Dopo la nascita di mio fratello Peter, mia madre scoprì di aver sbagliato carriera. Ben presto si convinse che servire la causa del Führer fosse più onorevole dell’allevare i propri figli; così ci abbandonò entrambi in un appartamento di Berlin-Niederschönhausen e si arruolò nelle SS. Era l’autunno del 1941 e le forze tedesche se la passavano male sul fronte russo.
Così si interrompe l’infanzia di Helga Schnider. Era il 1941 e lei aveva solo 4 anni.
“Il rogo di Berlino” racconta una doppia tragedia, quella della piccola Helga e quella della città di Berlino. E’ in corso la II Guerra Mondiale e la città tedesca è oggetto di continui attacchi aerei. I civili sono costretti a scappare nei rifugi per scampare alle bombe, ai crolli, agli incendi. E muoiono in continuazione. Helga è solo una bambina, ma ricorda. Perché a volte le immagini e le sensazioni vissute da bambini possono diventare un patrimonio incancellabile col quale si è costretti a convivere e a fare i conti per il resto della vita. Forse sfumato, trasfigurato, amplificato dal tempo e da altre esperienze, ma comunque vivo e, come in questo caso, esigente spazio per essere narrato. Helga scrive delle sue vicende personali, del pessimo rapporto con la matrigna, dell’assenza di suo padre, racconta con una logica temporale minuziosa episodi strazianti legati alla Guerra e alle sue nefandezze.
Helga e suo fratello Peter, nel 1944, sono ospitati, insieme ad altri bambini ariani, nel bunker della Cancelleria del Reich: Mentre Hitler avanza verso di noi, io lo fisso senza fiatare. Quante cose ho sentito dire di lui, dalle più entusiastiche alle più spregevoli! Cammina piano, le spalle lievemente curve, il passo strascicato: non posso crederci! Sarebbe questo l’uomo che ha fatto delirare le folle? Io vedo invece un vecchio dai movimenti stentati. Noto che ha un lieve tremolio alla testa e che il braccio sinistro pende inerte lungo il fianco come se fosse di gesso. Sono davvero incredula! […] Adolf Hitler mi tende la mano e mi fissa negli occhi. Ha uno sguardo penetrante che mi imbarazza. Nelle sue pupille c’è uno strano luccichio, come se un folletto ci ballasse dentro. La stretta del Führer è molle e ne sono sconcertata. Sarebbe questa la mano dell’uomo che guida il destino della Germania?
Helga vive per mesi, insieme alla matrigna, a suo fratello e ad altri inquilini, in una cantina-rifugio. E’ il 1945 e non c’è altro riparo per gli abitanti di Berlino al di là di qualche scantinato o sotterraneo. Gli spazi angusti, la convivenza forzata, la scarsità di ogni bene necessario trasformano delle persone normali in esseri disumani, pronti ad aggredire o ad uccidere pur di avere del cibo o dell’acqua. La Guerra a Berlino, e in tutte le città come Berlino, è questo: annichilimento, perdita di dignità, senso di abbandono, impotenza, miseria, terrore. E’ la morte che precipita dal cielo cieca e fortuita. E’ l’odore degli incendi che si mescola a quello dei corpi in putrefazione che nessuno osa seppellire.
La capitale tedesca è un immenso cumulo di macerie e crateri, devastata dalle fiamme e prostrata dagli attacchi aerei. In un inferno del genere Helga racconta di avere un desiderio costante: dormire. Le sirene, i bombardamenti, i crolli non consentono alcun riposo. Dalla radio, ascoltata di nascosto, giungono notizie sull’avanzata dei russi. Hitler sta perdendo la Guerra ed il caos è totale. I nemici entrano presto in città e, da vincitori, umiliano i vinti nel modo più barbaro: lo stupro. Helga sfugge alla violenza carnale, ma assiste a quella di due ragazzine poco più grandi di lei che, come lei, sono nascoste in cantina.
Poi la notizia della resa di Berlino. La guerra finisce. I berlinesi cercano di tornare faticosamente ad una vita che possa definirsi normale. Helga, da bambina qual è, non riesce a capire chi siano i veri cattivi: i russi o i tedeschi? Lo chiede ad Opa, il padre della sua matrigna, l’unica persona che, nel corso di quegli anni terribili, l’abbia amata, protetta e rispettata. Opa spiega: Ogni popolo ha i suoi uomini buoni e i suoi uomini cattivi; forse nel popolo tedesco c’è una tendenza che in quello russo appare meno accentuata, il fanatismo. E poi: Cosa vuol dire acritico? Quando si rinuncia a giudicare, a interpretare o a valutare il risultato dell’opera o dell’attività o anche dell’atteggiamento di qualcuno. Ad esempio, il popolo tedesco, o buona parte di esso, ha mantenuto nei confronti di Adolf Hitler una posizione acritica, almeno ufficialmente.
In questo breve passaggio del dialogo tra Helga ed Opa si ritrova, forse, il sentimento dell’autrice rispetto a questa fase storica vissuta dal suo popolo. La Schneider è pienamente cosciente della “colpa” dei tedeschi, riconosce l’errore compiuto dalla maggioranza dei suoi connazionali che, non avendo avversato seriamente il regime hitleriano, hanno consentito le mostruosità compiute nei campi di concentramento e di sterminio. E’ però corretto porre sullo stesso piano i bombardamenti sulle città abitate da civili tedeschi e la Shoah? Quegli ebrei e quei tedeschi non sono forse vittime di uno stesso mostro? Hitler e l’acritico popolo tedesco hanno un’identica responsabilità rispetto alla storia?
“Il rogo di Berlino” è il primo libro scritto dalla Schneider. E’ stato pubblicato nel 1995, esattamente cinquanta anni dopo la fine della II Guerra Mondiale. Un tempo lunghissimo, evidentemente quello necessario alla scrittrice per rielaborare i suoi ricordi. E’ stato scritto in italiano poiché la Schneider ha rinnegato da tempo la sua lingua materna. Un ennesimo segno della volontà di distacco da un Paese e da un’epoca che l’hanno segnata nel profondo.
La narrazione è legata alle parole di una bambina, non a quelle di un’adulta che ricorda. La lettura è accessibile, semplice, scorrevole. Il messaggio di condanna del nazismo, in ogni caso, è palese e forte. Probabilmente ciò che stupisce è che viene da una ariana.
Edizione esaminata e brevi note
Helga Schneider è nata nel 1937 in Polonia. Poco più tardi i suoi genitori si trasferiscono a Berlino. Nel 1941, mentre suo padre era impegnato al fronte, la madre di Helga abbandona lei e suo fratello Peter per divenire membro delle SS, guardiana nel campo di Ravensbruck prima ed Auschwitz-Birkenau poi. Suo padre si risposa l’anno successivo ed Helga viene spedita dalla matrigna in istituti di rieducazione perché considerata una bambina problematica. Sua zia, nel 1944, porta Helga e Peter a visitare Hitler nel suo bunker. Più tardi la famiglia torna a vivere in Austria. L’esordio letterario di Helga Schneider avviene nel 1995 con “Il rogo di Berlino”. La scrittrice, cittadina italiana, vive a Bologna dal 1963.
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