20-21-22 luglio 2018
Qui a Salonicco fa caldo ma la sera l’aria di mare rinfresca l’atmosfera e favorisce il riposo. La mattina comincia con un caffè per me, due e una sigaretta per Maria, qualche biscotto e poi via a passeggio per il quartiere di Tsinari, uno dei più caratteristici perché tra i pochi sopravvissuti al grande incendio del 1912. In alcuni punti ricorda Montmartre a Parigi ma con un tocco più Mediterraneo, molti meno turisti e decisamente molti più gatti.
A dominare sul quartiere e quindi anche su tutta la città c’è l’Heptapyrgion, la “fortezza delle sette torri”: venne costruita dai bizantini e poi più volte rimaneggiata dagli ottomani, che la usarono come base militare per la guarnigione locale. Dalla fine del XIX secolo venne riconvertita in prigione e tale rimase fino al 1989. Il nome è ingannatore perché la struttura ha ben dieci torri e all’interno si possono visitare alcune sezioni dove sono ancora visibili le celle dei detenuti e i cortili per l’ora d’aria.
Tra i pannelli informativi montati sui muri molti riguardano la Dittatura dei Colonnelli, quel periodo tra il 1967 e il 1974 durante il quale al comando del paese ci fu una dittatura militare violentemente anticomunista arrivata al potere con un colpo di stato. Questa struttura, come molte altre, venne utilizzata per imprigionare dissidenti politici e oppositori e talvolta anche per torturarli, una pagina di storia della quale si parla poco, ma che riguarda molto da vicino la nostra vecchia Europa.
Pranziamo in un adorabile ristorantino di Tsinari, insalata fresca, immancabili tzatziki e feta, molto pane, molte olive, un bicchierino di raki come antipasto, menù mediterraneo, leggero e soddisfacente.
Nel pomeriggio c’incontriamo con il cugino di Maria, Giorghios, un energumeno che sembra uscito da un episodio di Vikings: alto, robusto, folta barba e capelli lunghi, con lui c’è Elpida, la sua ragazza che ha scoperto da un mese di essere incinta. A completare la compagnia c’è Doxy, una border collie di qualche mese che non perde tempo e ci salta addosso leccandoci senza pietà in un fruscio di peli e colpi di coda. Saliamo nell’auto di Ghiorghios, io e Mariastiamo dietro con Doxy che non riesce a decidere se stare in braccio a me o a lei e quindi fa la spola ogni dieci minuti. Ci allontaniamo dalla
città e andiamo verso nord-ovest, abbiamo i biglietti per il concerto di Thanasis Papakonstantinou di questa sera.
Maria me l’ha descritto come una sorta di Bob Dylan greco, ingegnere meccanico con il pallino della musica tradizionale, classe 1959, è uno dei più popolari cantautori greci ed è famoso per i concerti eterni e i testi poetici delle sue canzoni. Ho cercato di prepararmi adeguatamente prima di partire ma il materiale disponibile usando l’alfabeto latino è veramente poco, giusto qualche video su YouTube. Sono però contento di avere quest’occasione, a quanto pare per Maria e i suoi amici il concerto estivo di Papakonstantinou è una sorta di tradizione e in quanto ad “attività locali” non credo che potrebbe andare meglio di così.
In due ore il paesaggio diventa collinare, boschi verdeggianti, torrentelli rumorosi e campi coltivati. Arriviamo in una località chiamata Loutra Pozar, è famosa per le sorgenti termali e non si trova a molti chilometri dal confine con la Macedonia. Il concerto di stasera fa parte di una serie di eventi estivi e avrà luogo in una radura di fianco al crinale di una collina. Parcheggiamo, passiamo il controllo dei biglietti e troviamo una piazzola per la tenda: passeremo qui la notte. Poco dopo arrivano altri amici di Maria, siamo una decina in tutto, per la maggior parte uomini, tutti sorridenti, amichevoli, vecchi amici che magari non si vedono da tempo ma che si prodigano per farmi sentire bene. L’atmosfera è quella tipica da festival, persone che girano a petto nudo o in costume, capannelli spontanei che si formano intorno a chitarre e tamburelli, un odore dolciastro di erba e birra che si scalda al sole.
Ceniamo con degli spiedini di agnello che tanto mi ricordano gli arrosticini abruzzesi e poi intorno alle ventuno inizia il concerto: Papakonstantinou è accompagnato da un gruppo numeroso e assomiglia molto ad un tipico impiegato: capelli ordinati e brizzolati, occhiali da vista, viso squadrato e barba corta. Per essere musica tradizionale il pubblico è insolitamente partecipativo e scatenato, in effetti l’età media è piuttosto bassa, il che è bizzarro perché in genere questo tipo di musica attira persone più adulte. Non sono uno specialista di musica e alle mie orecchie questo stile sembra un ibrido tra il folk balcanico e i ritmi ondeggianti dell’Oriente, con un tocco moderno che però lo rende più orecchiabile.
Il concerto dura quattro ore, nemmeno quelli del mio amato Bruce Springsteen raggiungono questi livelli. Maria e la sua banda cantano e si scatenano con ogni pezzo, io non capisco una parola ma li seguo con uguale entusiasmo e cerco di cantare con loro urlando suoni inconsulti che per fortuna nessuno può sentire. Un sorso di rakia ogni tanto ci aiuta a non far seccare troppo la gola. Il concerto finisce, per la prima volta in vita mia non vedo nessuno chiedere il bis, quattro ore non stop sono state sufficienti, il prezzo del biglietto è abbondantemente ripagato.
Terminiamo la serata davanti alla tenda, parlando di argomenti profondi con le orecchie ormai ovattate dal concerto e l’ultimo fondino di birra ormai caldo nella bottiglia.
Il giorno dopo ce la prendiamo con estrema calma, a mezzogiorno sono a prendere un “fredduccino”, cappuccino freddo, al bar là vicino e poco dopo sono a bagno con Ghiorghios nelle fredde acque del torrente. Pranziamo alle sedici in un ristorante nel villaggio vicino: tzatziki, insalata miste, agnello cucinato in vari modi, uno in particolare: mi dicono che è ormai raro da trovare, è una sorta d’involtino d’interiora d’agnello tenuto insieme da strisce d’intestino, è stato vietato perché spesso è difficile pulire bene gli intestini e questo ha causato infezioni a molte persone. Non posso lasciarmelo sfuggire ma il sapore è proprio forte e fa capire da che parte dell’agnello proviene, ne mangio uno ma non mi azzardo oltre.
Terminiamo con un caffè nel bar vicino, ormai è quasi sera e quindi torniamo a Salonicco. La sera a casa di Maria mangiamo qualche frutto e sorseggiamo un tè, parliamo del più e del meno. Mi era mancata, avrei bisogno di qualcuno come lei nella mia vita in pianta stabile. Il giorno dopo Ghiorhios mi accompagna all’aeroporto, l’ironia degli scali mi fa tornare ad Istanbul, dove ho tutto il tempo per uscire dall’aeroporto, raggiungere il Ponte di Galata, mangiare un tipico balık ekmek, panino col pesce, pigliarmi un acquazzone estivo e tornare indietro.
I viaggi non li fanno solo i luoghi, ma anche le persone, dubito che sarei mai andato a Bursa senza conoscere Selim e dubito che avrei mai sentito parlare di Thanasis Papakonstantinou senza conoscere Maria. Questo viaggio è andato così bene soprattutto grazie a loro, Istanbul e Salonicco sono due bellissime città, ma io ho la fortuna di averle visitate con due bellissime persone.
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