Manga, anime e videogames. Quale miglior connubio può esaltare chi si riconosce nella categoria del vero nerd? C’è un anime, High score girl, da poco uscito sulla piattaforma Netflix, che coniuga in modo esemplare queste tre forme di intrattenimento, per la gioia dei nerds influenzati dalla cultura giovanile giapponese, ma non soltanto. Tratto dal manga di Rensuke Oshikiri, High score girl è un anime che si compone di 12 episodi e che mette al centro della vicenda la passione smisurata del suo protagonista per i videogiochi da sala e, successivamente, per le nuove console che si affacciano sul mercato internazionale negli anni novanta. Nonostante il mattatore assoluto della serie sia un ragazzino nato a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, il titolo pone l’accento sulla co-protagonista, una coetanea che si incontra e si scontra col nostro novello Virgilio dei videogames – il quale ci spiega per filo e per segno mosse, dettagli, variabili e curiosità su ognuno dei singoli giochi che incontriamo lungo la storia, calandoci interamene nell’universo dei gamers. Il che porrà le basi per una storia dai risvolti sentimentali che arde pian piano sotto la cenere delle tante partite nelle sale, accompagnando con un lieve tocco di malinconia, che nel finale si fa più intensa, un anime dalla struttura dinamica e divertente. In realtà, e ve ne accorgerete durante la visione, i due filoni narrativi si compenetrano armonicamente, lasciando emergere nello spettatore quel vago e inafferrabile senso di nostalgia per un tempo di formazione e di crescita che ha accompagnato tanti dei figli dei Settanta e degli Ottanta, nerds o meno che fossero.
Siamo a Tokyo, nel 1991. Haruo Yaguchi è un bambino del sesto anno delle elementari che non è popolare a scuola ed è uno scansafatiche nello studio e nello sport. Non ha particolari passioni e non eccelle in nulla, se non nei videogiochi di combattimento. Un giorno Haruo viene sfidato e sconfitto a Street Fighter II nella sua sala giochi preferita, da Akira Oono, sua compagna di classe popolare, bella, intelligente e ricca, che lo batte ripetutamente anche in altri tipi di videogames. Tra i due inizia un rapporto di rivalità e amicizia, che però si interrompe bruscamente quando, alla fine dell’anno scolastico, Akira Oono è costretta ad andare negli States in conseguenza della separazione dei genitori. I due si lasciano con un abbraccio, tale da smuovere Haruo nel profondo, tanto da farlo immergere ancora più nel suo mondo fatto di combattimenti mortali virtuali e disinteresse totale per la scuola. Nell’attesa del ritorno di Oono. Anche se, una volta alle medie, sembra che un’altra ragazza provi interesse per lui e per il suo mondo bizzarro e scanzonato.
Un anime per certi versi sorprendente, divertente e ben curato, piacevole anche visivamente nonostante l’animazione in CGI, comunque armonizzata in modo tale da non farsi troppo notare. Un racconto dalle venature nostalgiche, per quei 40enni occidentali che parte della loro giovinezza l’hanno trascorsa davanti quegli enormi cabinati i quali, messi a paragone con le console ultraleggere e i supporti multimediali degli anni duemila, sembrano degli invasori alieni dalle elementari forme robotiche. Eppure quelle ingombranti fonti di intrattenimento, ormai totalmente annientate alle nostre latitudini – in Giappone, al contrario, non solo sopravvivono, sia pur evidentemente decimati rispetto al tempo che fu, ma restano ancora luogo di culto per i gamers -, conservano un fascino ai nostri occhi cresciuti che le nuove potentissime console non possiederanno mai, non fosse altro perché le sale giochi erano anche luoghi di incontro e socializzazione, lontane anni luce dall’alienante solitudine nella quale le nuove tecnologie relegano tanti ragazzini – e non soltanto – nelle loro camerette del mondo globale.
Attraverso gli occhi di un bambino che diventa adolescente, passando dalla sala giochi alla PlayStation nell’arco di cinque anni, per ritornare in sala e a un nuovo incontro-scontro con colei che gli fa battere forte il cuore, lo spettatore torna a confrontarsi nuovamente con tanti di quei giochi virtuali che lo hanno accompagnato lungo gli anni della crescita e della piena coscienza di sé. È proprio questo il punto forte di un’opera come High score girl, quello di ripercorrere i turbamenti dell’adolescenza attraverso l’evoluzione di un mondo ludico e virtuale che era assolutamente unico e irripetibile ai nostri occhi, sia che fossimo stati dei malati incurabili dei videogames, come il nostro simpatico protagonista, sia che tutto ciò avesse suonato “soltanto” come una piacevole musica d’accompagnamento d’un tempo di formazione irrinunciabile, come lo è stata probabilmente per i più, tra i quali anch’io mi iscrivo, essendo cresciuto più che altro a pane e partite di pallone. Proprio Haruo, così apparentemente noncurante e sbarazzino nel voler dar sfogo alla sua passione-ossessione per i videogiochi, ci introduce efficacemente ai mutamenti emotivi e al turbinio sentimentale dell’adolescenza, facendo il verso, in alcuni momenti – non peregrina la similitudine, considerando l’età del mangaka di riferimento – a quell’Ataru Moroboshi nel quale noi ragazzini degli Ottanta in parte ci identificavamo, altrettanto dedito al “cazzeggio” e perdigiorno, comunque preda dell’amata-odiata autoproclamatasi “fidanzatina ufficiale” proveniente dallo spazio (stiamo parlando evidentemente di Lamù, uno degli anime più divertenti e scanzonati arrivati in Italia negli anni ottanta). Pur in un contesto differente, e concepito in un’altra epoca, con tutte le differenze di pathos e linguaggio che la distanza temporale naturalmente evidenzia, il rapporto che si instaura tra Haruo e Oono ricorda per certi versi quello tra Ataru e Lamù, con tanto di botte prese a senso unico dal malcapitato protagonista. Quelle botte che però sono segni d’affetto e di vicinanza, e che paradossalmente, ma non poi tanto, contribuiscono a far crescere un sentimento assai difficile da esplicitare a parole a quell’età. Difficile anche perché Oono resta muta per tutto l’arco delle 12 puntate, pur lasciandosi ben intendere attraverso gli sguardi e le espressioni. Le caratterizzazioni animate, in effetti, per quanto non rubino l’occhio sono bene assemblate, trasmettendo efficacemente tutte le emozioni in gioco.
Interessanti peraltro sono alcune intuizioni narrative, come quella di immaginare la coscienza di Haruo che gli si manifesta sotto forma dei personaggi dei videogiochi (trovata narrativa simile a quella che Nick Hornby utilizzò nel suo bel romanzo di formazione adolescenziale Tutto per una ragazza, nei frangenti nei quali al sedicenne skater Sam si manifesta in sogno il suo idolo Tony Hawk). Ultima nota per le piacevoli sigle, l’esplicita (nel senso che esplicita in maniera chiara attraverso le immagini le dinamiche dell’anime) e divertente opening, ma soprattutto una ending che caricaturizza in modo infantile i disegni dei protagonisti, velando di dolcezza e malinconia un tema musicale che si accorda perfettamente con le forme animate e con l’emozione che vuol restituire.
Curiosità: L’opera ha un finale aperto e, a marzo, ci dicono le pagine sul web, arriveranno su Netflix tre OAV a dirci tutto quello che ancora dobbiamo sapere. Ciononostante High score girl mantiene il suo fascino inalterato anche così, seguendo le 12 puntate ad oggi a disposizione. Nell’attesa che in Giappone abbia un epilogo anche il manga di riferimento, peraltro ancora inedito in Italia.
Federico Magi, gennaio 2019.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Yoshiki Yamakawa. Soggetto: tratto dal manga di Rensuke Oshikiri. Composizione serie: Musica originale: Tatsuhiko Urahata. Yoko Shimomura. Studio: J.C.Staff. Titolo originale: “Hai Sukoa Garu”. Origine: Giappone, 2018. Durata: 12 episodi da 25 minuti circa.
Follow Us