ognuno si nasconde sempre qualcosa di guasto o di colpevole. Perché è così che siamo un po’ tutti: donne insoddisfatte, vicini voyeur, mariti megalomani, padri distratti. Storie di tradimenti, abbandoni, bugie, liti, intolleranze, violenze taciute e solo immaginate.
E’ l’universo ordinario della brava gente che Carver racconta, quella brava gente che, però, spesso vive di malignità e falsità. Una normalità che trionfa, un’apparenza che, almeno formalmente, rassicura e convince ma che, in verità, nasconde inquietudini profonde e personalità insane. Nulla di veramente pericoloso, nulla che possa necessariamente portare a deflagrazioni eclatanti o sanguinarie, ma tante piccole subdole abitudini, fantasmi che strisciano nel pensiero di gente comune, manie sordide che, agli occhi di chi si limita a guardare, sfuggono regolarmente.
In tutti i racconti aleggia un senso di paura, di instabilità, di fallimento. Nessuno dei vari personaggi che Carver ci fa conoscere è in grado di trasmettere sensazioni positive, anzi. Ci spinge a riflettere su quanto di vero e quanto di falso ci sia in chi ci sta attorno o in noi stessi. Quanta della nostra apparenza corrisponda realmente alla nostra essenza. E, soprattutto, induce a riflettere su quella che è la percezione che gli altri hanno di noi e del nostro essere.
“Vuoi star zitta, per favore?” è un libro del 1976. Il primo pubblicato da Raymond Carver. Da questo libro è iniziata l’ascesa letteraria di Carver. Un percorso che l’ha portato a diventare un maestro della “short story” tanto da essere considerato il capostipite del minimalismo letterario americano.
I testi di Carver hanno ispirato anche Robert Altman che in “America Oggi”, uno dei suoi film capolavoro, ha portato sul grande schermo proprio l’America “altra” che lo scrittore dell’Oregon ha descritto un po’ in tutta la sua opera.
Edizione esaminata e brevi note
Raymond Carver è nato nel 1938 a Clatskanie, in Oregon. Apparteneva ad una famiglia modesta e si avvicinò alla letteratura con qualche difficoltà. Si sposò giovanissimo e prima di arrivare ad una certa notorietà fu costretto a svolgere i lavori più disparati e a spostarsi in varie cittadine americane. Solo negli anni ’70 alcuni suoi scritti vennero pubblicati, ma il riconoscimento effettivo delle sue capacità di poeta e scrittore si ebbe solo nel decennio successivo. Carver è definito il maestro della “short story”. Morì a Port Angeles a causa di un cancro. Aveva 50 anni.
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