Vogelmann Daniel

Piccola autobiografia di mio padre

Pubblicato il: 19 Gennaio 2019

Sugli scaffali, in casa mia, c’è un libro a cui sono particolarmente affezionata. Si tratta de “La notte” di Elie Wiesel, il primo pubblicato all’interno della collana «Schulim Vogelmann» de La Giuntina, casa editrice fondata nel 1980 a Firenze da Daniel Vogelmann. Daniel ha voluto dedicare la prima sezione della produzione libraria di cultura ebraica de La Giuntina proprio a suo padre Schulim. Evidentemente il legame tra padre e figlio è stato profondo, speciale ma anche incompiuto poiché sono rimaste in sospeso cose non dette che Daniel, dopo la morte del padre, ha cercato di comprendere e decifrare a modo suo. “Mio padre Schulim mi ha sempre raccontato poco della sua vita, e non solo riguardo alla sua prigionia ad Auschwitz. Certe cose, poi, le ho sapute soltanto molti anni dopo la sua morte, come, per esempio, che c’era anche lui nella lista di Schindler. E io, purtroppo, non gli ho mai chiesto nulla, anche perché è morto quando avevo solo ventisei anni. Qualcosa, però, è giunto miracolosamente fino a me, e così ho scritto questa piccola autobiografia per le mie nipotine. Ma non solo per loro“.

Un figlio che scrive un’autobiografia in nome di suo padre. Un’idea che, prima di tutto, ha la forza di una dichiarazione d’amore immenso, ma si manifesta anche come il compimento di una vita che trova finalmente la propria dimensione letteraria. Daniel dà voce a Schulim che, in prima persona e con un linguaggio estremamente semplice e diretto, descrive la propria esistenza. Un racconto immediato e succinto che, in poco più di trenta pagine, riesce a tracciare il percorso e il senso di un’intera esistenza. “Sono nato su un treno mentre la città bruciava“: così si apre lo scritto che Schulim Vogelmann aveva iniziato a redigere per raccontare le sue vicende personali. Purtroppo non è andato molto oltre perché nel 1974 muore a causa di un attacco cardiaco. Daniel riprende esattamente da dove suo padre ha interrotto. “Sono nato su un treno mentre la città bruciava. Il treno stava andando da Tarnopol, dove vivevano i miei genitori, Nahum Vogelmann e Sissel Pfeffer, a Przemyslany, dove abitava la famiglia di mia madre. Entrambe le città si trovavano nella Galizia orientale, ossia in Polonia, o meglio ancora nell’impero austro-ungarico“. È il 28 aprile del 1903.

Schulim ha un fratello più grande di nome Mordecai e una sorella che si chiama Miriam. Studia fin da piccolo presso una scuola religiosa ebraica ma con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale papà Vogelmann decide di fuggire a Vienna con la sua famiglia. Difficoltà e miseria non mancano ma in questo periodo, ricorda Schulim, “avvenne la mia prima tragedia: la mia cara mamma morì improvvisamente di appendicite“. Alla fine della Grande Guerra Schulim, al contrario dei suoi familiari, a soli quindici anni, decide di andare in Palestina. Il distacco da suo padre è a dir poco commovente: “Cosa vuoi che ti dica? Di mangiare con la forchetta e il coltello? Ti dico una cosa sola: Sii onesto“. Schulim rimane in Palestina per qualche anno e nel 1921 decide di rientrare in Europa. Il fratello Mordecai, nel frattempo, è diventato rabbino e si trova a Firenze per cui Schulim decide di andare da lui. Trovare un lavoro non è semplice ma grazie alla comunità ebraica fiorentina, Schulim viene assunto nella Tipografia Giuntina dell’editore Leo Samuel Olschki ubicata in via del Sole. Nel 1928 riesce persino a diventare direttore della tipografia e qualche anno più tardi sposa Anna Disegni, figlia del rabbino di Torino Dario Disegni. Dal matrimonio nasce una bellissima bambina che si chiama Sissel (come la madre) Emilia.

Tutto sembra procedere in maniera perfetta ma nel 1938 le leggi razziali di Mussolini vanno a squassare l’equilibrio raggiunto da Vogelmann. Schulim ha la fortuna di non essere allontanato dalla tipografia ma la situazione italiana degenera gradualmente: l’entrata in guerra, l’8 settembre, la retata nel Ghetto ebraico di Roma. “Allora tutti capimmo che anche per noi italiani non c’era più nulla da sperare“. Schulim si procura dei documenti falsi ma durante la fuga con Anna e Sissel verso la Svizzera viene scoperto e arrestato insieme alla moglie e alla bimba. Dopo alcuni passaggi in carcere, i tre vengono spinti su un treno: “Su quel treno per Auschwitz c’era con il suo babbo anche Liliana Segre“. Una volta giunti a destinazione, l’angelo della morte, il dottor Mengele, manda immediatamente nelle camere a gas, e quindi in crematorio, Anna e Sissel. A Schulim viene tatuato sul braccio il numero 173484. È mandato poi ai lavori forzati; saprà della fine della sua famiglia solo molto tempo più tardi. Schulim conosce un po’ di tedesco, un po’ di yiddish e un po’ di polacco. Riesce a cavarsela prima lavorando come tipografo per i nazisti e poi presso una fabbrica di utensili per cucina di proprietà di Oskar Schindler.

Schulim Vogelmann è un sopravvissuto e Daniel Vogelmann è figlio di un sopravvissuto. Schulim, infatti, tornato in Italia conosce Albana Mondolfi, vedova con un figlio, e la sposa. Daniel nasce nel 1948. “Come potete immaginare io ero molto emozionato: non avrei mai pensato di potere ancora mettere al mondo un bambino, un bambino ebreo, quando pochi anni prima tutti i bambini ebrei avrebbero dovuto morire“. Schulim non racconta quasi nulla a Daniel del suo passato. Preferisce che suo figlio non sappia perché vuole evitare il ricordo e la descrizione di tanto orrore. Ma Daniel soffre lo stesso, vive momenti di grave depressione, seppur ancora molto giovane. Rintracciare il senso della vita da parte di un ragazzo che, per certi versi, non sarebbe dovuto nascere è complicato, se non impossibile. Sapere di essere nato da un uomo sopravvissuto allo Shoah impone un eterno confronto con qualcuno e qualcosa di troppo grande e troppo grave. Daniel non riesce a fare il tipografo come suo padre, non riesce nemmeno a essere lo scrittore che avrebbe voluto però, nel 1980, decide di diventare editore e fonda l’Editrice La Giuntina (oggi Casa Editrice Giuntina).

Daniel è riuscito quindi a regalare a suo padre il libro che avrebbe voluto scrivere se fosse vissuto un po’ più a lungo. Un omaggio, un segno d’amore che racconta la storia di un ish anàv, un uomo semplice.

Edizione esaminata e brevi note

Daniel Vogelmann è nato a Firenze nel 1948. Ha esordito negli anni ’70 come poeta, pubblicando alcuni volumi di liriche, tra cui “Fondamentale” (1972). Nel 1980 fonda la casa editrice La Giuntina, la cui prima pubblicazione nella collana «Schulim Vogelmann», dedicata alla memoria del padre, fu “La notte” del premio Nobel Elie Wiesel (tradotta dallo stesso Vogelmann) a cui negli anni si sono aggiunti circa 500 titoli sulla cultura ebraica.

Daniel Vogelmann, “Piccola autobiografia di mio padre“, Casa Editrice Giuntina, Firenze, 2019.

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