Secondo romanzo di una tetralogia letteraria dedicata al clima, “La storia dell’acqua” rappresenta davvero un “toccante monito” – lo leggiamo in copertina – ad avere cura di un elemento fino ad ora mercificato ad oltranza e trattato con sconcertante miopia. È vero che il titolo potrebbe far pensare ad un saggio o ad un romanzo-saggio, ma in realtà l’opera di Maja Lunde è a tutti gli effetti un racconto di finzione; o quasi. Il “quasi” si spiega con la rappresentazione di quanto capiterà al pianeta da qui a pochi anni se il prevalente modello di sviluppo economico – industriale rimarrà invariato: da qui l’espediente delle due storie ambientate a distanza di ventiquattro anni l’una dell’altra. Nel 2017 vive l’ormai settantenne Signe di ritorno nei “luoghi dell’infanzia, sulla costa occidentale della Norvegia, là dove il fiume incontra il fiordo e l’acqua della montagna diventa tutt’uno con quella del mare”. È giunta con la sua barca a vela Bla (in ricordo del Blåfonna), dopo aver navigato per anni e anni, e ancora non ha intenzione di fermarsi: dopo aver sottratto un carico di ghiaccio, altrimenti destinato verso paesi “dove nessuno ha mai tenuto la neve in mano” (pp.43), Signe vuole dirigersi sulla costa francese, intenzionata incontrare l’ex fidanzato Magnus, immaginato ormai come un ricco uomo d’affari che ha fatto fortuna rinnegando tutti quei principi ecologisti per i quali si è sempre battuta. E intanto Signe ricorda quando anni prima lei e il padre, ormai separato da una moglie ben introdotta negli ambienti speculativi e industriali del paese, si erano spesi per salvare con ogni mezzo l’equilibrio naturale del Ringfjorden: “È solo acqua! – gridò mia madre – ma può diventare corrente elettrica. Nuovi posti di lavoro. Nuova vita al paese […] È l’hotel che ci dà da mangiare, lo hai dimenticato? Non certo i tuoi articoli scientifici sottopagati!” (pp.82).
Una vera e propria militanza ecologista quella di Signe, tale da incrinare gradualmente il rapporto con Magnus, già avviato ad una vita molto più ordinaria e probabilmente ricca di gratificazioni economiche: “Avrei dovuto capire fin dall’inizio quanto eravamo diversi. La mia vita era a Bergen, ma Magnus mi trascinava continuamente a Ringfjorden e Eidesdalen, parlava dei nostri paesi, degli amici che ci abitavano e avevano avuto dei figli, parlava a lungo e con calore di affiatamento, di trasparenza, e parlava della natura, della fantastica bellezza della natura, queste le parole che usava, come un turista qualunque” (pp.194).
Nel 2041 invece lo scenario è cambiato radicalmente: nei dintorni di Bordeaux il venticinquenne David, con sua figlia, trova rifugio in uno squallido e polveroso campo profughi. In attesa della moglie e del figlio – inizialmente non si sa se scomparsi o soltanto in ritardo – è ben intenzionato ad allontanarsi da una terra che non promette alcun futuro, devastata dalla siccità e dagli incendi. Malgrado la presenza di altre persone, o forse proprio per questo motivo, per David e la figlia sono giorni vissuti tra innumerevoli disagi; che vogliono dire cibo razionato, prepotenza di altri profughi, impossibilità di lavarsi, sete perenne, intossicazioni, caldo costante, incendi. Salvo poi, una volta trovata una barca a vela – intuibile il legame con la storia di Signe – sperare nella pioggia e così raggiungere il mare.
Un 2041 che quindi anticipa le previsioni del 2050, autentico punto di non ritorno per le sorti del pianeta, anno in cui è presumibile vedremo la presenza di milioni e milioni di cosiddetti “migranti climatici”: “Thomas rideva, rideva per come noi esseri umani fossimo stati bravi a metterci nei guai. Era stata la produzione di energia elettrica con centrali a carbone a innalzare il livello di riscaldamento globale e a incrementare la mancanza di acqua, e adesso per produrre acqua dolce avevano bisogno di ancora più energia elettrica” (pp.280). Eppure pochi decenni prima coloro che contestavano “l’estremismo ecologista” di Signe e di suo padre avevano usato ben altre parole: “Gli operai perdono migliaia di corone ogni giorno in cui le macchine rimangono inutilizzate, questo ha suscitato malumore e rabbia. Sono persone normali, hanno investito i loro soldi, hanno puntato su questa costruzione. E stanno aspettando. E per ogni giorno che passa il loro malumore cresce sempre di più” (pp.292). Viste queste premesse l’epilogo del romanzo potrà risultare meno tragico del previsto, proprio grazie ad una scorta del prezioso liquido ed alla speranza di un ritorno (temporaneo?) delle piogge; ma il senso di malinconia la fa comunque da padrone; e così l’idea di una vita che poteva essere e che probabilmente non ci sarà mai più. Non una “storia dell’acqua” propriamente detta – impossibile raccontarla in un romanzo – ma due storie del tutto plausibili di una realtà che in gran parte ancora ci sfugge; una goccia nel mare – proprio da dire – rispetto un dramma che è già globale.
Sicuramente il valore letterario dell’opera di Maja Lunde – i dialoghi e i flash back sono in ogni caso ben costruiti – passa in secondo piano di fronte l’urgenza e l’importanza del cosiddetto “messaggio” ecologista: i ricordi di Signe, i suoi pensieri, le vicissitudini di David e dei suoi compagni potranno anche apparire didascalici, ma alla fin fine raggiungono l’obiettivo di mostrare le profonde contraddizioni dell’agire umano. Da un lato le esigenze del quotidiano, del lavoro a prescindere da ogni altra considerazione, coloro che rinnegano i propri ideali in nome della concretezza del presente (il personaggio di Sønstebø), la miope responsabilità di chi difende uno sviluppo economico immediato; dall’altro l’apparente estremismo di chi guarda alle generazioni future e non vuole scendere a compromessi.
Edizione esaminata e brevi note
Maja Lunde, norvegese, classe 1975, scrittrice e sceneggiatrice per la tv, dopo numerosi libri per ragazzi si è affermata a livello internazionale con il suo primo romanzo per adulti, “La storia delle api” (Marsilio, 2017).
Maja Lunde, “La storia dell’acqua”, Marsilio (collana “Romanzi e racconti”), Venezia 2018, pp. 346. Traduzione di Giovanna Paterniti.
Luca Menichetti. Lankenauta, dicembre 2018
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