Se qualcuno poteva pensare ad un Pansa intimidito o quanto meno indisposto ad essere ancora oggetto delle furibonde polemiche contro i “revisionisti” della Resistenza, si è sbagliato di grosso.
Com’è successo col precedente “La Grande Bugia”, che seguiva a ruota “Il Sangue dei vinti” e si occupava delle storie meno nobili della guerra civile e dell’accanimento di storici e militanti politici nel negarle, anche contro ogni evidenza, con “I gendarmi della memoria” il giornalista prosegue, anch’egli accanito e cattivissimo, a replicare ai suoi detrattori.
Il libro da un lato ripercorre l’esperienza vissuta da Pansa tra il 2006 e il 2007, dopo l’uscita de “La Grande Bugia”, tra anatemi e richieste di censura, e nello stesso tempo insiste nel raccontare le vendette, esecuzioni sommarie, miserie che mettono in discussione il mito resistenziale e soprattutto il ruolo giocato dalle formazioni comuniste verso i fascisti sconfitti e i partigiani di altro colore.
Facile intuire chi siano i “gendarmi della memoria” del titolo: sono gli intellettuali e politici della sinistra più radicale, ma anche di quella riformista, o presunta tale, che hanno un chiaro interesse elettorale ed accademico nel non sporcare l’immagine oleografica di quella Resistenza di cui si sono autonominati unici numi tutelari.
Anche l’espressione “guerra civile” – lo sappiamo – è stata più volte contestata e questo già fa capire il livello della polemica.
Pansa, non c’è dubbio, si è ripetuto nel proporre “I gendarmi della memoria” come una sorta di “La Grande Bugia 2 la vendetta”, e sicuramente i difetti propri del precedente, come la scarsa coerenza tra le atroci vicende del dopoguerra e la contingente polemica politica imbastita dai “gendarmi” contro il Pansa furioso, che ne fanno un saggio dalla difficile definizione (libro divulgativo di storia o pamphlet politico?), sono presenti anche nella nuova opera del giornalista.
Come difficile risulta una qualsiasi recensione, vuoi per la difficoltà di sintetizzare la gran mole di storie e spunti polemici presenti nelle oltre cinquecento pagine, vuoi perché in argomento è particolarmente arduo un confronto sui contenuti, visto che spesso i contestatori con cui ci si scorna il libro non l’hanno letto e non lo vogliono proprio leggere.
Il che si spiega se consideriamo quanto scrive Pansa, dispensando mazzate a destra e manca (o “manganellate” secondo l’interpretazione politica propria dei suoi ferocissimi critici): “A questi esempi di stupidità suicida non ho mai reagito. Ma ho tentato di far capire a qualche dirigente della Quercia che non poteva esserci riformismo senza revisionismo. Ossia che non era credibile nessuna volontà di riforma dei tanti mali italiani se prima non rileggevano con onestà l’intera storia politica del Novecento. Compreso quanto era accaduto durante la guerra civile e nel primo dopoguerra…..Altrimenti riformismo diventa una finzione, fondato su una catena di reticenze”.
Non è proprio vero che Pansa non abbia reagito, altrimenti non si spiega tutta questa mole di libri e articoli per rispondere a “guardiani” smemorati come Giorgio Bocca e Marco Rizzo.
Peraltro questo voler applicare un “revisionismo” alla Resistenza, come raccontata fino ad ora, non è appannaggio solo dell’ultimo Pansa, fermo restando che – e qui mi cito – “bisognerebbe semmai intendersi proprio sul significato dalla parola revisionismo, se interpretata come uso politico della Storia e mero strumento di mistificazione, o piuttosto atteggiamento scientifico proprio di ogni storico imparziale che si rispetti, alieno dal voler celare documenti, fatti, forse anche imbarazzanti per la parte politica cui si è più vicino ideologicamente”.
L’indice dei capitoli è meno eloquente rispetto “La Grande Bugia”, ma una sua selezione vi potrà dare l’idea di cosa si parla:
– Il parolaio revisionista;
– Lenzuolo rosso;
– Antifascist Militant;
– Il bis del Rovescismo;
– I fratelli Frison;
– Tutto per soldi;
– Il compagno Sallusti;
– Paga o muori (le estorsioni del dopoguerra da parte degli “squadroni della morte”);
– Elogio dello stupratore;
– Partigiano, portami via;
– Cuneo brucia sempre (tra le altre cose qui vengono ricordate le esecuzioni da parte di partigiani di alcune ragazze tra i 16 e i 22 anni. Riconosciuto l’errore “giudiziario” i loro nomi sono stati aggiunti alla lapide che ricorda “i trucidati dalla ferocia nazifascista”. Altro strale: dopo che l’Anpi sfidò un settimanale locale a documentare il fatto che nel cuneese le donne uccise dai partigiani erano state almeno centocinquanta, i nomi uscirono stampati per 15 puntate);
– L’ausiliaria vergine (l’esecuzione a guerra finita di Jole Genesi, ex- ausiliaria di 22 anni: “la parola processo non aveva alcun senso, al Collegio non esisteva nessun tribunale, neppure un tribunale straordinario di guerra, neanche un tribunale del popolo”);
– Da Visconti a Falco (la vicenda dei fratelli Marcuzzo, il cui omicidio è attribuito alla banda di “Falco”, anche se su Imdb alla voce “Elio Marcuzzo” troviamo “fucilato dai nazisti”);
– Dipingere a Biella (la fine del pittore Giuseppe Biasi);
– Il revisionismo vince?
– Cercando mio Padre (il linciaggio di Giuseppe Sidoli: “Se fosse stato processato, come doveva essere, di certo si sarebbe difeso. Raccontando anche le miserie e le nefandezze dell’altra parte. E pure chi era stato fascista come lui e, all’ultimo, era passato nei ranghi della Resistenza. Cambiando la camicia nera in quella rossa”);
– Colpo alla nuca (“Però sappiamo perché ‘Ricciotti’ è stato vittima di una delle tante esecuzioni interne che hanno visto dei partigiani morire per mano di altri partigiani”: l’omicidio di Leo Scagliarini, partigiano bianco, ad opera della banda di Toffanin);
– Giapponesi si, fascisti no;
– De Felice e i Valutatori;
– L’esodo inesistente (l’esodo fiumano e gli storici smemorati);
– Italiani senza storia:
– Il marò socialista;
– Il suicidio dei Gendarmi;
– Terremoto al Botteghino.
A differenza del precedente “La Grande Bugia” questa volta Pansa non si è posto più di tanto il problema di ribadire per l’ennesima volta il proprio essere di sinistra, la rivendicata autonomia di divulgatore e la convinzione che la Resistenza sia stata la scelta giusta.
Insomma non si è voluto dedicare ai forse necessari distinguo (in qualche modo un pararsi le terga dalle inevitabili interpretazioni “negazioniste” e dalle accuse di voler mettere sullo stesso piano partigiani e repubblichini), ma ha preferito lasciare la parola al giornalista Maniero: ” Alla fine capirà che qui da noi un uomo di sinistra non può parlare criticamente di ciò che ha fatto la sinistra senza diventare un fascista. Pur rimanendo un uomo di sinistra. Paradossi italiani”.
La perfidia di Pansa, quale risposta ai suoi feroci detrattori, sta anche nel fatto di citare quali “negazionisti” proprio intellettuali schiettamente di sinistra.
Tra questi Silvio Pons, storico e direttore della Fondazione Istituto Gramsci, depositaria degli archivi dei PCI: “Il vero problema, tra gli storici di sinistra e in generale nel mondo politico e culturale che sta in quell’area, è di oscillare tra due atteggiamenti: la rimozione del passato o la sua sacralizzazione. E’ a questa alternativa che bisognerebbe sfuggire….A sinistra c’è una tradizione consolidata che porta a valorizzare la propria storia. Ma che a volte è sconfinata nella mitologizzazione…. Esistono figure che non si possono toccare. Una è quella di Enrico Berlinguer. Un altro esempio: il peso effettivo dell’Unione Sovietica nella storia del PCI è molto più rilevante di quanto sia riconosciuto. Questo è un revisionismo da fare. E’una questione di onestà intellettuale”.
Oppure le citazioni da Gianni Oliva, già autore di “Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell’Istria”, oltre che assessore in quota DS con la giunta di Mercedes Bresso, vicepresidente della Provincia di Torino, con deleghe all’istruzione, alla formazione professionale, ai rapporti con l’Università.
Ed ancora Storchi, storico di sinistra: “la Polizia Partigiana era spesso complice di chi commetteva il delitto e non era in grado di mettersi al di sopra delle parti poiché si riteneva un corpo paramilitare con la missione di difendere precisi interessi politici e classisti”.
In altri termini quello che ci dice lo stesso Pansa a pagina 200: ” in molte bande partigiane rosse emerse il proposito di sopprimere esponenti dei partiti del fronte resistenziale. Per un motivo che si presta a pochi dubbi: chi non era comunista, ma era attivo in partiti come la DC, per esempio, poteva diventare un nuovo avversario”.
Altra citazione, questa volta da De Felice e la sua “Intervista sul fascismo”: “Il fascismo ha fatto infiniti danni, ma uno dei danni più grossi è stato di lasciare in eredità una mentalità fascista ai non fascisti, alle generazioni successive anche più decisamente antifasciste. Una mentalità di intolleranza, di sopraffazione ideologica, di qualificazione dell’avversario per distruggerlo”.
Mettete insieme i capitoli finali, in cui si coglie la soddisfazione per le “dieci sinistre” in guerra tra loro, le contraddizioni di alcune di queste “sinistre” (“regressiste”) incapaci di fare i conti col passato senza dividersi al proprio interno, i racconti degli episodi di intolleranza e boicottaggio all’atto della presentazione dei suoi libri da parte degli “Antifascist Militant” e sodali (assist favolosi per chi, da destra, auspica un interessato “revisionismo”), le accuse di cavalcare l’argomento per mero interesse economico, i racconti non solo delle vendette nei confronti di fascisti veri o solo presunti, attuate dopo la Liberazione, ma anche degli omicidi di comandanti partigiani comunisti eliminati dal Partito perché dissenzienti rispetto alle sue direttive; ed allora, pur consapevoli dei limiti propri de “I gendarmi della memoria”, che si espone, causa mancanza di note (fonti presenti però nel corpo del testo) e approccio più da rabbioso pamphlet che da testo scientifico, possiamo concordare con quanto scritto nella quarta di copertina: “un libro destinato a irritare chi crede ancora alla favola manichea delle due Italie, una tutta buona e l’altra tutta cattiva. In queste pagine si affrontano molti tabù di una storiografia che, col il pretesto di contrastare il revisionismo, è diventata negazionista”.
Vengono alla mente le parole di Montanelli il più noto degli anti-antifascisti secondo cui (e qui mi cito ancora una volta) “tutta la retorica che ne era conseguita, i riciclaggi tipicamente italiani ad uso di una ben poco nobile propaganda politica, come ad uso di nuove carriere accademiche e nei partiti, prima o poi, complice la superficialità degli italiani, per lo più predisposti a leggere la Storia con lenti rosse o nere, avrebbero provocato una crisi di rigetto. E a quel punto non ci sarebbe stato molto da meravigliarsi se tesi autenticamente revisioniste, intese come mistificazione della realtà, avessero fatto breccia”.
Effettivamente gli strali nei confronti di Pansa pare abbiano sortito un risultato contrario a quanto si proponevano i suoi detrattori, il cui unico effetto concreto è stato quello di dare modo al giornalista di pubblicare una quadrilogia quanto mai irritante e imbarazzante per “guardiani” vecchi e nuovi; effetti che hanno sortito anche eccellenti assist polemici a vantaggio di chi poi non possiede proprio titoli per dichiararsi privo di scheletri nell’armadio.
Le parole finali che vi propongo non sono nuove ma si adattano benissimo anche a “I Gendarmi della Memoria”, ideale e ancor più rabbiosa continuazione di “La Grande Bugia”: “Ci si può ormai ritrovare, superando vecchie laceranti divisioni, nel riconoscimento del significato e del decisivo apporto della Resistenza, pur senza ignorare zone d’ombra, eccessi e aberrazioni”.
(Giorgio Napolitano, primo messaggio da presidente della Repubblica, 15 maggio 2006. Dalla terza di copertina di “La grande bugia”).
Edizione esaminata e brevi note
Giampaolo Pansa, nato a Casale Monferrato nel 1935, scrive per L’Espresso e la Repubblica. Tra i suoi più noti saggi e romanzi ricordiamo: Siamo stati così felici, I nostri giorni proibiti (Premio Bancarella), Ti condurrò fuori dalla notte, I Figli dell’Aquila, Il sangue dei vinti, Prigionieri del silenzio, Sconosciuto 1945 e La Grande Bugia.
Giampaolo Pansa – I gendarmi della memoria. Chi imprigiona la verità sulla guerra civile – Sperling & Kupfer – ottobre 2007, pagg. 528 – € 19,00
Recensione già pubblicata dal sottoscritto su ciao.it il 1 dicembre 2007 e qui parzialmente modificata.
Luca Menichetti. Lankelot.eu, dicembre 2007
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